Le lacrime di Giorgia

24 Ottobre 2022

La foto di Giorgia Meloni che si asciuga le lacrime col fazzoletto al funerale di Francesco Valdiserri, un giovane ragazzo di 18 anni travolto da un’auto a Roma mentre era sul marciapiede, a suo modo colpisce. Il caso ha voluto che il giorno della sua ascesa al Quirinale per giurare come Presidente, o Presidentessa, del Consiglio, massima carica di potere nel nostro Paese, coincidesse con la cerimonia di congedo da Francesco nel quartiere romano di Testaccio, figlio di una coppia di giornalisti che il Presidente conosce da anni.

Gioia e dolore insieme, come hanno notato i giornali di ieri. Ancora una volta il caso ci fa toccare con mano – anzi con gli occhi – i due lati della personalità della presidente del partito Fratelli d’Italia che s’appresta a governare la Nazione – termine per lei più consueto che Paese o Patria – nella tempesta della crisi energetica, della guerra in Ucraina, e dell’impoverimento progressivo di 15 milioni di italiani, stando ai dati della Caritas usciti in questi giorni. 

La Giorgia della fotografia è quella del cuore, una personalità che sembra avere a proprio talento e merito la capacità di parlare il linguaggio dei sentimenti su una scena politica che del cuore mostra ben poco. Se la si confronta con altri leader politici della sua area politica, inferiori per risultato elettorale, lei ne ha molto, mentre gli altri due ben poco, o almeno non sembrano capaci di mostrarlo con gesti o parole. Silvio Berlusconi, massima espressione del narcisismo cinico fatto persona, ha sempre parlato di avere “il sorriso in tasca” e preferisce il riso delle sue barzellette alla lacrima della commozione.

Matteo Salvini, la cui maschera si è sbriciolata nell’arco degli ultimi tre anni, rivelando elementi di grande aggressività ben poco rassicuranti, anche se applicati alla politica xenofoba di migranti e ordine pubblico, non sembra aver mai pianto in pubblico. Figuriamoci poi i politici della prima e seconda Repubblica, il cui profilo ministeriale è ben riassunto nelle immagini che Marco Bellocchio ha resuscitato dal funerale di Aldo Moro in San Pietro per il suo Esterno notte: una fila di mummie e in mezzo a loro il volto impassibile di Giulio Andreotti, mefisto della politica democristiana del lungo dopoguerra. 

Il riso e il pianto sono due espressioni umane che precedono e seguono il linguaggio: ne fanno a meno, come ha scritto un filosofo, e dove ci sono loro la parola cessa. Appartengono a una zona emotiva che sembra prescindere da ogni forma di ragione. Ma non è esattamente così. Come ha spiegato il filosofo tedesco Helmuth Plesser in Il riso e il pianto (Bompiani), si tratta di reazioni limite del comportamento umano.

Ha scritto Plesser: “Poiché nel pianto l’uomo coinvolge sé stesso nella risposta, non controllandosi più e lasciandosi andare interiormente e quindi capitolando da se stesso, la disorganizzazione benché inevitabile, sembra tuttavia provocata da un atto di violazione della persona. (…). Ma come può l’autocontrollo (in parte volontario e in parte coatto) portare a una disorganizzazione se dietro c’è la persona come totalità?”.

La risposta è che il pianto ha “un carattere mediato”. Non si prorompe nel pianto; si sente sopraggiungere una debolezza, un cedimento, di cui si può essere padroni o no”. Per Schopenhauer il dolore altrui ci tocca solo nella misura in cui diventa il nostro dolore, una capacità simpatetica non basta a commuoverci sino alle lacrime: “Deve far male a noi, perché possiamo soffrirne” (Plessner). Perché io possa dispiacermi, e piangere, devo per forza compiangere me stesso. 

Chi ha letto Io sono Giorgia (Rizzoli) l’autobiografia con cui Meloni si è presentata sulla scena mediatica e propagandistica, sa che la commozione è una delle chiavi di lettura di sé stessa che la neo Presidentessa del Consiglio offre agli altri, con una convinzione e una determinazione evidente sin dalle prime pagine del libro, che in qualche tratto non è per nulla dimentico del modello deamicisiano di Cuore. Giorgia Meloni ha più cuore di tutti, non solo perché donna, ovvero culturalmente abituata a esprimere in pubblico sentimenti che i politici maschi per appartenere al sesso fallocratico e paternalista non si permettono, ma perché fa parte della sua identità profonda di persona e di quello che la vita ha prodotto in lei – l’abbandono del padre, l’essere stata allevata in un dominante contesto femminile con due figure di riferimento: la nonna e la madre.

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Come ha scritto Italo Calvino in un illuminante articolo sull’identità, la nostra maschera naturale è composta di un elemento biologico e da un altro sociale e culturale: per lui le rughe del viso negli anni Settanta in cui scriveva questo, e l’essere nel contempo un uomo, un maschio, membro della classe borghese. Giorgia è una “proletaria”, vissuta in quello che un tempo era un quartiere periferico della Capitale, con problemi di obesità che creavano fenomeni di bullismo nei suoi confronti. Sa cosa è il cuore, per dirla con Pasolini, e questo cuore è una parte importante della sua personalità pubblica, quella che esibisce sotto i riflettori della ribalta e davanti agli scatti delle macchine fotografiche. Qualcosa di costruito, ma insieme anche di “naturale”: Io sono Giorgia.

In questo né Berlusconi né Salvini possono competere con lei; figuriamoci poi l’avvocato del popolo che per quanto abbia dismesso la pochette dalla sua giacca è un medio borghese, quindi poco propenso a mostrare in pubblico le proprie lacrime. Semmai il riso è il tratto dominante dei politici italiani, salvo per il segretario, o ex segretario del PD, Enrico Letta, il cui tratto da dolente samaritano si fonde con quello altezzoso di professore di Sciences Po.

Ma la faccia sentimentale di Giorgia è solo un lato della sua personalità. C’è un aspetto che la sua autobiografia in prima persona – Io e non NOI, dice il titolo – manifesta in modo evidente: la determinazione, la costanza, il senso di rivalsa che escono da quelle pagine con una forza davvero incredibile: io ce l’ho fatta. Il merito, di cui oggi si torna a parlare, è il risultato d’una volontà ferrea che è anche il tratto principale mostrato nella composizione del nuovo governo della Destra da lei presieduto. Se ce l’ho fatta io, perché non potete farcela voi? Più ancora del Cavaliere di Arcore, la cui riuscita economica è lastricata di pietre non proprio innocenti, con sospetti che gravano per vari aspetti, e che si è avvantaggiato prima dell’appoggio di Bettino Craxi, con una legge a favore delle sue televisioni, e poi delle medesime televisioni per scalare la politica italiana, risultato che è il cemento anche attuale della sua ricchezza economica. 

Il merito è una delle carte vincenti di Giorgia, un merito che riguarda il suo talento cresciuto nelle sezioni del Movimento Sociale Italiano, il partito neofascista di cui lei è il prodotto. C’è perciò una Meloni che piange, quella del cuore, e c’è una Meloni che, per dirla con Vittorio Lingiardi e il suo Arcipelago N. (Einaudi), incarna perfettamente la figura del “narcisista ad alto funzionamento”. Si tratta, dice Lingiardi, di “un individuo caratterizzato da un forte egocentrismo, sostenuto dalla ambizione, dalla capacità di perseguire i propri obiettivi e da importanti realizzazioni personali”.

I narcisisti di questo tipo manifestano caratteristiche di ossessività e perfezionismo, oltre a un’enorme dedizione al lavoro, “dal quale possono sentirsi più gratificati che dalle relazioni interpersonali, i narcisisti ad alto funzionamento sanno usare i loro talenti in modo efficace e produttivo, sono carismatici, energici e articolati nel dialogo. In poche parole hanno un buon livello, spesso ottimo, di adattamento e riescono a mettere il proprio narcisismo al servizio del successo” (Lingiardi). 

La descrizione dello psichiatra e psicoanalista si adatta bene a Giorgia Meloni, così come emerge dal racconto del libro che, per quanto scritto da qualche ghostwriter di supporto, è un perfetto frutto della personalità di Giorgia, o almeno esprime la sua volizione ad essere proprio così: aspirazione riuscita da quello che abbiamo visto negli ultimi due anni. C’è da aggiungere poi un altro dettaglio: la presenza di aspetti narcisistici e insieme ossessivi, di cui Giorgia ha dato buone prove negli ultimi mesi, portano a comportamenti decisi, se non decisamente prepotenti, con la tendenza a controllare gli altri, senza perdere alcune doti empatiche nelle relazioni. Lo abbiamo visto nelle trattative con gli alleati della destra, espressa nella lapidaria frase: Non sono ricattabile.

Le lacrime di Giorgia sono il lato affettivo della nostra Presidentessa, la manifestazione della sua autenticità emotiva che si traduce in una autenticità tout court, senza troppe mediazioni e con una efficacia mediatica che non ha neppure bisogno di essere insistita, perché basta quella fotografia a comunicare qualcosa di lei che è perfetta per il pubblico dei suoi elettori presenti e futuri. Chi avrà il coraggio di deriderla per la lacrima al funerale? Solo qualche cinico con la patente, ideologicamente motivato, ma scarsamente attendibile. In questo Meloni è imbattibile.

Non c’è nessuno che piange a sinistra, a meno che non siano lacrime di sconfitta o di rabbia. Ma anche quelle mancano da un po’ di tempo. La sua forza consiste nei due gusci che la compongono e come una noce offre una resistenza a chi vorrebbe schiacciarla. Naturalmente si proverà a farlo, sia dentro la sua compagine di Destra come in quella avversa di Sinistra. Si tratta di una regola della politica che è una forma di lotta e di guerra di tutti contro tutti per la conquista del potere – non certo per il bene comune, con qualche lodevole eccezione. Ma lo schiaccianoci per farlo ancora non c’è.

Intanto ce la dobbiamo tenere con il suo piglio decisionista, con la passione, che è il leitmotiv della sua biografia, con la sua estetica (capigliatura e vestiti), persino con gli aspetti più trash della sua personalità di popolana romana – una che non conosce l’Italia provinciale essendo vissuta sempre nella Capitale –, di una che dice la verità perché è “vera”, o almeno così appare. Un mitologema che non è facile smontare, perché ben combinato per effetti deliberati e altri, molti altri, casuali, come le lacrime al funerale di un ragazzo che non meritava di morire in quel modo e due genitori straziati da un evento così tragico e irreparabile, proprio il giorno del suo incarico di Presidentessa o Presidente del Consiglio.

Un “combinato disposto”, come si dice con un’espressione di origine giuridica. Le lacrime di Giorgia giocano un ruolo imprevisto e danno alla ex-missina Giorgia Meloni, alla sua capacità di parlare al cuore di tanti con la sua storia di piccola Cenerentola della Garbatella una carta in più da giocare nella sua popolarità e nel gradimento già parecchio alto nel Paese. Il suo neofascismo non è scomparso come denotano tanti dettagli della investitura dei suoi ministri e ministeri, ma non sarà questo l’aspetto saliente del prossimo futuro, come ha ricordato su queste pagine David Bidussa. L’opposizione per il momento non ha neppure il cuore da gettare oltre l’ostacolo, ammesso e non concesso, che veda l’ostacolo che ha ora davanti.

PS.

Un lettore, storico di professione, dopo aver letto il pezzo qui sopra,  mi ha fatto notare che Berlusconi ha pianto almeno una volta in pubblico, nel 1997 davanti alla tragedia dei migranti  albanesi: il video è qui. Il Cavaliere non finisce mai di stupirmi, lo fa da almeno trent'anni. Lui è la vera maschera nazionale, ha preso il posto di Alberto Sordi. 

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