Le schegge di Bret Easton Ellis

27 Ottobre 2023

Alla fine di Le schegge (traduzione di Giuseppe Culicchia, Einaudi 2023) Bret Easton Ellis cita alcuni titoli di brani degli anni '80, la musica emblematica di quel periodo, inni "alla speranza nel futuro, a nuove metamorfosi, a lasciarsi l'infanzia alle spalle". E scrive: "Se quelle canzoni parlavano, come un tempo avevo pensato, di un bambino che diventava uomo, ora parlavano anche, per il cinquantaseienne che ero, di un uomo che era rimasto bambino". 

Le schegge è il commovente romanzo di uno scrittore prigioniero: del successo guadagnato a vent'anni con Meno di zero (1985); dell'ossessione di un libro "che aveva smesso di cercarmi" ma che, a un certo punto, "era risaltato fuori, pulsando di vita propria, cercando di infiltrarsi dentro di me, di espandersi nel mio immaginario in un modo talmente pervasivo" tanto che "cercare di ignorarlo, era diventata una distrazione"; prigioniero "di un film di serie b sui liceali", a New York o a Los Angeles non importa, tra feste, auto costose ricevute in comodato da genitori facoltosi ("quel cazzo di nuovo arrivato, Robert, con la sua cazzo di Porsche 911.

Chi gliela compra a un ragazzino una Porsche 911?"), case enormi con vasti giardini e piscine o attici con vetrate sulla vista spettacolare di West Hollywood "e le colline sopra il Sunset punteggiate di luci", e i ristoranti di lusso di New York, che ci sono sempre, in tutti i suoi romanzi, da American Psycho (1991Glamorama (1999) Imperial Bedrooms (2010)Ellis dice che aveva cominciato a pensare di scrivere la storia raccontata in Le schegge, circa vent'anni prima ma aveva pubblicato altri due libri, prima del 2020, quando finalmente "sentii che potevo iniziare Le schegge, o che Le schegge fosse pronto, perché fu il libro a manifestarsi a me, non il contrario".

Questi dettagli biografici veri – e molti altri autentici o verosimili che l'autore distribuisce nella storia – sono il trucco escogitato per farci credere che la vicenda nella quale ci trascina sia davvero accaduta, in un romanzo che ha l'impianto del memoir, come in Lunar Park (2005), con il narratore che, anche qui, parla in prima persona e si chiama, omettendo il secondo nome Easton, Bret Ellis. L'uomo rimasto bambino che ricorda ("un bambino che aspirava a diventare un adulto ma non era ancora pronto") è consapevole della contraddizione nella quale si trova ad agire: cerca di conformare la sua vita di liceale ricco in una immaginaria Los Angeles dove la povertà non esiste, con quella di un "Bret visibilmente partecipe", il ragazzo organizzato che si alza alle sei del mattino, si allena in palestra o nuota, fa colazione con omelette e succo d'arancia e si prepara, dopo essersi docciato, indossando la divisa del college, pronto per iniziare la giornata scolastica; ma è il ruolo stonato di psicopatico, dello scrittore che sente cose che non ci sono, del dipendente dal Quaalude e dal Valium, quello che si prende la quasi totalità delle scene, in una specie di film "che non aveva una vera e propria trama, c'era solo un tono sordo, divagante, che cercavo di perfezionare", "un film al rallentatore, che aveva come tema i sotterfugi, i segreti e una qualche trappola sul punto di scattare".

La storia del gruppo di amici della Buckley, la scuola privata per rampolli losangelini, tutti belli, fisico da pin up le ragazze, tutti biondi e muscolosi i ragazzi, una specie di fiction alla Beverly Hills Teens, è disturbata dagli atroci delitti di un serial killer chiamato nelle cronache del Los Angeles Times "il Pescatore a strascico" per il rito cui ricorre, quello di utilizzare in modo abominevole i pesci sottratti agli acquari delle magioni in cui vivono le giovani vittime prima di ucciderle, in un caso facendoli ingurgitare vivi a un ragazzo, in un altro inserendoli nella vagina di una ragazza e chiudendola con del mastice. L'America che emerge da questo libro è un paese di adolescenti adultizzati troppo presto e di adulti immaturi anche a cinquant'anni, alle prese con crisi coniugali, divorzi, identità sessuali pericolanti.

Adulti disperati che si confidano inverosimilmente con gli amici dei loro figli e adolescenti scafati che non esitano a concedere loro favori sessuali se intravedono un vantaggio. Un conto è raccontare questi ragazzi essendo uno di loro, come Bret Easton Ellis fece quando scrisse Meno di zero. Altra cosa è immergersi di nuovo in quel mondo da quasi sessantenne. Lui sembra accorgersene e il libro appare molto controllato, infarcito fin troppo di titoli di film e di brani musicali dell'epoca e di scuse non richieste, ma rivelatrici, tipo "nonostante avessi diciassette anni sapevo chi era David Hockney e lo riconobbi immediatamente"; "la Polo Lounge era stata reinventata nel film American Gigolo, immaginata dallo scenografo Ferdinando Scarfiotti. Ero a conoscenza di cose come questa, a diciassette anni"; "una volta arrivato a cinquantasei anni essere un diciassettenne mi era diventato sempre più chiaro dal punto di vista emotivo, più a fuoco e urgente di quanto fosse mai stato, e mi sono reso conto di aver avuto bisogno di quarant'anni di distanza per scrivere infine questo libro".

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Recentemente, su Facebook, c'è stata una discussione, provocata da un post pubblico di Jacopo Masini, che ho trascritto e che riproduco: "Quando uscì Meno di zero, così come quando uscirono i primi libri di McInerney o Foster Wallace o Zadie Smith, si avvertiva nell'aria che qualcosa di nuovo stava iniziando a palpitare. Una scossa che dava l'impressione di leggere e assistere a un fenomeno culturale e narrativo vivo, straniante, potente. L'uscita del nuovo libro di Bret Easton Ellis mi ha fatto pensare che, se siamo qui, apparentemente elettrizzati dopo quarant'anni dal suo esordio, è perché non sta accadendo niente di così potente oggi. Nessun sommovimento letterario, nessun ventenne o trentenne che fa palpitare l'aria, non in letteratura. Solo piccolo e medio cabotaggio. Magari sbaglio di grosso".

Potrei aggiungere, in quegli anni, lo shock che provocò a chi era nei suoi vent'anni uno spettacolo teatrale come Crollo nervoso (1980) dei Magazzini criminali, e il conseguente vinile, sorprendemente bianco invece che nero, le alte palme californiane sulla cover, con le musiche di Brian Eno; era la prima volta che il nobile teatro si contaminava con la musica pop e la cultura di massa; o, nel 1976, la partitura iterativa ipnotica di Philip Glass per Einstein on the beach di Bob Wilson. Oppure, più vicino nel tempo, la modernità del linguaggio cinematografico mai vista prima, che mischiava fiction e documentario, in un film come Gomorra (2008) di Matteo Garrone e il diverso uso della sceneggiatura, a incastri acronicamente sfasati, di Pulp Fiction (1994) di Quentin Tarantino.

Alla luce di questo Le schegge appare un grande romanzo manierista: come se Bret Easton Ellis, esaurite le possibilità artistiche e di invenzione, si fosse rifugiato nel già scritto, dilatando le pagine a forza di dettagli, rivelando significati dove non sembra che esserci geografia dei luoghi, convenzionalità del linguaggio, descrizione di colori, stereotipi. Un senso di crisi endemica pervade il romanzo e spinge i protagonisti verso una dimensione perennemente schizzata, che cercano di dominare assumendo farmaci e droghe. "Erano il sesso e i romanzi e la musica e i film a rendere la vita sopportabile – non gli amici, non la famiglia, non la scuola, non la scena sociale, non le relazioni". Ossessionato dalla competizione di eguagliare il se stesso ventenne, alla ricerca dello stato di grazia che lo aveva guidato scrivendo Meno di zero, consapevole "di quanto fosse potente la memoria", Bret Easton Ellis mischia l'imitazione della realtà con i suoi angosciosi stati d'animo, in pagine dove il dolore non dà tregua, raffigurato sempre nello stesso equilibrio precario delle figure del Pontormo che reggono il corpo di Cristo nella Deposizione (1528-1529), il primo grande dipinto manierista, del quale ritroviamo, nella narrazione di Ellis, i colori: i pastello rosa, celeste, verde acqua delle polo di Bret, Robert, Thom, Susan, Debbie, Ryan, Matt; i gialli carichi, i verde brillanti e i viola dei loro costumi da bagno; gli azzurri delle piscine; gli arancioni che illuminano le loro facce abbronzate al tramonto.

L'abilità di Ellis mischia realtà e invenzione, passato e presente: invece di accontentarsi di immergerci in una storia vintage 1980, sono continui i richiami alla contemporaneità di noi che leggiamo, con citazioni di un tempo più prossimo all'oggi, dal crollo della Lehman Brothers (2008) a un invito, lo stesso anno, che Ellis riceve da Jay McInerney e sua moglie Anne Hearst a passare un week end nel castello di lei, Bret già famoso e acclamato scrittore; assecondati dal traduttore che non esita a tenere nel testo parole attuali come "boomer" o espressioni come "la nostra bolla", e frasi: "mentre scrivo non riesco a credere che fui lasciato lì per venti minuti, da solo, senza un telefono da guardare", per svegliarci e dirci che, mentre seguiamo ipnotizzati la trama, siamo nel 2023.

Pur non essendo un vero e proprio romanzo psicologico, in senso dostoevskjiano, Le schegge restituisce un mondo letterario in cui ogni protagonista è un enigma, niente sembra mai "reale" nell'iperrealtà descritta con profusione di particolari, sfidando il lettore a riflettere sui confini delle identità e delle contraddizioni umane e dove ogni personaggio, depositario di segreti che nessuno riesce a mantenere nonostante le promesse ("Il tuo segreto è al sicuro con me"), è rappresentato nella sua ambiguità, suggerita nell'esergo che Ellis trae da 1984 di George Orwell: "Se avesse voluto tenere un segreto, avrebbe dovuto nasconderlo anche a se stesso". I tiktoker che leggeranno – se mai lo faranno – questo libro che parla di giovani ma nei quali sarà difficile che loro si riconoscano, lo prenderanno per un romanzo storico, per l'abilità con cui ricostruisce l'atmosfera di un'epoca. Resteranno tuttavia colpiti dalla sincerità, tanto più vera quando è falsa, con la quale il doppiogiochista Bret Easton Ellis si mette in scena, nell'ennesima parodia di se stesso, in un romanzo grandioso e straziante.

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