Le serali
Sarà perché io che ci insegno lo chiamo “il serale”, ma già dall’espressione “le serali” con cui Berlusconi e Santoro si sono più volte e vicendevolmente apostrofati nel confronto televisivo di qualche sera fa, viene fuori tutto un mondo e il suo stile di pensiero. Che sa di vecchio, soprattutto. Che odora di percorsi pulitini, di studenti perbene che fanno il liceo e l’università e di studenti senza qualità destinati ad arrancare e ad arrangiarsi fino a quando, grazie a programmi adeguati ai loro q.i. sottodimensionati e alla compiacenza di insegnanti di scarse pretese, conquistano accidentalmente un diploma destinato però a rimarcarne ab aeterno l’appartenenza ad una specie reietta.
È evidente che non c’è niente di più lontano da quanto è o potrebbe essere un corso serale contemporaneo (come ho scritto in altra circostanza). In tal modo, facendo ironia “sulle serali”, Berlusconi – ma Santoro non è molto distante – ha rivelato di essere un mediocre umorista zuppo fino al midollo di luoghi comuni stantii, un ipereccitato uomo della strada degli anni Sessanta ibernato su parametri apparentemente anacronistici. È altrettanto evidente del resto che quell’espressione, che se glielo chiedessero direbbe ispirata alla per lui innata volontà di scherzare, rende palese il suo disprezzo verso chi non riesce, verso chi arriva secondo nella gara della vita. O si vince o si è fuori. O si va all’università o si è “delle serali”.
Come è noto, le proteste degli studenti sono state immediate. Hanno chiamato in causa la svalutazione della scuola pubblica, il dileggio verso le categorie più deboli, l’eguale dignità dei percorsi formativi e altre nobili questioni. C’è anche chi ha espresso solidarietà alle dignitose figure degli studenti “delle serali” (peraltro presentandoli esclusivamente come seriosi ultraquarantenni con figli). Tutte cose belle e doverose. Ma tutte prese di posizione in qualche modo retoriche. Se c’è infatti un motivo per cui quel sarcasmo mi ha impressionato è perché colpisce nel segno. Eccettuati gli studenti – ex o attuali – dei corsi serali, ben pochi – anche tra i consueti detrattori di Berlusconi – sarebbero disposti a giurare di avere un’opinione dissimile dalla sua. Il serale (al maschile, finalmente!) è infatti considerato il porto delle nebbie dell’istruzione, il luogo dove si perpetua una specie darwinianamente inadatta alla legge della vita diurna, il luogo dove tutte le regole vengono infrante e sopravvivono nicchie di imboscati.
Conosco numerosi insegnanti che ne sono convinti e che non piangerebbero se – come si teme – questi corsi sparissero. Molti di loro viaggiano nelle rarefatte atmosfere dei licei classici, soprattutto di provincia, e considerano i loro colleghi notturni degli strani figuri consustanziali ai loro allievi, ovvero dei peones dai contorni sbiaditi. Alcuni però, complici le contorte regole del reclutamento scolastico, allignano tra lo stesso corpo docente del serale e vivono le ore di lezione come un incubo irredimibile. Figuriamoci allora quale può essere l’opinione dominante in ambienti estranei alla scuola!
In tale direzione la battuta ha svelato (ancora una volta) un altro dei tratti caratteristici di Berlusconi, cioè la sua capacità di allinearsi al pensiero – o meglio, al non pensiero – della maggioranza degli italiani. Senza nessuno sforzo, tra l’altro, perché la sua è una rappresentazione irriflessa, che, come insegna Goffman, non richiede messinscena. Che poi si tratti di un’idea sbagliata, di un’ironia fuori luogo, della testimonianza di un’ottica infinitamente distante da quanto dovrebbe essere oggi la scuola, non fa altro che dimostrare quanto siano indietro, quanto siano drammaticamente fissati su un mondo che dovremmo avere ormai alle spalle coloro i quali si sono sentiti dalla sua parte – chi ammettendolo, chi tenendolo per sé, tra le idee di cui un po’ ci si vergogna (forse).