Speciale
Leonardo and friends
In una serata non ancora troppo arroventata sono in coda davanti a Palazzo Reale in attesa di visitare Leonardo 1452-1519, la mostra fiore all’occhiello tra quelle organizzate dal Comune di Milano in occasione di EXPO. Dietro di me una panettiera si lamenta con l'amica che, dopo essersi finalmente fidanzata, ora convive con un precisetto che la comanda fin nelle piccole cose e rimpiange l’antica libertà. Davanti a me un signore siciliano continua ad ammiccarmi. Vorrebbe che intervenissi davanti alle proteste di una madre e di una figlia che accompagna: non hanno pazienza di aspettare e vorrebbero mangiare qualcosa prima della visita. Pochissimi gli stranieri. Ascolto in silenzio. Mi piacerebbe raccogliere i miei pensieri (e capire dove si sono ficcati i miei amici), in attesa di entrare nella "mostra del secolo (…) la più importante monografica mai realizzata in Italia", come recita il sito ufficiale. La mostra è vasta, non d’occasione, organizzata per temi e, pur disponendo di soli 6 quadri di Leonardo, ha un gran numeri di stupendi disegni, ricostruzione di macchine, opere di grandi maestri (Botticelli, Verrocchio, Antonello…) a paragone.
Giovanni Agosti ha scritto un’intemerata contro la mostra: poca filologia, temi pretestuosi, una macchina organizzativa collaudata per passare da un blockbuster all’altro senza la necessaria ricerca. Non ho la scienza di Agosti e cerco di fare qualche ragionamento sull’oggetto della mostra. Mi soccorre Carlo Emilio Gadda che scrisse una magnifica recensione della precedente grande mostra leonardesca milanese, tenuta nell’infausto 1939 (pare che Arbasino la ricordi) al Palazzo dell’Arte, ora Triennale. Scrive Gadda che ci si ritrova davanti a lui "come alla sorgente stessa del pensiero (…) fantasioso, certo, il suo peregrinante ingegno (...) ma appare anche confermata una misura di ragione, un rigore dell'osservazione: una conoscenza faticata e vissuta, e infine assai propria, di molte cose della natura". Al nostro sospetto che si accumula durante la mostra di avere davanti un divino dilettante, l’archetipo di genio e sregolatezza (tutte quelle macchine aeree che non si sollevano un centimetro da terra), così risponde al cliché: "d'un Leonardo ghiribizzone e pieno di fisime, che va scarabocchiando con quella dannata mano sinistra le macchine e le vedute impossibili" – dice Gadda – "gli par troppo". Anche se, da ingegnere, concede: "un Poe della meccanica? in qualche momento, può darsi”.
Dopo l’Unità d’Italia, Milano ha sempre voluto fare di Leonardo il suo padre ideale, il genio che fa da ponte tra arte e tecnica, da lui mai disgiunte. Davanti al Comune sorge il suo monumento (appena restaurato) circondato dai suoi best friends (vado a memoria: Boltraffio, Marco d’Oggiono, Luini, Solari) e intento alle attività che lo hanno proclamato genio universale (e quindi non milanese): pittore, scultore, architetto e stratega, genio idraulico, che dipinge in Cenacolo, che scolpisce la statua di Francesco Sforza, che dirige le fortificazioni, che si occupa dei canali navigabili.
Leonardo e l’acqua è la mostra che si tiene, con pertinenza, all’Acquario municipale, ma che non ho ancora visitato, mentre ha appena inaugurato, con successo di pubblico (più di 300 persone al giorno), il museo La vigna di Leonardo, posta in posizione strategica davanti al Cenacolo, epicentro del culto leonardesco (rinfrescato dal bestseller Il codice da Vinci). Documenti d’archivio comprovano che Ludovico il Moro concesse a Leonardo una vigna e, come scrive il sito: “è lecito immaginarlo al tramonto di una giornata di lavoro, mentre lascia il cantiere del Cenacolo, attraverso il Borgo delle Grazie, e transitando per la casa degli Atellani, va a controllare lo stato della sua vigna”. L’immaginazione non ha bisogno di permessi e, pagando 10 euro, con la possibilità di avere un’audioguida (anche in milanese), si può visitare una delle non molte dimore patrizie della città e immaginarsi Leonardo immerso nella lettura del Codice da Vinci, mentre prende appunti con quella dannata mano sinistra.