Meneghello: sui sentieri dei “piccoli maestri”

6 Dicembre 2022

“Fu in queste settimane, credo, che ci entrò così profondamente nell’animo il paesaggio dell’Altipiano. Lassù, per la prima volta in vita nostra, ci siamo sentiti veramente liberi, e quel paesaggio s’è associato per sempre con la nostra idea della libertà”. Così Luigi Meneghello in I piccoli maestri cerca di spiegare il suo legame con l’altipiano dei Sette Comuni e con i giorni della Resistenza tra quelle montagne. L’opera, pubblicata nel 1964, venne poi rivista e ripubblicata nel 1976, con un testo ripulito da digressioni non utili e da ironie non necessarie.

Nell’anno del Centenario di Meneghello, nato a Malo il 16 febbraio 1922, ci sono un’iniziativa e un libro che paiono aver colto in pieno il lascito e l’attualità dello scrittore.

Lo scorso giugno, a distanza di dieci anni dalla prima analoga iniziativa organizzata, tra le montagne dell’altipiano dei Sette Comuni si è svolto un Pellegrinaggio civile sui sentieri di I piccoli maestri, tra malga Fossetta e Cima Isidoro. Lassù, nel giugno del 1944, caddero sei giovanissimi partigiani del gruppo di Giustizia e Libertà guidato da Toni Giuriolo. Vennero rastrellati verso nord con una manovra a tenaglia che vide coinvolto un numero spropositato di militi tedeschi e fascisti rispetto al piccolo nucleo partigiano da distruggere, forse cercavano una vittoria facile. 

L’escursione è stata organizzata come nel 2012 dall’Istituto della Resistenza di Vicenza e ha visto la partecipazione di tanti appassionati lettori di Meneghello. Durante il cammino verso gli spalti di Cima Isidoro sono stati raccontati aspetti e momenti diversi di quei giorni e di quel libro, e si è cantato insieme al Coro del "Vicenza Time Café" diretto da Luciano Zanonato. I camminatori più temerari si sono poi calati sotto gli spalti sino alla grotta dove si rifugiarono quattro giovani del gruppo circondato su Cima Isidoro. Una volta risaliti, nuova discesa poco più a nord, tra i dirupi assai più ripidi e impervi dove cadde a vent’anni Rinaldo Rigoni, detto il Moretto: il malgaro, poi alpino, poi partigiano ricordato da Meneghello nei Piccoli maestri e da Mario Rigoni Stern nel racconto Un ragazzo delle nostre contrade. Da quel pellegrinaggio, tra libri e montagne, è scaturito un libro, curato da Chiara Visentin e pubblicato nelle edizioni Ronzani, dal titolo Sui sentieri dei Piccoli maestri di Luigi Meneghello.

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I piccoli maestri di Luigi Meneghello e l'edizione Barbera del libro di Laurence Sterne.

I saggi raccolti nell’opera nascono dalle relazioni che quel giorno ho letto insieme a Francesca Caputo e Renato Camurri, arricchiti da una sezione inedita della corrispondenza tra Luigi Meneghello e amici quali Primo Levi, Neri Pozza, Norberto Bobbio, Licisco Magagnato, Gigi Ghirotti e altri, conservata negli archivi della Biblioteca Bertoliana di Vicenza, e raccontata da Mattea Gazzola.

Il libro è arricchito da alcuni approfondimenti su Meneghello e il suo tempo, ricordati attraverso l’arte di Emilio Vedova, raccontata da Fabrizio Gazzarri, e una introduzione di Matteo Melchiorre dedicata alla dimensione autobiografica nella scrittura di Luigi Meneghello, soprattutto nel ‘mondo’ di I piccoli maestri. Tra le illustrazioni, foto inedite di Meneghello, le copertine delle prime edizioni e una sorpresa che emozionerà più di un lettore: una lettera di Primo Levi a Luigi e a sua moglie Katia, scritta il 2 maggio 1986 dopo un incontro a Londra tra le due coppie di amici. Tra loro si era consolidato un rapporto nato da affinità culturali e di idee ma anche dalla tragedia di Auschwitz, vissuta sia da Primo sia da Katia, ungherese e di famiglia ebrea, come lui sopravvissuta alla prigionia in quel lager. Tra l’altro, Meneghello, nel 1953, aveva dedicato allo sterminio degli ebrei d’Europa un saggio, pubblicato a puntate sulla rivista Comunità di Adriano Olivetti. In quella lettera Levi scrive all’amico: «secondo me i Piccoli maestri sono non un libro sulla Resistenza ma il libro vero della Resistenza (ancora ieri l’ho prescritto a un mio amico unaccountably, che benché ex GL e di origine veneta, non lo conosceva); e che Luigi è il più bravo che io conosca nell’acrobazia di salire e scendere verticalmente da un registro linguistico a un altro». Le due piccole ma importanti sottolineature sono di Levi. 

In I piccoli maestri Meneghello rievoca la propria esperienza partendo dal ritorno in altipiano, appena finita la guerra, con l’amica Simonetta. È un inizio subito evocativo: il bivacco in tenda mentre imperversa un temporale non distoglie Meneghello dai ricordi avventurosi e tesi di quanto avvenuto pochi mesi prima. 

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Luigi Meneghello a Cima Tosa, Dolomiti di Brenta, negli anni Cinquanta. Archivio Bepi e Fina Meneghello.

I due cercano e trovano la piccola grotta, un minuscolo anfratto nella roccia, dove lo scrittore si era nascosto per scampare al rastrellamento nazifascista del 5 giugno del 1944. Lì aveva lasciato il parabellum e un piccolo libro che lo aveva accompagnato nei giorni della Resistenza in montagna: Viaggio sentimentale di Laurence Sterne tradotto da Ugo Foscolo (Barbera editore, 1922). Recuperato il parabellum spara in aria raffiche liberatorie: tutto è davvero finito.

Le motivazioni e i sentimenti del giovane Meneghello quando decide di andare a combattere in montagna sono poliedriche: da un lato un gran desiderio di libertà e la fiducia nelle idee del comandante Antonio Giuriolo, dall’altro un senso di inadeguatezza militare e la sensazione di pericolo che vive ogni giorno e ogni notte che passa in altipiano. Il comandante Toni è autorevole, colto e convintamente liberalsocialista, parla di un avvenire di libertà e democrazia, di giustizia per tutti, guida gli altri con l’esempio, nelle azioni militari come nella vita di ogni giorno. Norberto Bobbio, nel libro Maestri e compagni, lo indicò tra i suoi maestri, definendolo: "professore senza cattedra; capitano nel 7° Reggimento alpini; guida, nell'altipiano dei Sette Comuni, della formazione di studenti universitari denominata "i piccoli maestri", con il nome di battaglia "Capitano Toni"; apostolo della libertà".

Antonio Giuriolo scamperà al rastrellamento del giugno 1944, ma cadrà combattendo in Appennino il 12 dicembre di quello stesso anno. A lui Meneghello dedicherà il settimo capitolo del libro Fiori italiani (Rizzoli, 1976).

Lo stile narrativo di I piccoli maestri è ironico, si avverte l’influsso dei suoi amati saggisti inglesi del Settecento, e di una propensione caratteriale all’antiretorica, ad affrontare con grace under pressure le difficoltà della guerra e della vita. Lo stesso autore dichiara apertamente le sue intenzioni: «I piccoli maestri è stato scritto con un esplicito proposito civile e culturale: volevo esprimere un modo di vedere la Resistenza assai diverso da quello divulgato, e cioè in chiave anti-retorica e anti-eroica».

Sotto il gran fiume dell’ironia, scorre però impetuoso il rimpianto della giovinezza, dei giorni del freddo e della paura, dei sogni di rinnovamento del Paese, di battaglie che forse andavano combattute meglio. L’ironia è uno stile letterario scelto con convinzione, ma è anche una difesa dalle emozioni, che nelle pagine potrebbero avvolgere i ricordi di eccessiva elegia e malinconia. Ma l’emozione c’è, e forte, specie quando ripensa alle montagne e agli spalti a nord dell’altipiano, quelli che consentono di guardare verso cime e orizzonti lontani: “Non è meraviglia che da allora per anni e anni figurandomi tra la veglia e il sonno la condizione più perfetta in cui vorrei trovarmi, sia tornato sempre in cima a questa spalla, in una delle casotte di pietra che ci sono qua e là, di notte, ad aspettare con due o tre compagni che arrivino i convogli dei rastrellatori, per difendere l’Altipiano in questo punto.”

La giovinezza, il senso di libertà, la paura, l’idea di avere nelle mani il proprio destino, si condensano nella consapevolezza che il bivio tra la vita e la morte dipenda dalla prontezza di riflessi, dalla generosità di un compagno, dalla fortuna, rendendo memorabile ogni giorno vissuto in altipiano. 

“La cosa più brutta in questi rastrellamenti era la certezza di non poter essere fatti prigionieri. Se andava male, andava male in un modo solo. Si cercava in confuso di prepararsi per quel momento, l’unico che suscitasse vera repulsione, trovarsi ancora vivi in mano a loro.”

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Sugli spalti di Cima Isidoro, Altipiano dei Sette Comuni. Foto di Giuseppe Mendicino.

Meneghello tratteggia quei giorni del 1944 velandoli di ironia e antiretorica, ma una cosa è certa: rivoltarsi contro il nazifascismo voleva dire rischiare la tortura e la morte. Mentre Meneghello e i suoi amici lasciano la pianura per salire in montagna a combattere, altri compagni d’Università continuano tranquillamente i loro studi, preparando carriere universitarie, anche politiche in qualche caso. Per dei ragazzi poco più che maggiorenni, alcuni studenti in città altri malgari, quasi tutti inesperti di armi, andare in altipiano a combattere, e resistere lassù fino al grande rastrellamento, fu una scelta di grande coraggio e di infinito amore per la libertà. 

“È lassù che ci siamo sentiti liberi, e non è meraviglia che questi circhi, questi boschi, queste rocce fiorite ci siano passati dentro, come modi della coscienza, e ci sembrino ancora il paesaggio che conosciamo”.

Una lettura da non perdere, per approfondire I piccoli maestri, è Quanto sale?, un breve saggio che lo scrittore scrisse in occasione di un convegno a Bergamo, nel 1986. 

Il titolo Quanto sale? richiama gli avvisi affissi durante la guerra dai tedeschi, che invitavano la popolazione a denunciare i partigiani, specificando i chili di sale che valeva la cattura di ognuno di loro. “Quel sacchetto di sale che a un certo momento della mia vita mi rappresentava è tra le cose che considero soddisfacenti nella mia storia personale”.

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Uno dei manifesti citati da Meneghello nel suo saggio.

Nel suo scritto Meneghello spiega anche la scelta dell’espressione “piccoli maestri”, ricavata da un saggio di Horace Walpole dove lo scrittore inglese confronta i briganti francesi con quelli inglesi, evidenziando la cortesia di questi ultimi, loro sì veri e propri petits maîtres. Meneghello lo aveva tradotto, e il testo, con il titolo Cortesia dei briganti inglesi, era stato pubblicato nel 1963, proprio un anno prima dell’uscita di I piccoli maestri, in un’antologia intitolata Saggi inglesi del Settecento curato da Elio Chinol.

In Quanto sale? troviamo anche un ricordo di Dante Caneva, uno dei compagni più affidabili e tenaci nei giorni sulle montagne, anch’egli sopravvissuto al rastrellamento, frequentato anche nel dopoguerra, dopo il rientro dall’Inghilterra.: “…e c’era Dante, uno dei compagni con quale si va sempre a finire sull’Altipiano: dovunque lui dice di voler andare e ti invita ad accompagnarlo, sul Pasubio o in Svizzera, o sulle Ande, se accetti l’invito ti trovi fatalmente in Altipiano”. Dante tra l’altro parteciperà al pellegrinaggio civile tra malga Fossetta e Cima Isidoro del 2012. 

In Quanto sale? Meneghello ricorda la pagina finale dei Piccoli maestri, raccontando l’arrivo degli inglesi a Vicenza e il suo colloquio con l’ufficiale nel primo carro armato, sintetizzato così: “…mi do delle arie perché so parlare un po' in inglese e lui mi dice: “Ma chi siete voialtri?”. Io gli rispondo “Fucking bandits” (…), l’ufficiale mi dice “I beg your pardon?” (che è il modo in cui un inglese istruito ti domanda: “Cosa ha detto?” intendendo “Non si azzardi a ripetere, se no guardi che cambio tono”) io gli rispondo gridando (c’era un gran chiasso): “Ho detto che siamo i volontari della libertà”, ma subito dopo siccome l’inglese, insospettito, mi dice: “You a poet?” (“Ma allora è un poeta lei?”), io gli circondo l’orecchio con le mani e grido dentro “Just a fucking bandit”, quasi l’epigrafe del mio libro”.

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