Il sacro e il nomade / Ricette immateriali. Pizza scima

6 Febbraio 2019

Una ricetta che porta in Abruzzo, terra dove la montagna spesso incombe oltre la linea azzurra del mare.

Ma è anche ricetta che porta altrove, ovunque la cultura ebraica abbia trovato radici. Pizza scima nel senso di scema, non lievitata, attributo che la dice lunga su valore della lievitazione e del pane lievitato tra i Cristiani e sui distinguo che invece la cultura ebraica applica alla stessa sostanza. Per gli Ebrei la lievitazione è infatti anche corruzione; la lievitazione migliora il sapore e la nutrizione degli impasti di grano – alimento vitale per eccellenza – ma anche li trasforma e li corrompe. Senza sapere di lieviti e batteri, la cultura ebraica associa la fermentazione alla decomposizione, ne intuisce la parentela pur non sapendo nulla dei microorganismi e delle loro azioni.

Farina di grano, olio e vino la triade mediterranea per questa focaccia. Triade essenziale lungo l’abisso dei tempi fimo a quando l’espressione alimentazione mediterranea trova ancora un suo senso. Almeno fino ai Fenici che sembra portarono i trabucchi l’antico sistema di pesca con reti fisse sulla costa di Abruzzo dove questo  piatto viene preparato e consumato così come anche all’interno, fino all’Aquilano.

 

Collezione privata Tonino Puglielli.


L’origine della ricetta sarebbe forse da ricercarsi nelle comunità israelitiche che nel tardo medioevo erano presenti in Abruzzo. Cultura affascinante quella ebraica comunque la si voglia guardare. Cultura perennemente in cammino, per la quale la tradizione, priva di una terra a cui fare riferimento, si è nutrita di idee e di parole, quello in fondo il patrimonio di tutte le comunità in cammino. E l’idea del pane lievitato come qualcosa da cui prendere le distanze perché “corrotto”, è idea di un pensiero astratto che molto ha ragionato sulle cose e sulla vita. Cibo sacro dunque, ma anche cibo frugale ed essenziale come può essere quello dei pastori. Comunità perennemente viandante che per millenni si è mossa nei pascoli tra le coste e i monti di tutto il Mediterraneo. La pizza scema come la “pizza ionna” di mais (da territori non molto distanti), il pane carasau sardo, come i panigacci in Lunigiana e come altri ancora è infatti anche pane della precarietà e della tregua sulla strada, condizione quotidiana dei pastori e dei mestieri erranti più che dei contadini, e che richiama l’esodo straordinario dalle terre d’Egitto, quando il pane di un popolo schiavo era lievitato: il consumo del pane azzimo è per la festa della Pesaq (Pasqua) ebraica il pane di quell’esodo.

 

E poi, dopo la centralità del grano, anche l’olio e il vino sono presenti in questa focaccia in apprezzabili quantità e non come semplice condimento, quasi ad aggiungere nutrimento alla sacralità, ad unire calorie ad un alimento che per i pastori e per la religione ebraica rimane quello della strada e del cammino. Cammino e nutrimento quotidiano per i pastori, cammino e nutrimento simbolici, memoria di un popolo intero una volta all’anno. 

La Pizza scima è ricetta in cui due mondi sembrano toccarsi, contaminarsi loro malgrado attraverso i luoghi e i millenni, attraverso le assonanze, le coincidenze, i rimandi, le intuizioni, le casualità che affiorano e che sempre hanno fatto la storia.

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