Risposta alla Lettera enciclica Laudato si'
Con questo articolo di Francesca Rigotti apriamo una discussione sulla recente enciclica papale con interventi di credenti e non credenti, filosofi, teologi e saggisti.
La lettera encliclica in generale non si rivolge soltanto ai membri della Chiesa Cattolica Romana ma a ogni persona che abiti questo pianeta quindi anche a me, che mi sento di conseguenza autorizzata a reagire e a esprimermi, come filosofa e come donna.
Nell’enciclica del 24 maggio 2015, Laudato si’, il primo e più importante punto sul quale reagisco concerne le varie osservazioni qui contenute secondo le quali le ferite inflitte all'ambiente sociale deriverebbero dall'idea che «non esistono verità indiscutibili che guidino la nostra vita», motivo per cui chi non le ha ritiene automaticamente che la libertà umana non abbia limiti (p. 7 e passim). La tematica viene più e più volte ripresa, affermata ma mai dimostrata né tanto meno argomentata quanto esposta in maniera perentoria: chi non riconosce il ruolo del Dio creatore si accosta alla natura con atteggiamenti da dominatore, consumatore e sfruttatore di risorse (sic, p. 11). Chi critica l'incremento demografico come concausa della crisi ecologica, appoggia e legittima l'attuale modello distributivo (sic, p. 39!). Chi ritiene che l'essere umano derivi da un gioco del caso ha una coscienza affievolita della propria responsabilità nella protezione del pianeta (sic, p. 92) e il suo rifiuto della trascendenza è «asfissiante». Chi giustifica l'aborto non difende la natura (sic, p.94). Chi non accetta le verità oggettive (quali se non quelle della Chiesa Cattolica Romana, se ne deduce, dal momento che esse non vengono ulteriormente illustrate?) è portato a trattare gli altri come oggetti, a «sfruttare sessualmente i bambini» (sic sic sic, p. 95) a darsi alla criminalità organizzata, al narcotraffico e al commercio di diamanti insanguinati e chi più ne ha più ne metta.
Ora, tale argomento è pericoloso, oltre che essere gravemente offensivo per chi non condivide i presupposti della CCR, e anche poco diplomatico proprio nel momento in cui cerca un dialogo tra fede e ragione allo scopo di salvare insieme il pianeta. Come si può proporre il dialogo e la collaborazione comune a chi non condivide le certezze assolute della Chiesa pur avendo a cuore la salvezza della terra, e poi insultare chi vive serenamente senza illusioni, fantasmi e certezze? Chi vive onestamente senza riconoscere una speranza trascendente al di là della storia? Chi vive nell'altezza pura della moralità umana, autonoma e autofondata, completamente devota al bene e al giusto? Chi esalta la capacità di autonomia che pensa l'uomo come la fonte delle sue rappresentazioni e dei suoi atti, e penso a figure come Isaiah Berlin e Judith Shklar, teorici e seguaci di un liberalismo negativo che pratica la filantropia, evita la sofferenza, lotta l'oppressione e considera il valore più alto il liberalismo che preserva dalla paura e invita al coraggio? Chi, come Albert Camus, esalta la sapienza di vita nell'immediato e immanente e non nel lontano e trascendente, chi segue infine l'etica dell'immanenza che richiede autocontrollo, indipendenza, autoresponsabilità e coraggio nell'affrontare da soli la verità[1]?
Parlo ora da prof., cambiando lievemente registro. Se l'enciclica firmata Franciscus fosse una tesi di primo o di secondo livello, bachelor o master, proporrei all'estensore di modificare la bibliografia, o, per essere più precisi, le note che fungono da bibliografia dal momento che una bibliografia vera e propria in questo testo è assente. Modificare in che senso? Nel senso che i testi sui quali poggia l'analisi sono tutti interni alla CCR, non solo, ma risultano essere in molti casi decisamente difficili da reperire al fine di un controllo dei contenuti, e soprattutto sono decisamente deboli dal punto di vista dell'impianto «scientifico». L'apparato delle note prende in considerazione quasi esclusivamente discorsi papali tenuti in varie occasioni prevalentemente da Giovanni Paolo II, talvolta Benedetto XVI o Paolo VI, riferimenti sporadici ad autori classici (Tommaso d'Aquino, Dante Alighieri, Paul Ricoeur, Romano Guardini e pochi altri), ma soprattutto, e in quantità esorbitante, a «Conferenze di vescovi cattolici» dell'Africa del Sud, dei Caraibi, delle Filippine, di Bolivia e Germania e Portogallo, Patagonia, Stati Uniti, Canada, Giappone, Brasile, Nuova Zelanda, Paraguay, etc. Tutto ciò potrebbe significare, da una parte, che si ascoltano voci provenienti un po' da tutta la terra, e questo è positivo. Ma quelle voci, dall'altra, sono anche difficilmente verificabili a un controllo scientifico e inoltre, essendo tutte di vescovi, sono anche tutte voci maschili, e qui il coro diventa un po' troppo monocorde ed esclusivo, perché esclude, come sempre e con grande disinvoltura, le donne, che vescove e cardinalesse non possono diventare, e nemmeno pretesse o papesse. Ma di questo in seguito.
Non ho gran pratica di encicliche e di lettere pastorali, tuttavia ricordo nella Lettera di Benedetto XVI sulla collaborazione dell'uomo e della donna etc.[2] ben altra solidità di impianto. Forse l'estensore dell'Enciclica Laudato si’ non ha studiato molto, se non cita neppure il testo più importante che in ambito ecologico sia stato composto, in prospettiva filosofica, e in più da un autore «credente» (in un Dio in parte diverso in parte simile al suo): mi riferisco a Il principio responsabilità di Hans Jonas (1979)[3], dove la problematica ecologica è sviscerata alla luce di un potente impianto teorico che cerca di giustificare i motivi profondi per i quali l'essere del mondo e la sopravvivenza dell'umanità (non del singolo essere umano) sono da sostenere con ogni impegno.
Ritengo che se l'estensore dell'enciclica avesse studiato forse non parlerebbe con tanta leggerezza della «potenza infinita» del Signore, definito Padre padrone del mondo (p. 60), al quale nulla è impossibile; se Dio nella sua potenza ha potuto creare l'universo dal nulla, può anche, scrive Franciscus, «intervenire in questo mondo e vincere ogni forma di male». Lo stesso Hans Jonas invece, e altri con lui, non riesce a conciliare i due aspetti della infinita bontà e dell'infinita potenza, e per salvare la bontà insieme alla comprensibilità del comportamento di Dio, propone di rinunciare alla sua onnipotenza. In un opuscolo del 1987 dal titolo, tradotto in italiano, Il concetto di Dio dopo Auschwitz[4], Jonas afferma che se Dio non intervenne ad Auschwitz fu perché «non fu in grado di farlo», e se non fu in grado di farlo, è perché un Dio assolutamente buono e assolutamente onnipotente, e che nonostante ciò supporta il mondo come è, sarebbe un Dio totalmente incomprensile. Se per comprenderlo non possiamo rinunciare alla bontà – conclude Jonas – non resta che rinunciare all'onnipotenza[5]. E nemmeno la spiegazione della libertà umana che genera il male regge all'obiezione di Jonas (che sviluppa il vecchio teorema di Epicuro), dal momento che Dio, nella sua infinita onniscienza e prescienzia (insieme alla bontà e alla potenza il terzo attributo divino) non poteva non sapere che l'uomo avrebbe abusato della libertà facendo il male e di conseguenza tutti i mali generati dall'uomo «sono dovuti alla libera scelta di Dio»[6].
Perché mi interesso di questioni teologiche? Forse perché sono le più affini a quelle filosofiche sulle quali sono solita lavorare, e perché ritengo che punti così impegnativi, quali il rispetto e la protezione del pianeta, richiedono un fondamento teorico solido. Fondamento che non individuo nelle parole dell'enciclica, la cui parte «pratica» risulta in gran parte condivisibile ma non adeguatamente fondata. Se non mi soffermo su questo è perché andrebbero mutate le premesse, anzi i postulati da cui tutto viene fatto derivare.
L'accusa a Franciscus di scarso studio, che qui ho ripreso, gli è stata rivolta da Robert Spaemann, decano dei filosofi cattolici di lingua tedesca, che in una recente intervista gli ha rimproverato anche disinteresse teologico e tratti autoritari, nonché gestione caotica del papato[7]. Mentre su quest'ultima non mi sento di intervenire, mi associo anche alla critica della gestione autoritaria, in relazione per esempio al sacerdozio femminile. Su questo punto, ha affermato Mario Bergoglio, non ci saranno modifiche, il sacerdozio femminile è escluso. Punto. Passiamo ad altro.
Eppure nella Enciclica Laudato si' Franciscus sembra disposto a concedere apertura nei confronti dell'interpretazione delle Scritture. È nota l'accusa rivolta alla dottrina giudaico-cristiana di avere di fatto giustificato per secoli lo sfruttamento e la dominazione della terra da parte dell'uomo sulla base del racconto del libro della Genesi dove Adamo è esortato a imporre i nomi alle bestie (segnale della sua sovranità su di esse) (2, 19) e a dominare sugli esseri della terra (1, 18). Ebbene, su questo punto Franciscus invoca una nuova ermeneutica che interpreti diversamente quelle frasi facendo dire loro che in realtà non se ne può dedurre il dominio assoluto dell'uomo sul resto della natura. Bene. Allora se si riesce in questa rocambolesca operazione, perché non applicare una nuova ermeneutica anche alla posizione della donna, che smetta di escluderla e di trattarla da minore?
[1] Charles Taylor, A Secular Age, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (MA) | London 2007, p. 627. Tr. it. L'età secolare, Feltrinelli, Milano 2009; e Thomas Simons, Albert Camus' Stellung zum christlichen Glauben, Peter Hanstein Verlag, Königstein/Ts. 1978.
[2] Joseph Ratzinger, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, supplemento a «L'osservatore romano», domenica 1 agosto 2004, pp. 1-4.
[3] Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation, Insael Verlag, Frankfurt am Main 1979. Tr. it. Il principio responsabilità. Un'etica per la civiltà tecnologica, a cura di P.P. Portinaro, Einaudi, Torino 2002.
[4] Hans Jonas, Der Gottesbegriff nach Auschwitz. Eine judische Stimme, Discorso tenuto a Monaco alla Giornata Cattolica nel luglio del 1984 e pubblicato a Francoforte da Suhrkamp nel 1987. La traduzione italiana è successiva di dieci anni: Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, tr. it. di Carlo Angelino e Maurizio Vento, il melangolo, Genova 1997.
[5] Ivi, pp. 33-36. Cfr. Fabio Minazzi, Filosofia della Shoah. Pensare Auschwitz: per un'analitica dell'annientamento nazista, Giuntina, Firenze 2006, pp. 53-54.
[6] Pierre Bayle, Dizionario storico-critico, p. 58, citato da F.Minazzi, vedi sopra, p. 56.
[7] https://www.herder-korrespondenz.de/autoren-und-interviewpartner/s/robert-spaemann. Cfr. anche «Information Philosophie», 2, giugno 2015, p. 132