Speciale

Jazzi. Secondo natura / Sabbia

28 Agosto 2016

 

Jazzi è un programma di valorizzazione del patrimonio ambientale dell'area di Licusati (Camerota) a ovest dell pendici del Monte Bulgheria nel Parco Nazionale del Cilento e dell Vallo di Diano, per abitare la relazione con la natura. 

 

La serie dei testi Secondo Natura vuole evidenziare il medesimo ritorno alle esperienze sensoriali

riferendosi a quegli elementi che incontriamo ogni giorno nel mondo intorno a noi: acqua, vento, onde, nuvole, sabbia, polvere, pietre, stelle, eccetera. Un viaggio sensibile e intellegibile che auspichiamo, sulla scorta degli antichi poeti e filosofi, sia davvero secondo natura.

 

Tutti si sono sdraiati almeno una volta nella loro vita su un arenile a prendere il sole, e se ancora non l’hanno fatto –cosa improbabile – , lo dovrebbero fare al più presto: un’esperienza indimenticabile. Sabbia uguale a mare; ma c’è anche la sabbia di fiumi, torrenti e laghi. Inoltre ci sono tanti tipi di sabbia di mare: grigia a Cesenatico, nera nelle Eolie, bianca nell’oasi di Vendicari, rossa nelle coste del Senegal; e poi il ghiaino bianco e grigio del Caspio, i minutissimi sassolini di Maratea, le sabbie rosa dei Caraibi, e altre ancora. Grazie ai viaggi low cost oggi ci spingiamo sempre più lontani dall’Italia, alla ricerca di spiagge nel Nord o nel Sud del Mondo, e la tentazione di tornare con una manciata di sabbia di quel luogo è sempre forte.

 

Cyprien Gaillard, Video still from Artefacts(detail), 2011, HD film transferred to 35 mm, continuous with sound. © Cyprien Gaillard, Courtesy Sprüth Magers Berlin London; Bugada & Cargnel, Paris; and Laura Bartlett Gallery, London

 

Ma cos’è esattamente la sabbia? Un tritume di minerali sotto forma di granelli, scaturiti dalla demolizione di rocce preesistenti. La parola italiana con cui la indichiamo – “sabbia” – è di origine indoeuropea e ha avuto la meglio nel linguaggio corrente rispetto al toscanismo “arena”, o “rena”. La sabbia possiede un grande fascino; non sappiamo dire perché. William Blake ha scritto: “Per vedere un Mondo in un granello di sabbia e/ un Cielo in un fiore di prato/ ferma l’infinito nel palmo della mano e/ l’Eternità in un’ora”. Dal punto di vista scientifico un granello di sabbia è un frammento di roccia dalla forma irregolare, il muto ricordo delle montagne di un tempo, dei fiumi e dei deserti, di milioni di anni di sollevamenti e abbassamenti della crosta terrestre.

 

Raymond Siever, un geologo americano, docente a Harvard, ha scritto un libro intitolato Sabbia (Zanichelli), in cui guida i lettori alla scoperta della più piccola entità appartenente alla superficie terrestre: il granello di sabbia. I geologi definiscono sabbia le particelle dal diametro compreso tra 1/16 di millimetro (0.0625) e i 2 millimetri; dopo i 2 millimetri abbiamo le ghiaie e i ciottoli; sotto 1/16 di millimetro ci sono invece i granelli di limo. Le sabbie chiare possono essere costituite da granelli quasi perfettamente sferici, lisci, di un solo materiale, il quarzo, uno dei più semplici componenti chimici della crosta terrestre, oppure mescolanze grigio-scure di rocce vulcaniche e silicati.

 

Gabriel Orozco, Sand on Table, 1993, Silver dye bleach print

 

Siever sostiene che i “granelli di sabbia sono poliglotti”, ovvero parlano in termini di minerali e composizione chimica, tessitura e dimensione, età geologica e tante altre proprietà, così numerose che diventa persino difficile elencarle tutte. Seduti su una spiaggia marina a prendere il sole, a leggere un libro, o invece intenti a fabbricare castelli di sabbia insieme ai bambini, sorge spontanea una domanda: ma da dove viene tutta questa sabbia? Si tratta del prodotto di fenomeni d’alterazione, frantumazione e disaggregazione delle rocce. La sabbia narra all’occhio dell’esperto come operano i processi di alterazione ed erosione, come fiumi e venti trasportano pezzi della Terra, e come si muovono le correnti sul fondo degli oceani. La maggior parte dei granelli che ci scivolano tra le dita della mano, durante un’assolata giornata estiva, sono arrotondati. I loro lati e i loro spigoli sono stati smussati dall’abrasione che agisce quando l’acqua di un ruscello e il vento rimuovono la sabbia dal loro luogo d’origine; i granelli urtano gli uni contro gli altri come palle da biliardo. I granelli di sabbia sono per loro natura viaggiatori. Un piccolo soffio di vento spinge via i più piccoli, e un corso d’acqua di scarsa portata trasporta quelli medi. Come sa chi ha camminato su una duna durante una giornata ventosa, i granelli saltellano dappertutto, infilandosi in ogni fessura, e anche questo è un fattore di erosione, oltre che mezzo sicuro di viaggio.

 

Francis Alÿs, When Faith Moves Mountains, 2002, In collaborazione con / In collaboration with Cuauhtémoc Medina e / and Rafael Ortega Courtesy l’artista / the artist, Galerie Peter Kilchmann, Zurich, ©the artist

 

Molte sabbie sono riciclate o, come scrive Siever, “i granelli di sabbia non hanno anima ma sono reincarnati”. Metafora quanto mai suggestiva. Come fanno ad arrivare a riva? Dopo essersi deposti sul fondo di un mare, i granelli vengono seppelliti sotto strati di sedimenti successivi; più tardi il sollevamento di una catena montuosa – evento lentissimo – porta alla superficie le rocce che vengono riesumate ed erose per essere trasportate e depositate altrove. Ogni ciclo di deposizione, seppellimento, sollevamento ed erosione fa rinascere i granelli, e finisce per arrotondarli un po’ di più. Il processo dura all’incirca 200 milioni di anni, così che un granello di sabbia del Devoniano, depositato 380 milioni di anni fa, potrebbe essere stato riciclato almeno dieci volte, dal momento che fu eroso, ipotizziamo, da un granito circa 2.4 miliardi di anni fa. In questo modo la sua storia – la sua carta d’identità – abbraccia almeno metà della vita della stessa Terra. La ragione per cui la sabbia esercita su di noi un fascino sottile dipende dal fatto che rappresenta la sostanza ultima del mondo. Facendola scivolare tra le dita della mano, facciamo passare, come in una clessidra, il fondamento stesso del mondo – e probabilmente del tempo. La sabbia è il mondo eroso, sminuzzato, ai minimi termini; è ancora mondo, e tuttavia non è più il mondo. Dopo la sabbia non c’è più nulla, solo il limo, il fango, l’argilla, che poi sono anche il luogo da cui, come narrano i miti cosmogonici di molti popoli, è scaturita la vita. La sabbia, no. Essa è ancora un elemento minerale; suggerisce immagini di riduzione ai minimi termini, di silenzio e immobilità, nonostante il suo continuo fluire. Questo colpisce in quello che ci dice Sivier: la mobile immobilità della sabbia.

 

Nel 1974 Italo Calvino visita una mostra parigina. Un’artista, una donna, ha esposto in mezzo ad altre opere una collezione di vasetti di sabbia provenienti da innumerevoli spiagge del mondo. Lo scrittore è attratto da questi oggetti che ai suoi occhi hanno molte cose da dire, “attraverso l’opaco silenzio imprigionato nel vetro delle ampolle”. Lo scrittore vi legge un desiderio recondito: allontanare “da sé il frastuono delle sensazioni deformanti e aggressive, il vento confuso del vissuto, e avere finalmente per sé la sostanza sabbiosa di tutte le cose, toccare la struttura silicea dell’esistenza” (Collezione di sabbia). Forse, scrive, “fissando la sabbia come sabbia (…) potremo avvicinarci a capire come e in che misura il mondo triturato ed eroso possa ancora trovarvi fondamento e modello”.

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