Ugo Mulas. Circus Calder

24 Febbraio 2014

C'è una mostra in corso, a Merano, nell'edificio Cassa di Risparmio di Merano Arte, organizzata da Valerio Dehò in collaborazione con l'Archivio Mulas di Milano, e parecchi mezzi d'informazione ne hanno dato notizia con un certo risalto.

 

Si tratta di trentasei fotografie di Ugo Mulas, scattate tra 1963 e 1964, che hanno per oggetto il famoso Circus Calder.

 

Il Circus Calder o Cirque Calder è un insieme di piccole sculture fatte col fil di ferro, spago, gomma, stracci e altri materiali poveri o poverissimi, che rappresentano uomini e animali, del circo appunto.
Alexander Calder nel 1925 lavorava per la "National Police Gazette" e aveva avuto l'incarico di ritrarre scene circensi.

 

 

L'anno dopo, forte di quell'esperienza, a Parigi, creò il suo circo personale, con gli oggettini di cui sopra, tanto piccoli da stare in una valigia ed essere poi tirati fuori al momento giusto per improvvisare spettacoli di cui egli, Calder, era regista assoluto, facendo muovere a piacimento i suoi trapezisti, i suoi pagliacci, i suoi domatori e animali feroci in miniatura.

 

Si tratta quindi di un'opera giovanile di Calder. Ritratta quarant'anni dopo, in un rigoroso bianco e nero, da Ugo Mulas che aveva conosciuto Calder a Spoleto nel 1962 e ne era diventato amico.

 

Ho visitato la mostra, disposta su tre stanze spoglie, col pavimento di legno, il quattro febbraio, mentre la città di Merano era preda d'una pioggia battente e, nell'edificio Cassa di Risparmio, ero completamente solo.
Queste sono le mie impressioni.

 

La storia del rapporto tra circo e arte è quella di una lunga fascinazione. Nel 1970 Jean Starobinski pubblicò un magnifico volume per Skira dal titolo Portrait de l'artiste en saltimbanque, tradotto 14 anni dopo per Boringhieri. In esso venivano ripercorse alcune tappe fondamentali di questo rapporto. Pittori come Seurat, Toulouse-Lautrec, Daumier, Ensor, Rouault, Chagall, Picasso e altri ancora avevano subìto la malia del circo. Dalla quale non erano state certo immuni anche schiere di letterati, a partire dal Baudelaire di Le vieux saltimbanque (Il vecchio saltimbanco) nello Spleen de Paris. Lì l'identificazione dell'artista e del personaggio circense è perfetta: il saltimbanco invecchiato, curvo, cadente, decrepito è la proiezione, dichiarata apertamente, dell'uomo di lettere superato dalle nuove mode, dimenticato, senza amici, senza famiglia, senza figli. Completamente isolato.
Le due figure sono l'una lo specchio dell'altra.

 

Parecchi anni dopo, nella quinta Elegia del ciclo duinese, Rilke si serve ancora dell'immagine dei girovaghi, degli acrobati del circo, per rappresentare un movimento perpetuo che non trova mai il suo adempimento, che è figura di un'insoddisfazione perenne, e che forse, solo in un mitico domani sempre rimandato, conoscerà la sua celebrazione finale e sarà davvero realmente placato.

 

 

Ma cosa non sono stati capaci di vedere, nelle evoluzioni dei personaggi del circo, artisti e letterati!
Non c'è solo il buffone, il clown, in cui, da parte di scrittori e pittori, proiettare il senso della propria irrilevanza sociale, la fine del mandato, il sentimento d'esclusione.

 

In un semplice circo si possono leggere echi di arcaici riti sacrificali. Vi si possono reperire tracce di cerimonie funebri, dato che il balzo dell'acrobata e l'abilità del contorsionista hanno la funzione di tener lontana la morte, mimando l'incontenibile momento sorgivo della vita.

 

Oppure, da certi numeri circensi, emergono figure dello slancio ottimista verso l'alto, miti di ascesa - o di caduta verso l'abisso.

 

Eppure, quasi a contraddire tutta questa fioritura di interpretazioni profondissime e sottili, in un suo saggio uscito in volume nel 1975 (Dai giganti buffoni alla coscienza infelice), Gianni Celati ammoniva che naturalmente teso all'anagogia per la struttura teologica e drammatica del proprio sapere, l'artista borghese sa solo vedere simboli e segni là dove sono miserabili cose, poveracci che fanno il loro mestiere.

 

 

Ecco, a me pare che Calder, con queste sue sculture minime e demistificanti, abbia semplicemente voluto riportare il circo a questa sua dimensione autentica di poveracci che fanno il loro mestiere. E le sue mani, le mani dell'artista Calder, demiurgo assoluto del suo circo in miniatura, sostituiscono egregiamente quelle mani occulte, le mani della Necessità, della Volontà Oscura, che, secondo il Rilke della quinta Duinese, "incalza e torce, piega e intreccia, lancia e butta e acchiappa" saltimbanchi e trapezisti. No, quelle mani, non sono quelle di una forza misteriosa, ma quelle, giocherellone, di un "ingegnere che si è fatto meccanico" (Argan), cioè lui, Calder, medesimo.

 

Le foto di Mulas, vero artifex additus artifici, cioè artista aggiunto a artista, con quel loro bianco e nero ghiacciato, di contro ai colori esplosivi del Circus originale, paiono voler demistificare ulteriormente, qualora ve ne fosse bisogno, la lettura metafisica del circo, quale è stata fatta da Baudelaire in poi.
La mostra sarà aperta fina al 18 maggio 2014. Il catalogo, al momento non ancora disponibile, è edito da Corraini, Mantova.

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