Il rischio della reductio ad nullum fabiovolista / Una ciancia cool

25 Gennaio 2017

Credo che non sarebbe difficile mettere rapidamente insieme una lista di libri nei quali il nucleo di interesse sta tutto in pochissime righe e tutto il resto è un cumulo di pagine pressoché inutili. Una buona battuta, breve, una riflessione fulminante preceduta e seguita da una inconcludente e sfibrante lunga chiacchiera. È la “poetica del dado”, un minimo nucleo densissimo diluito in una quantità d’acqua. Se il fine è fare una minestrina va tutto bene, ma se un libro è una brodaglia allora non ci siamo. (Per onestà e completezza va detto che ci sono anche non pochi libri che non contengono nemmeno quel piccolo nucleo di sostanza…).

 

Ogni giorno a una qualche ora diamo una prima scorsa al web, ciascuno di noi ha il suo proprio panorama, la sua finestra da cui si affaccia sul mondo per capire che succede. In questo panorama ci sono sempre anche un mucchio di fiorellini, di graziose piantine decorative che ingentiliscono la finestra, una sorta di packaging edulcorante che infiocchetta le crudeltà del reale. Sono quelle antologie di aforismi, citazioni e brillanterie varie di cui tutti ci circondiamo e con cui pensiamo di allietare il (nostro) mondo. 

 

Ci sono siti specializzati (c’è persino “iltempiodellaforisma”…) da cui ognuno trae energia, repertori sterminati provenienti dal saccheggio sistematico di tutta la cultura umana dalle origini. Dai poeti e filosofi, ai calciatori più celebri. A parte i pochi grandi aforisti, i Kraus e i Wilde, per tutti gli altri si tratta di estrapolazioni che, naturalmente, non rendono mai giustizia anche di una sola parte del loro pensiero. E su questo tra poco torneremo. Altri preferiscono fare da soli andando a cercare direttamente nelle proprie letture qualche passaggio particolarmente significativo in sé, un bel giro di frase, un pensierino oggettivamente interessante. Quello che conta è comunicare subito al mondo, tramite la voce di altri, il proprio momentaneo scatto di sensibilità, l’emozione fuggente troppo bella per essere lasciata scorrere nel tutto indistinto.

 

Amici e follower vengono nutriti di questa varia acuzie, e loro ci ripagano restituendoci altrettante belle finezze. Sarebbe facile prendere la collezione odierna di perle culturali che mi è stata messa a disposizione, ma non lo farò per non mancare di rispetto a nessuno. Tra quelli che mandano la frase famosa, la giusta sentenza o il pensierino che mi mancava, ci sono persone degnissime, molto intelligenti e sensibili, e nessuna di queste ha fatto qualcosa di male a mettere in rete quelle belle cose. Anzi, io le voglio ringraziare, queste persone, per aver condiviso anche con me le preziosità rare che sono venute a scoprire.

 

Chiaro che non è in discussione l’arte aforistica, né la umanissima ansia di condivisione, ma la sintomatica voga internettiana di indugiare su questi pezzettini di pensiero che ha come risultato finale una banale accozzaglia inconsulta, molto simile a quella di certi scadenti film fatti dai comici che si limitano a inanellare una lunga e piatta serie di gag e battute, in sé anche non pessime, ma senza una vera costruzione drammaturgica che dia spessore all’idea complessiva. Da qui alla reductio ad nullum fabiovolista il passo è molto breve. 

 

Non so tutto, naturalmente, e mi fa molto piacere venire a conoscenza di queste innumerevoli piacevolezze intellettuali, ogni giorno ne imparo di nuove, ma purtroppo ho sempre più netta la sensazione che tutto ciò alimenti una grande immensa chiacchiera. Questo fiume di bei pensierini mi pare vada a ingrossare il flusso di semplificazione generale, e quindi di approssimazione, che si respira nell’aria che tira. Uno scorrere incessante di frammenti: di cultura, arte, scienza, intelligenza, raffinatezza, sensibilità, tutto spezzettato, sminuzzato, una poltiglia di estremamente-buono che ci inonda copiosa. E l’effetto sembra esattamente quello dello spaesamento conoscitivo prodotto dall’informazione globale, è come se i saperi venissero suddivisi in tante entità minuscole e lanciati nel mondo fino a perdere la loro struttura. Libri con un nucleo di senso ridotto, ridottissimo.

 

Con i bocconcini giornalieri di saggezza si produce parcellizzazione, divisione, separazione. Uno va di qua, uno di là. Non c’è una narrazione unitaria, le storie del mondo fatte a pezzi si disseminano e si disperdono e si confondono. Il potere critico smembrato si snerva. Mi chiedo se un giorno ci saranno dei nuovi pionieri che, come i cercatori d’oro, le ripescheranno, un grammo qua e uno là, e le rifonderanno in nuovi lingotti preziosi. 

 

Mi è parsa utile la provocazione di Barbara Carnevali Contro la Theory (“Le parole e le cose”, 19 settembre 2016). Che cos’è la Theory? È “quella specie di scolastica postmoderna nota a chiunque insegni una materia umanistica all’università: un amalgama di idee e formule di varia provenienza disciplinare (prevalentemente filosofia, psicanalisi e sociologia), estratte da un canone di autori disparati ma accomunabili in una generica postura radicale (Marx, Nietzsche, Lacan, Foucault, Deleuze, Bourdieu, Agamben, Said, Spivak, Butler, Žižek, l’onnipresente Benjamin, l’uscente Derrida, la new entry Latour…), fuse in un solo crogiolo e ridotte a un’agenda tematica angusta: il potere, il bios, il genere, il desiderio e il godimento, il soggetto e le moltitudini, la coppia dominanti-dominati, il capitale e lo spettacolo, etc.”.

 

Qual è la principale debolezza della Theory? È “la perdita di tutti gli attribuiti specifici che hanno fatto la grandezza e la potenza critica della filosofia nelle sue diverse scuole e tradizioni”, la Theory “non ha né la voglia né la pazienza di andare a fondo di una questione, perché antepone sempre risposte veloci e pronte all’uso alla fatica del dubbio e del concetto”. Anziché interrogarsi sulle cose la Theory “compie il gesto inverso: schiaccia la specificità del suo oggetto sulle solite, risapute “teorie”.” 

 

 

Se è certamente sciocco sopravvalutare questo fenomeno dell’eccessivo ricorso alla citazione arguta ( lo ripeto, può essere una manna quotidiana che ci viene elargita), penso tuttavia che sia un comportamento da contenere, da sorvegliare evitando di immettere nel sistema di circolazione culturale dei fattori di genericità e confusione che sono sempre un pericolo soprattutto, va detto forte, per chi non ha strutture critiche abbastanza robuste con cui elaborare tutte queste “pillole intelligenti” e farle funzionare veramente in un sistema cognitivo complessivo. È facile creare l’illusione che quelle massime e sentenze possano bastare a organizzare la propria socialità, e anche la propria interiorità. All’insegna della brevità, della rapidità, della “consumabilità”. Insomma: alimentarsi di belle frasi non serve a nulla. È “fare Theory”, non riflettere per davvero.

 

Carnevali conclude il suo sfogo contro la Theory esprimendo la preoccupazione che, indebolendosi il libero pensare critico, “il pensiero perda la sua ragione di essere riducendosi a un supermercato di idee prefabbricate e modulari da comprare in stock e poi assemblare a casa come i mobili dell’Ikea.”

 

Anche nella vita di tutti i giorni se il lato culturale diventa una chiacchiera sterminata, non può che produrre una inerte superficialità diffusa (una festa per i marpioni globali…), non una istanza socio-culturale solida e profonda. Se le nostre riflessioni – sminuzzate – confluiscono in un indistinto grande intestino, insomma, se le idee si fanno pancia, entrano in funzione le macchine emotive, se non umorali, degli istinti. E proprio la chiacchiera collettiva, la polvere di razionalità, formano il brodo di coltura perfetto per le avventure politiche. Le peggiori esperienze storiche moderne si sono formate lentamente, si sono insinuate nelle società sotto le spoglie del malumore, della generica scontentezza, del mancato appagamento immediato, e degli slogan più fulminanti seminati ad arte, di pochi luoghi comuni e semplici pregiudizi, di pensierini tanto corti quanto fuorvianti sapientemente propagati, prima di esplodere tutte in un colpo e lasciare il mondo “attonito”, nelle mani sbagliate.

 

Rifiutare la riflessione premasticata, anche quando è buona come un cioccolatino, vale per il pensiero filosofico, ma anche per il nostro pensare quotidiano. Va bene avere molte frecce raffinate al proprio arco, un mucchio di belle cosine da dire a grandi e piccini, amici e figli, ma occorre riflettere sul rischio che corriamo se alla fine non riusciamo a fare altro che mettere insieme una dilagante e raffinata ciancia. Una ciancia cool.

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