Indicativo presente | Duecento giorni in classe / Vacanze brutte
Non credo che ci facciano così bene, le “vacanze”. «Vacanza» significa che manca qualcosa che prima o poi ci aspettiamo che ritorni. Dovrebbe essere una decompressione dopo una pressione. Questo meccanismo dello strizzarci e del rigonfiarci, come spugne, è la metafora della resilienza, che sicuramente è una delle virtù fondamentali per vivere. Ma applicato a un incontro sociale, di scambio cognitivo e affettivo come potrebbe essere la scuola non va molto bene. La vera mutazione sociale che vedo è che la scuola non è più per i ragazzi un “terzo tempo” dopo quello della famiglia e delle esperienze infantili o adolescenziali tra coetanei, in luoghi franchi o comunque in-dipendenti dai centri di educazione-controllo (famiglia, scuola). Non hanno più luoghi dove incontrarsi, condividere giochi, o litigi, o innamoramenti. Non giocano più a pallone nei cortili o nei prati.
Nei condomini con aree verdi è «vietato schiamazzare o giocare al pallone», perché si disturbano pensionati irascibili e misantropi che non hanno più i loro circoli dopolavoristici o sindacali o politici o religiosi. Siamo confinati nei nostri micro-appartamenti, dove le relazioni obbligate tra consanguinei o “famigliari” diventano ancora più rilevanti e esacerbanti. I ragazzini di prima o seconda media, che hanno 11-12 anni, non escono praticamente mai da soli o in gruppo. Si spostano da casa a scuola, da scuola a casa, se sono fortunati da casa a un luogo dove praticano uno sport per una decina di ore alla settimana. Lo sport, inteso soprattutto come “pratica del corpo e dei muscoli” separata dalle attività “della mente”, nelle scuole ha ancora un ruolo clamorosamente e dissennatamente minoritario. Ora forse arriveranno docenti di scienze motorie nella primaria, finalmente, ma lo sport oggi, rispetto alla scuola statale, ha ancora il giusto mix per declinare le regole del comportamento di gruppo, e valori piuttosto rilevanti come la tenacia, la disciplina e il rispetto degli altri, avversari o compagni.
Mentre il militarismo ambientale dei grandi edifici scolastici (che sono oggi la quasi totalità delle nostre sedi educative) privato di svariati deterrenti disciplinari sta crescendo in impotenza e deliri, lo sport (nato presso i Greci come allenamento militare in tempo di pace) ha ancora una buona influenza sui ragazzi, che nel “mister”, nel coach, possono riconoscere quella figura terza di educatore-non-famigliare, in qualche modo non obbligatorio ma scelto, che è il punto di leva fondamentale per triangolarsi in una idea di mondo alternativo alla trappola domestica.
L’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze invernali (sempre più difficile parlare di “buon Natale” o di “felice anno Nuovo” in classi dove la metà di loro ha altri profeti o altri calendari…) sono entrato in classe le due ultime ore: potenzialmente, il peggio del peggio; in sala insegnanti ci si preparava a entrare in classe alle 12 come un commando anti-terroristico prima di passare in azione. Come entro in classe, con simpatia corale e tendenziosa ecco il prevedibile coro: «Oggi non facciamo niente, vero prof?». Un corno! Come non facciamo niente? Contratto: «Se mi fate parlare di economia globale un’ora (Geografia), l’ora successiva andiamo in LIM e vi garantisco di sciallare». Il patto regge abbastanza: la Geografia è una disciplina straordinaria, tra tutte le tradizionali direi che oggi è quella che si presta meglio allo sforzo di trasversalità, connessione dei dati per costruire ragionamenti di causa-effetto.
C’è di tutto! Fisica, chimica, geologia, botanica, antropologia, storia, lingue e religioni, matematica statistica, big data, economia, astrofisica, meteorologia… Io dico: guardate fuori dalla finestra: siamo immersi nella Geografia. Come faccio a far loro capire l’attuale configurazione del capitalismo consumistico globale e on line? Guardatevi: cosa avete addosso? Uno smartphone: costruito da una multinazionale cinese, coreana o americana, dopo che sono sparite multinazionali svedesi o americane; con parti di litio o nichel che si estraggono soltanto in poche miniere al mondo, comprate da multinazionali: chi le controlla? Mwaka interviene: «Li fanno estrarre anche a bambini sottopagati!». Good. Che scarpe avete ai piedi? Nike con un nome greco, di un multinazionale americana che li fabbrica dove? I biscotti Oreo che comprate per fare merenda nell’intervallo utilizzano olio di palma su campi spianati nelle foreste del Borneo sterminando oranghi e centinaia di altre specie vegetali ecc.
In aula LIM, poiché non hanno ancora appreso a concordare alcunché fra di loro, faccio preparare da Mariella i bigliettini con i nomi di ciascuno. Cantiamo? Balliamo? Lo so come va a finire: a uno piace un pezzo alle altre no, alle ragazze piacciono canzoni cantabili, anche melodiche, ai maschi no (al massimo hip-hop “puttane-culi-soldi-xanax”); chi vuole estrarre? Lei, prof. Così cantano, e tento di cantare con loro: Ghali, Sfera Ebbasta, Alan Walker, Te De Campana, Dark Polo Gang, e scrivo tutto nel registro elettronico: «dancing karaoke lectio brevis a sorteggio»; Quando scelgono Ya lili, e il video del rapper tunisino Balti girato con semplicità commovente da Mohamed Missaoui, il coro è locale e globale; tutti si sentono dentro quella storia: un ragazzino viene picchiato e mortificato dal padre; la madre cerca di proteggerlo, ma prende botte anche lei.
La mamma si strappa l’anello coniugale e scappa di casa piangendo, il ragazzino scappa dallo zio che lo abbraccia, consola, camminano insieme sulla spiaggia; e alla fine ragazzino, madre e zio si sdraiano su un prato felici nella loro nuova unione fondata sull’amore e sulla scelta, cose rare nelle famiglie post-presepe. Cantiamo insieme in arabo questo inno al rifugio e al conforto, loro e lo zio prof, prima di andare quindici giorni, separati, nelle nostre solitudini e nelle nostre trappole famigliari:
Voglio volare, volare in alto
ma vorrebbero tagliarmi le ali.
Le persone per strada non sanno niente
prendono droghe, vedono la vita negativamente
come in un deserto, si drogano
per vedere la vita più dolce.
Sì, sono perso tra queste mura
e la nostra strada è nelle mani dei malvagi.
Mamma, mi hanno obbligato a rimanere in silenzio
in ginocchio davanti ai ladri.
Voglio andarmene, mamma
non voglio vivere una vita miserabile
e finire drogato come il figlio del mio vicino.