Bowie è risorto su una stella nera

11 Gennaio 2016

«La celebrità non è il tuo cervello, è una fiamma che ti consuma per renderti un martello» cantava David Bowie in Flame, la canzone di Young Americans cui collaborò John Lennon, l’album che lo vide battezzarsi nelle acque afroamericane del rhythm ’n' blues esattamente al centro degli anni Settanta (1975). L’inglese David Robert Jones era nato a Brixton l’8 gennaio del 1947, ed è morto il 10 gennaio 2016, dopo 69 anni di vita di straordinarie creazioni. «È morto in pace, circondato dalla sua famiglia» recita il post sulla sua pagina ufficiale Facebook. Diciotto mesi di lotta contro il cancro: tutto il tempo per risistemare le sue tante vite, i suoi tanti avatar teatrali (Ziggy Stardust, Halloween Jack, Nathan Adler, The Thin White Duke); tutto il tempo per meditare sulla morte e pubblicare il suo ultimo disco Blackstar in coincidenza misteriosa con la sua morte; tutto il tempo per scrivere Lazarus e lasciarsi filmare in un video perturbante come i primi corti di David Lynch: degente in una branda di asylum desolante e agghiacciante, con gli occhi fasciati di bende di mummia e due borchie sugli occhi, delirante come un “pazzo” non sedabile e assediato da un succubo eccitante, non la vecchia orrenda delle credenza medievali, ma una splendida modella seducente ed erotica che sguscia da un armadio miserabile, un portale sull’aldilà; piastrelle bianche di morgue… la bella mano di lei che sale sulle lenzuola ruvide da sotto la branda… il morto risorge nel suo ultimo avatar, Lazzaro resuscitato dall’ultima fiamma di energia sessuale, l’energia del cosmo da cui David veniva, e in cui è tornato a nascere, su una stella nera: in una tutina da mimo il ridicolo artista accelera i gesti da altri gestiti come una marionetta, con una penna stilografica si getta sul suo taccuino... scrive nuove parole, le ultime della sua vita o – come canta Bowie – le prime del suo Paradiso poco consolatorio:

 

guarda qui, sono in paradiso
ho cicatrici che non possono essere viste
ho un dramma, non può essere rubato

tutti mi conoscono, ora

in questo modo o in nessun modo

sarò libero, sai

come quell’uccellino azzurro

 

 

 

 

In una intervista, una delle tante in cui guardava esterrefatto la stupidità del giornalista televisivo che gli faceva domande banali, diceva: «Per me il rock ‘n' roll non è che un media, un canale di espressione, nessuno ci aveva mai pensato. Volevo essere un istigatore di invenzioni, di nuove idee, aprire la gente a nuove prospettive. Ho molte personalità, come un attore che recita tanti personaggi in diversi film. Ho sempre voluto essere un catalizzatore. Io non sono una rockstar, io non sono nel rock ‘ n roll»

 

 

 

David comincia dalla scena jazz del London West End, a 13 anni, il suo primo strumento è il sax. Nel 1966, a 19 anni, schizza al quinto posto della UK chart con Space Oddity. A inizio Settanta produce Lou Reed, attraversa il punk, e sbarca a Berlino dove produce la trilogia di Low (1977, un disco che incantò Philip Glass, che nel 1992 compose la sua Low Symphony), Heroes (1977) con Brian Eno e Robert Fripp, Lodger (1979, ancora con Brian Eno). La sua ultima performance dal vivo è stata uno spettacolo di beneficenza del 2006 a New York.

 

 

David Bowie si è nutrito di tutti i capitoli della storia musicale degli ultimi decenni, ha divorato tutto come un mutante che prolifera di sembianti e che nella sua poesia per musica non ha mai illuso nessuno, né quando interpretava la gioia frustrata della giovinezza onnipotente, né quando testimoniava la nostra lotta continua contro l’angoscia e la disperazione. Le aveva provate tutte anche lui: arte, droga, sesso, matrimonio, figli, e alla fine degli anni il buddhismo tibetano, con quattro settimane in un monastero in Scozia. Dieci anni fa il buddhismo era ancora in lui, in qualche parte del cosmo e dei suoi volti mutanti; come dichiarò a Mick Brown del “Daily Telegraph” gli  restava dentro «l'idea dell’impermanenza e che non c'è niente cui aggrapparsi, che a un certo punto dobbiamo lasciare andare ciò che consideriamo a noi più caro, perché la vita è molto breve. La lezione che ho probabilmente imparato più di qualsiasi altra è che la mia soddisfazione viene da questo tipo di ricerca spirituale. E questo non significa che voglio trovare una religione cui aggrapparmi, significa cercare di trovare la vita interiore delle cose che mi interessano».

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