Sul binario abbandonato acri risate / Con gli Omini sulla Porrettana
Allo spettacolo degli Omini si arriva in treno, su un binario unico. Si parte da Pistoia alle 21 e si scende in una stazioncina sulla Porrettana, una delle prime linee ferroviarie d’Italia, 1864, allora un miracolo di ingegneria che univa nord e centro, un lato e l’altro dell’Appennino. La fermata del Castagno è radura sotto un ombrello di tigli e castagni, davanti al buco nero di una galleria che ingoia il binario.
Oggi parliamo di questo lavoro, La corsa speciale, seconda tappa di un Progetto T prodotto con i Teatri di Pistoia, incentrato sulla vecchia linea ferroviaria. Nella prossima puntata, giovedì prossimo, continuerà questo piccolo viaggio nel teatro estivo di Toscana con un paese intero che da cinquant’anni si mette in scena, Monticchiello, un borgo di pochi abitanti vicino a Pienza, un villaggio fantasma, un vecchio centro mezzadrile trasformato in località di villeggiatura (ah, la modernità!). Si proseguirà, dopo una sosta di una settimana, in un altro luogo anomalo, il carcere di Volterra, mutato da Armando Punzo con i detenuti attori della Compagnia della Fortezza in teatro, in luogo di utopia, letteralmente non luogo, posto sottratto alle sue funzioni di sanzione, di affermazione brutale della realtà e spinto verso l’immaginazione di disegni di vite possibili. Il viaggio estivo (iniziato in realtà con il festival “discoteca” di Santarcangelo, specchio, autopsia e estasi del presente), si concluderà al confine con l’Emilia, con il Macbeth di Archivio Zeta in quel monito della memoria, in quel paesaggio di meditazione che è il Cimitero militare germanico della Futa. Un percorso alla ricerca di un altrove possibile, di un teatro che fuori dalle sale, lontano dalle usuali relazioni prova attraverso domande e pratiche inquiete a reinventare una propria funzione. A rendersi urgente.
Il teatro antropologico degli Omini
Gli Omini l’anno scorso avevano presentato Ci scusiamo per il disagio, prima tappa del Progetto T, nel Deposito Rotabili Storici della stazione di Pistoia. Davanti a una locomotiva a vapore e a due vagoni, risalenti rispettivamente agli anni venti e agli anni cinquanta del novecento, avevano messo in scena storia di normali disperazioni, di piccole gioie e di feroci pregiudizi, di attese e di ritardi, di annunci incombenti come quelli che si ascoltano dagli altoparlanti ferroviari. Insomma, la vita quotidiana dei tipi che si possono incontrare in una piccola stazione di provincia, compresi giganteschi piccioni soli, perplessi come gli umani. Le storie che avevano intessuto le trame multiple dello spettacolo le avevano raccolte sul campo, interrogando per circa un mese viaggiatori e vagabondi che passavano o si rifugiavano in stazione, giovani, vecchi, persone sole. Dialogando, registrando, riscrivendo, montando, trasformando in teatro.
Tutto in quello spettacolo era insieme comico e struggente, malinconico e divertente, come sempre nelle creazioni di questo gruppo che cerca di graffiare con ironica pietas le trasformazioni del nostro presente (un altro lavoro, precedente, La famiglia campione, mostrava davanti al bagno dove si era chiusa per protesta una figlia le metamorfosi dei legami parentali esplosi di oggi, in una pièce nata da una ricerca nell’area fiorentina).
Quest’anno il campo di indagine è stato uno dei due tronconi in cui è divisa la vecchia linea Porrettana, quello tra Pistoia e Porretta Terme. Il metodo è stato simile: nel mese di aprile i quattro Omini (tre attori-autori, Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Luca Zacchini e la dramaturg Giulia Zacchini) si sono messi in viaggio a registrare le storie marginali di questa linea, di montanari che raggiungono luoghi isolati, di migranti, arabi, neri, di donne, di venditori ambulanti, di rifugiati, di badanti dell’est, di balordi, di studenti, di persone comuni.
Ne è venuto fuori uno spettacolo acre, magico, tutto giocato sulla sospensione, sull’attesa di una vita che anche quando sembra promettere qualcosa, magari di indefinito, raramente mantiene nient’altro che l’illusione. Le storie sono diventate una girandola di personaggi che trascolorano l’uno nell’altro, con situazioni comiche, con smarrimenti, con salti surreali, con note incrinate.
Fermata Castagno-Purgatorio
La gradinata del pubblico è affianco al luogo dove ferma il treno, che poi viene ingoiato da una oscura galleria, caverna platonica davanti alla quale balugineranno figure, immagini, storie. Apre un uccello, con maschera simile a quella della peste della Commedia dell’arte, un po’ marabù, un po’ cicogna, sotto gli alberi d’alto fusto, tra lumini che sembrano fuochi fatui, anime di morti.
Di fantasmi si parlerà, di tempi ingioiellati passati, quando nobili percorrevano questi luoghi termali, e di un presente molto più prosaico. La sfilata dei tipi, presentati sempre con comicità umorale, in una lingua toscana rude, sbrigativa, di passaggio tra l’Emilia, le rotondità fiorentine e le cantilene di mare, presentano storie di margine. E allora vediamo l’uomo che rimpiange anni perduti, quando quel posto era bello, e narra l’abbandono di quei luoghi, e poi il ritorno a voler contare, con manifestazioni di cinque valligiani sui binari per non far cancellare la fermata del treno… E vedremo la badante rumena, a lei quel monte dietro Pracchia ricorda la sua Transilvania e menomale che c’è la televisione, anche se fa sempre gli stessi programmi, e il vecchio con l’Alzheimer cui bada, con un campanello sul bastone e i suoi discorsi balenghi, e il monomaniaco delle ferrovie che gode, mangia, vive solo al passaggio dei treni, e i segni zodiacali e le leggende ferroviarie, come quelle dei macchinisti pronti a sostituire i colleghi che nella galleria svenivano per il fumo dei treni a vapore…
Come falene appaiono, di tanto in tanto, altri uccelli. E altre figure, a dondolarsi su due altalene sospese come queste vite di lontana provincia dell’anima, uno cui la noia non dà noia, un poeta di Benevento che scrive versi d’amore su Facebook, una volontaria che ha incontrato l’uomo della sua vita durante il terremoto in Emilia, e per anni si sono scritti solo a Pasqua e a Natale, ma si amavano, e si sono incontrati, alla fine...
Le regole incombono, quelle degli annunci ultimativi delle ferrovie, le istruzioni per l’amore, tutto quello che non si rispetta in un tempo che sembra ormai esaurito, sospeso come quel luogo irreale e dell’anima, governato solo, forse, dal sentimento dell’imbarazzo, dell’interruzione, del rinvio in eterno. Purgatorio, come inferno erano, tra gli sbuffi di locomotiva, le solitudini della stazione di Pistoia l’anno scorso. Alla ricerca di qualche second life, di un avatar che meglio di te sopporti il peso della vita, tranne scoprire che anche nel mondo virtuale la fregatura è in agguato, e che in quello reale la donna di cui sei innamorato non farà l’amore con te perché è una testimone di Geova.
Acre comicità, sottile e greve. Una scossa elettrica in certi momenti, una sospensione lancinante in altri. Fermata di treno. Tutto cambia e non è prevedibile, tutto scorre regolato: si dicono un filosofo e una donna. Oscillano le altalene. La ragazza si dondola e l’uomo sembra giocare e poi possederla di dietro, e così un altro uomo, e il gioco diventa scazzottata al rallentatore, da film. E tra ospiti di un rifugio, un asilo a poco prezzo per drop-out, abbandonati in un’altra attesa, in un’estasi senza via di fuga, di ritorno. Semaforo verde. Semaforo rosso. Davanti alla galleria. Una donna che porta il bambino in pancia nel suo primo viaggio in treno, e gli parla e gli parla. Semaforo rosso. Semaforo verde. Il gusto di prendere caffè per fumare una sigaretta. Alcolici niente. Solo 13-14 caffè al giorno, per fumare 14-15 sigarette…
I tre uccelli nella notte fresca di luglio parlano di fine corsa del treno, di fine corsa mai, di risata che consola, che mette tutto in ordine, di treni imprevedibili, che non arrivano, sempre in ritardo, persi chissà dove. Il tempo scade. Il sole si nasconde dietro i castagni. Tutto finirà sotto il muschio. Là, nel silenzio dei monti, dove pure arrivano le note di un lontano piano bar. Buio. Il treno dalla galleria arriva. Si ritorna, dopo gli applausi. Manca una parte allo spettacolo, sconsigliata dalle ferrovie dopo l’incidente di Andria. Un sonoro che doveva essere diffuso in treno, come se fosse rimasto aperto l’altoparlante, dopo i fastidiosi annunci di rito sui locali, e registrasse i discorsi di capotreno e macchinista. Ricordi, pensieri, l’inverno e il gelo, e investimenti in linea: storie di animali tranciati in corsa e di poveri suicidi che hanno scelto di mettere fine a vite doloranti sotto le ruote di ferro di un treno.
Il treno dalla galleria arriva per riportarci dal Purgatorio sulla terra, a riveder le luci della città.
La solita corsa si è svolta dal 14 al 23 luglio. Il Progetto T si concluderà l’anno prossimo, in coincidenza con Pistoia capitale italiana della cultura, con un vagone treno teatro viaggiante, ispirato al Vagon del Saber, biblioteca e scuola, costruito in Ecuador dal gruppo di architetti El Borde. Un vagone che potrà arrivare fino a Bologna e viaggiare su altre linee minori italiane.
La corsa speciale, con Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Luca Zacchini, dramaturg Giulia Zacchini, luci Emiliano Pona, audio Alberto Grazzini, maschere Eleonora Spezi, costumi Clotilde, organizzazione e segreteria di produzione Daniela Sanesi e Sara Bruni, ufficio stampa Francesca Marchiani, produzione Associazione Teatrale Pistoiese.