Elon Musk: da Tesla a X

30 Settembre 2023

Walter Isaacson è una di quelle persone che non sai come facciano a fare tutto quello che fanno. Il suo curriculum recita che è professore di storia, consulente di una società di servizi finanziari e che, mentre era a capo dell’Istituto Aspen, della CNN, di Voice of America, di Radio Free Europe, o magari senior editor del settimanale Time (le altre cariche “minori” ve le risparmiamo), si costruiva una carriera di biografo di notorietà internazionale con all’attivo il racconto di vite di titani del Novecento e non, come Henry Kissinger, Albert Einstein, Steve Jobs, Leonardo da Vinci. 

E ora, ecco il racconto di storia e opere dell’ondivago, impulsivo, apocalittico, eccentrico Elon Musk – il Paperone di Tesla, SpaceX, PayPal, Twitter (oggi X), di intelligenza artificiale, reti neurali, robotica (i Tesla Bot), di undici figli e molto altro, svelato, con il suo pieno consenso, in ben 772 fitte pagine (Mondadori, traduzione di Valeria Gorla, Laura Serra e Roberto Serrai).

L’opera è frutto di due anni vissuti intensamente da Isaacson accanto a Musk, corredata da 128 corpose interviste con coloro che lo conoscono bene: si va da Jeff Bezos, fondatore di Amazon a Richard Branson, fondatore di Virgin Galactic; da Bill Gates, cofondatore di Microsoft a Bill Nelson, amministratore della NASA; da Peter Thiel, cofondatore di PayPal a ex impiegati, ex amici, ex mogli, ex madri di suoi figli, fino a fidanzate in bilico come Amber Heard, in transito dal matrimonio con Johnny Depp.

Breaking News

Delle mattane di Elon Musk si è letto e si legge spesso sui giornali, a partire dalle anticipazioni a raffica che sono state fatte proprio di questa biografia quando era ancora in bozze. La più controversa fu lanciata dalla CNN. 

Breaking News: Musk ha ordinato ai suoi ingegneri di spegnere la rete di comunicazione satellitare della sua azienda Starlink che, con i suoi 2.299 satelliti in orbita bassa (a circa 550 chilometri dalla Terra), consente di erogare una connessione internet ad alta velocità con una latenza ridotta rispetto ai satelliti in orbita geostazionaria, quella che stava fornendo informazioni vitali alle truppe ucraine pronte per un imminente attacco contro la flotta navale russa in Crimea che, secondo il tycoon – se fosse andato a segno, come tutto lasciava prevedere – avrebbe potuto essere la scintilla che avrebbe scatenato la Terza guerra mondiale. Eccesso di prudenza? «Bisogna tenere presente», scrive Isaacson «la mentalità da assedio di Musk che lo porta spesso ad avere una visione apocalittica delle cose. Sia negli affari sia in politica, tende a percepire tremende minacce e, al contempo, a essere stimolato dal pericolo». 

L’episodio – narrato nel capitolo 70, pagina 507 – così come presentato dai media era, di per sé, corretto, ma era solo parte della storia che, poi, nel libro è ben spiegata. Era accaduto che Musk, sentendosi pubblicamente sottovalutato perché il Pentagono e la Casa Bianca non si erano mai esibiti in sperticate lodi per il fondamentale contributo che stava dando, a sue spese, alla guerra, stufo di sostenere, da solo, l’onore finanziario dell’operazione (fino a quel momento la sua società aveva speso 80 milioni di dollari), aveva deciso di staccare la spina. 

Però, passata ’a nuttata, ci ripensa: «Nonostante tutto dobbiamo fare buone azioni», twitta. E riattiva le comunicazioni facendo sapere che sarebbe stata fornita copertura gratuita per i terminali che erano già in Ucraina per un tempo indefinito. Isaacson annota: «Il fatto è che non esiste un solo Elon Musk. Ci sono molteplici personalità e demoni che danzano nella sua testa. Ci sono momenti in cui ha buone intenzioni, e altri in cui entra in modalità demoniaca». Altro che Steve Jobs. 

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Saranno pure degli str**zi, ma…

Spesso, parlando di Musk con gli intervistati, ricorre il paragone con Steve Jobs, il suo caratteraccio e le sue richieste impossibili. Entrambi personaggi che, sì, «saranno pure degli str**zi», dice un intervistato che pure era stato strapazzato e licenziato da Musk, però ottengono sempre dei risultati. 

Ai tempi in cui Isaacson lavorava alla biografia di Jobs, parlando con Steve Wozniak – “l’altro Steve” – discussero del fatto se fosse stato proprio necessario essere così cattivi, sgarbati e crudeli. Certo, rispose “Woz”, che se fossi stato io a dirigere la Apple, il clima sarebbe stato certamente diverso. Avrei trattato tutti come una grande famiglia e non avrei licenziato nessuno in tronco, ma, ammette: «forse non avremmo mai prodotto il Macintosh». 

Così, si chiede Isaacson, se Musk avesse un carattere più tranquillo sarebbe ugualmente l’uomo che, sognando una specie multiplanetaria, ci sta proiettando verso Marte e un futuro di auto elettriche? «A volte i grandi innovatori sono uomini infantili e temerari, come bambini che si rifiutano di fare la popò nel vasino. Sovente sono anche pazzi. Così pazzi da pensare di poter cambiare il mondo».

Posso dirlo in giro?

Come nasce questa, per molti versi, straordinaria biografia? A suggerire l’idea fu un conoscente comune di Musk e Isaacson, Antonio Gracias, uno dei primi finanziatori di Tesla e SpaceX, tramite Valor, la sua società di capitali di rischio. Era l’epoca in cui Musk era diventato la persona più ricca del pianeta: «aveva portato Tesla, dall’orlo del fallimento, a valere più di tutte le sue cinque principali rivali, Toyota, Volkswagen, Daimler, Ford e General Motors messe insieme. E aveva riportato gli americani in orbita».

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Dunque, il tycoon e il biografo si incontrano, e Isaacson detta due condizioni: la prima, quando necessario avrebbe dovuto avere accesso incondizionato al suo fianco, in ogni riunione, in ogni pasto, in ogni passeggiata per poterlo osservare e raccontare; la seconda, Musk non avrebbe avuto alcun controllo sul libro. 

Lui non discute, accetta e chiede solo: «Posso dirlo in giro?». Certo. Prende il cellulare, Tweet e via. Passa qualche minuto e la comunità editoriale si scatena. Isaacson viene sommerso da messaggi e chiamate. Ricorda: «Non avevo fatto in tempo a informare né il mio editore [Simon & Schuster], né il mio agente».

La modalità diabolica e il passo dell’orso

Per capire (parte di) Elon Musk e i suoi lati oscuri bisogna, neanche dirlo, risalire all’infanzia: «Da bambino, crescendo in Sudafrica, Elon conobbe la sofferenza e imparò a superarla», scrive Isaacson nelle prime due righe del libro. A dodici anni fu mandato in una veldskool, una scuola di sopravvivenza, tipo campo paramilitare, dove bullizzare era ritenuta una virtù. 

«Una mostruosa follia, un’esperienza scioccante», ricorda lo stesso Musk, la cui esperienza più straziante fu quella scolastica. Era il più piccolo di età e di statura. «Stentava a cogliere le sfumature sociali. L’empatia non era una sua dote innata e non aveva né il desiderio né l’istinto di ingraziarsi gli altri. Durante una rissa fu massacrato di botte, preso a calci in testa e gettato giù da una scala di cemento. Elon era irriconoscibile: il viso era come una palla di carne gonfia dove non si distinguevano quasi più gli occhi. A distanza di decenni sarebbe stato ancora costretto a ricorrere alla chirurgia plastica per cercare di riparare i tessuti lesi all’interno del naso». 

Le ferite fisiche, però, scrive Isaacson, non furono niente in confronto a quelle psicologiche infertegli gratuitamente dal padre, Errol. Traumi che finiranno per insinuarsi negli angoli più oscuri della mente del ragazzo e che, ancor oggi, lo fanno scattare, tirare fuori il suo lato peggiore, fomentare la sua rabbia. 

Per capire invece le sue bizzarrie, l’egocentrismo, la passione e l’assuefazione per solitari giochi di strategia e videogame, la persistente difficoltà nelle interazioni sociali, la carenza di empatia verso gli altri, bisogna rivolgersi alla medicina in quanto – come molti personaggi famosi nel campo dell’arte e della scienza: dallo scienziato Alan Turing al maestro degli scacchi Bobby Fisher – Musk è affetto dalla Sindrome di Asperger, una variante dei disturbi dello spettro autistico.

Annota Isaacson: «L’umore di Elon passa ciclicamente dalla luce alle tenebre, dal melodramma alla stravaganza, dalla freddezza all’emotività, con saltuari tuffi in quella che le persone intorno a lui temono di più, la “modalità diabolica” (…) Vagamente a disagio nel suo stesso corpo, cammina con il passo di un orso che abbia un preciso obiettivo in testa (…) La sua formazione e la sua educazione, assieme a meccanismi mentali congeniti, lo hanno reso a volte cinico e impulsivo. Gli hanno anche conferito una straordinaria tolleranza per il rischio [a una sua festa di compleanno ha sfidato un lanciatore di coltelli bendato]. È una di quelle persone che si sentono particolarmente vive quando sta per scoppiare un uragano (…) Le crisi, le scadenze e gli aumenti esponenziali di attività lo hanno sempre indotto a rendere al massimo».

Beghe fra tycoon e la rampa di lancio 39A

Metti insieme Elon Musk e Jeff Bezos e saranno scintille. Bezos è l’effervescente miliardario di Amazon dalla risata chiassosa e dagli entusiasmi infantili, come lo descrive Isaacson, fan sfegatato di Star Trek, patron della società di viaggi spaziali Blue Origin, anch’egli fautore dell’idea di spostare l’umanità su altri pianeti per salvare la Terra e i terrestri da se stessi. 

Insomma, la storia è che Musk invita Bezos a visitare SpaceX, ma lui non contraccambia, non lo invita a vedere la fabbrica di Blue Origin. Musk, stizzito, gli invia una mail a dir poco seccata. Bezos rimedia alla gaffe e lo invita. A cena, Musk lo copre di consigli non richiesti. Bezos non la prende bene. Ma prende ancora peggio il fatto che SpaceX si assicuri una serie di contratti della NASA per sviluppare razzi in grado di trasportare equipaggi e materiali fino alla Stazione Spaziale Internazionale. 

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Non solo, Musk e Bezos partecipano al bando per il contratto di locazione, a Cape Canaveral, della storica rampa di lancio 39A – il palcoscenico dei sogni spaziali americani, come la chiama Isaacson – quella da dove era partito Neil Armstrong con l’Apollo 11 alla conquista della Luna, e poi tutte le missioni Shuttle, e che, al momento, era rimasta a arrugginire assediata da piante rampicanti.

La NASA concede la rampa 39A a SpaceX e Bezos fa causa, inutilmente, riuscendo ad aggiudicarsi, comunque, la rampa 36, quella della partenza delle missioni per Marte e Venere. «Così la competizione tra miliardari infantili era destinata a continuare», commenta Isaacson. Al momento i palmares segnalano che Bezos è stato il primo a raggiungere i confini dello spazio; Musk il primo a far atterrare un razzo arrivato in orbita; ancora Musk a mandare in orbita degli esseri umani. 

Senza dimenticare che, fra i due contendenti c’è anche un terzo incomodo, il magnate britannico sir Richard Branson, con la sua Virgin Galactic, il cui obiettivo è meno audace, ma altrettanto inconsueto: quello, cioè, di offrire un regolare servizio turistico non solo di voli spaziali, ma anche di voli suborbitali da città a città.

E poi c’è Twitter

Nell’aprile 2022 le cose andavano a gonfie vele per Musk. Le vendite di Tesla erano cresciute del 71 per cento, il prezzo delle azioni era decuplicato, da 25 dollari erano arrivate a 260, e la società aveva registrato, in un anno, profitti per mille miliardi. SpaceX faceva allegramente la spola con la Stazione Spaziale per conto della NASA. C’erano tutte le premesse per un anno straordinario, ricorda Isaacson, se solo Musk avesse lasciato le cose come stavano. Ma questo non è nella sua natura. I lunghi periodi di calma sono snervanti per lui. 

La calma coincise con l’improvviso arrivo di una valanga di liquidità nelle sue casse: la vendita delle sue azioni gli aveva fruttato una decina di miliardi di dollari che non voleva lasciare a languire in banca. Così si chiese quale giocattolo avrebbe potuto comprare, e la risposta fu: Twitter – il parco giochi ideale per uno come Musk, «una ricetta sicura per procurarsi dei guai». 

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L’idea di Musk era (è) di far pagare agli utenti una piccola cifra, tipo 2 dollari al mese, per essere “verificati”, per certificare, cioè, la reale esistenza degli utenti che, così, più difficilmente avrebbero truffato o molestato il prossimo, diffuso false notizie e, in via neanche tanto secondaria, avrebbe potuto “liberare” Twitter dall’indottrinamento dell’ideologia woke, l’odiato “politicamente corretto”. «Se il virus della mentalità woke, che è sostanzialmente antiscientifica, antimeritocratica e in generale antiumana non sarà fermato, la civiltà non diventerà mai multiplanetaria», dice a Isaacson un Musk oscillante tra l’elogio della moderazione e un rabbioso rimuginare su come la wokeness, e ciò che percepisce come censura praticata dai media d’élite, rappresentassero una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità. 

Convinzioni dottrinali a parte, la possibilità che più allettava il tycoon era, comunque, che Twitter avrebbe potuto trasformarsi facilmente in una combinazione tra rete sociale e piattaforma di transazioni finanziarie, il che non guastava.

Prima di fare l’offerta d’acquisto per una scalata che si sarebbe rivelata ostile, Musk si trastulla tutta la notte con Elden Ring, un gioco fantasy che consiste nell’esplorare un mondo, guarda caso, popolato da creature bizzarre e ostili. Finché, alle cinque e mezzo del mattino dà un’ennesima dimostrazione della sua costosa impulsività twittando: «Ho fatto un’offerta». 

Quando Musk informa i quattro figli maggiori – Griffin, Damian, Kai, e Saxon – i ragazzi rimangono sbigottiti, non la giudicano una grande idea. «Pensavano che fossi in cerca di guai. Naturalmente avevano ragione. D’altronde, sapevano che il loro padre ama proprio cercarseli i guai».

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Ma perché proprio Twitter? chiede Isaacson a Musk: «Perché credo possa rientrare nella missione di preservare la civiltà e che possa far guadagnare alla nostra società il tempo necessario a diventare multiplanetaria». Questa è la versione diplomatica, ma come fa notare il biografo, il sottotesto alle sue parole è evidente: Twitter era il parco giochi che Musk non aveva avuto da bambino, il balocco che gli offriva adrenalina, scontri politici, battaglie di gladiatori intellettuali, meme idioti, pubblicità, marketing, opinioni prive di filtri. Non a caso, la sua battuta preferita, quella che ripete spesso, è una citazione dal film Il gladiatore: «Non vi siete divertiti? Non siete forse qui per questo?». 

Il resto è cronaca di questi giorni.

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