#noteprimadegliesami
Come ogni anno, l’inizio dell’estate è scandito, sulle pagine dei giornali, dalle notizie sulla maturità, che presto verranno seguite dalla ricerca del tormentone musicale, dalla calura (o dal freddo), dal ritorno dei sandali o dal salvataggio di qualche cucciolo.
Inossidabile nel tempo il topic ‘maturità’, evento che coinvolge circa 500.000 famiglie italiane, per circa tre giorni avrà anche la prima pagina oltre una serie di speciali collegati e il coinvolgimento di alcuni di noti intellettuali. Il fatto che io stesso sogni ancora ogni tanto lo scritto di matematica e che stia per partecipare a una cena di reduci nel ventennale della mia maturità, mi induce a ribadire che comunque è davvero un momento di passaggio importante che si colloca a chiusura di un ciclo, che è anche l’apertura di un altro. Forse davvero uno degli ultimi grandi riti di passaggio di massa, tale da catalizzare immaginario e produrre eccedenza di significati. Il boato delle trombe da stadio dei miei studenti e i fiumi di lacrime delle mie studentesse che hanno preceduto i loro gavettoni dell’ultimo giorno di scuola me lo confermano ulteriormente.
Per questo passerò sopra al kitsch mediatico che accompagna l’esame di stato, e che come ogni anno mi irrita profondamente, per occuparmene in modo serio. Permettetemi di stigmatizzare almeno le notizie sull’esame di Miss Italia, i consigli dello psicologo e il vizio di mettere sui giornali sempre per primi gli studenti del Liceo classico, ingiustamente sovra-rappresentati considerato che questo si trova al 4° posto tra le scelte degli studenti, dopo il Liceo Scientifico, gli Istituti tecnici e professionali. La novità di quest’anno è stata poi la presenza degli studenti su Twitter e Facebook durante la prova, assolutamente vietata e sanzionata da annullamento dell’esame: ma pare che molti non resistano all’idea di marcare il territorio nel loro angolino web, come un tempo non si poteva fare a meno di scrivere nei bagni I was here o altri messaggi osceni. Parentesi: nella mia scuola quest’anno sono stati dati diversi sette in condotta per uso compulsivo di cellulari durante le lezioni o consultazione di tablet durante i compiti in classe, ma comunque non troverete nessuno studente o collega con il cellulare spento.
Di questa maturità non ho ancora parlato con i miei studenti, ma le tracce con cui cimentarsi mi sembrano mediamente adeguate e stimolanti; oltretutto senza errori e ruffianerie verso il governo, come in altri anni, con un ministero che ha dato buona prova di sé con l’efficace trasmissione delle prove on-line e il relativo risparmio pubblico. Peccato non si possa dare un giudizio altrettanto positivo della prova Invalsi che ha riguardato le medie, che meriterebbe un lungo discorso: mi limito a ricevere dai colleghi segnalazioni negative, relative all’elevato numero di errori contenuti e alla difficoltà degli item proposti. Questo esempio (ringrazio G. F. che me l’ha inviata), dice molte cose sull’attenzione riservata alla scuola media.
Quesito D1, p. 17, seconda parte della prova Invalsi, frase b):
“non ti preoccupare, ................. detto io a Francesco che domani non vieni”. Completare con: 1. glielo; 2. gliel’ho; 3. glielò.
Vediamo la prima prova scritta di maturità, uguale per tutti e legata alla produzione di elaborati di italiano, da anni non più il tema classico ma anche saggio breve, analisi del testo o articolo di giornale, con diversi documenti da commentare. La prima traccia è dedicata a Montale saggista e chiede di commentare un estratto da Ammazzare il tempo in Auto da fè (1966), con la richiesta di approfondire la visione del mondo del poeta sul lavoro e sul tempo, la differenza tra ozio e svago, e di riflettere sulla gestione del proprio tempo e sui bisogni inutili della nuova società che avanza(va). Bello e profondo, ma sinceramente poco fattibile da uno studente: oltre al fatto che nel migliore dei casi nelle scuole si sarà studiato il solo Montale poeta, parafrasando Foster Wallace, è come chiedere a un giovane pesce di discutere cosa è l’acqua.
Altissima la seconda, di taglio artistico-letterario, il cui titolo è “Il labirinto”. La traccia è corredata dalle riproduzioni della Minotauromachia di Picasso, della Pasiphaë di Pollock e della Relatività di Escher, oltre che da una serie di testi (tra i quali ritrovo alcuni dei miei preferiti di sempre): Ariosto (XII canto dell’ Orlando Furioso); Borges, L’immortale; Calvino, Le città invisibili; Eco, Il nome della rosa. Forse io l’avrei fatto bene, oggi che ho laurea, specializzazione, dottorato e vent’anni di letture più dei miei studenti; vagheggio che l’abbia scelto solo qualche solitario malinconico e sofisticato studente, magari segnato dal demone della lettura. Pena l’insignificanza più totale della scrittura. Di nuovo: come fai a chiedere di uscire da un labirinto, per di più attraverso il filo letterario, a chi, forse ha appena consapevolezza di esserci entrato?
La traccia più svolta, tra il 40% e il 50% pare, è stata quella che tutti noi docenti prevedevamo e temevamo, segretamente sperando che non ci toccasse correggerla: “I giovani e la crisi”. Dati statistici sulla disoccupazione giovanile in Europa, con fonti Istat e Censis e poi citazione del beato Steve Jobs da Cupertino dall’ormai mitico discorso di Stanford del 2005 (“Abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno già cosa voi volete davvero diventare”). Meraviglioso esercizio retorico di consapevolezza sul doppio vincolo: dopo essere stati modellati in massa sull’economia globale dei desideri (Sii come tutti gli altri!), ora sanno tutti che ugualmente in massa dovranno essere unici, speciali e coraggiosi (Pensa differente!) mentre li si prepara a essere inoccupati. Difficile pensare a un esercizio di banalità più scontato e crudele.
Meglio la traccia “Il bene individuale e il bene comune”, con testi di Luigi Einaudi, Rousseau, Tommaso d’Aquino e De Rita del Censis: anche questo attuale e connesso alla crisi, considerato che il messaggio implicito di trent’anni di neoliberalismo ai ragazzi è stato di ignorare sistematicamente la nozione di bene comune alla luce del più bieco individualismo narcisista. Per anime nobili con famiglie di tradizione post cattocomunista o in aria di rivalutazione di Keynes.
Bello il tema proposto in ambito tecnico-scientifico su “La responsabilità della scienza e della tecnologia” con citazioni di Jonas (“Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”), Primo Levi, (“Non nasconderti dietro l’ipocrisia della scienza neutrale: sei abbastanza dotto da saper valutare se dall’uovo che stai covando sguscerà una colomba o un cobra o una chimera o magari nulla”), Sciascia, Hack: si tratta di un discorso molto dibattuto a scuola e su cui diverse riflessioni sono avviate, effettivamente alla portata di molti studenti e molto fattibile per studenti del liceo scientifico o di istituti tecnici e professionali.
Un analogo discorso vale per il tema storico incentrato sulla Shoah a partire da un brano tratto da La banalità del male di Hannah Arendt, nello specifico incentrato sulla meschinità morale di Eichmann e del suo contegno durante la Conferenza del Wannsee, da lui vissuto come momento di ascesa sociale al cospetto dell’establishment nazista. Arendt, quantomeno su questo tema, è da tempo oggetto di riflessione nelle scuole, in particolare in occasione del Giorno della memoria, anche solo in funzione civica; dispiace appunto che sia meno nota la sua produzione filosofica in senso più ampio, ma poiché il programma di storia si ferma al secondo dopoguerra e tutti i discorsi di educazione civica assegnano un ruolo centrale alla storia della deportazione e dei campi di concentramento è ragionevole pensare che molti studenti abbiano gli strumenti storici e filosofici per fare un buon lavoro.
Infine il tema di ordine generale, solitamente passe-partout e ultima spiaggia, risulta insolitamente poetico e icasticamente riassuntivo di una serie di tracce che portano il segno dell’oggi e della difficoltà di stare in questo tempo: “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita” (Paul Nizan, Aden Arabia, 1931). La citazione del poco noto e bistrattato Nizan, che tutti ricordano in subordine a Sartre, invita a sviluppare un discorso sul dolore di crescere e di trasformarsi che vale per tutti e in ogni tempo.
Questa sera alla cena della 5° C 1991-92, metterò la mia camicia migliore.