Il nuovo film dei fratelli D’Innocenzo / America Latina. L’abisso spiegato
È Amore; poco altro da aggiungere. È Amore, unica frase di lancio nella locandina di America Latina scelta per accompagnare la presentazione in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, era stata anche l'unica espressione su cui imperniare la conferenza stampa, quando i giornalisti erano stati pregati di non raccontare nulla della trama, soprattutto del finale. Molte interviste di quei giorni ai registi Fabio e Damiano D'Innocenzo e al protagonista Elio Germano risultavano stravaganti: domande e risposte giravano attorno a una storia che non poteva essere esposta. Se Germano si concentrava a grandi linee sul senso del suo personaggio, un animo puro e sensibile che viene schiacciato dall'idea di mascolinità forte che la società contemporanea impone, i registi ribadivano che il loro thriller psicologico fosse anche una storia sull'umano bisogno d'amore, senza poter svelare molto altro. Quelle prime locandine veneziane indicavano anche l'uscita nelle sale prevista nel novembre successivo; data poi spostata in avanti, tuttavia il rinvio a gennaio non è servito a intercettare un pubblico numeroso, nonostante nello stesso periodo gran parte della contro programmazione si sia spontaneamente fatta da parte per la penuria di incassi.
Gli spettatori non hanno premiato America Latina come, a onor del vero, non hanno premiato quasi nessun altro film tra la fine del 2021 e l'inizio del 2022; in questo la pandemia ha avuto certamente un ruolo maggiore della strategia promozionale, generando risultati inferiori rispetto alle attese suscitate dal successo critico di Favolacce (premiato a Berlino nel 2020) e da un budget produttivo di tutto rispetto. L'alone di mistero e l'impegno a evitare spoiler, pur sapendo che l'anteprima in un festival internazionale avrebbe preceduto di mesi l'appuntamento col pubblico, non hanno insomma sortito quell'effetto che funziona molto bene solo con i film di supereroi, dove si corre al cinema il prima possibile perché nessuno vuole scoprire le sorprese in serbo leggendole online. America Latina invece ha un colpo di scena iniziale e uno finale, ma per il resto è un viaggio lento e inesorabile verso l'abisso delle contraddizioni della psiche maschile, che vorrebbe stimolare la fantasia dello spettatore anche dopo avere scoperto il punto di partenza e il punto di arrivo.
La nuova locandina, scelta per la distribuzione ufficiale, è meno sobria e più suggestiva rispetto a quella veneziana. La testa calva di Elio Germano ha una crepa, come se fosse un guscio d'uovo rotto. Un guscio vuoto, da cui non esce niente e dentro cui non si vede altro se non oscurità. Quella frattura nella testa del personaggio è bene in evidenza per noi, totalmente invisibile a lui. Cosa vi troveremo all'interno, esattamente? Finalmente anche gli elementi essenziali della trama possono essere svelati. Tutta la vicenda ruota attorno a Massimo Sisti, uomo mite e schivo, la cui vita è apparentemente appagante: è un dentista benestante, quel tipo di persona cui un amico non ha paura di chiedere un prestito; vive in una grande villa di periferia con la moglie e due figlie, assieme alle quali sembra sperimentare un idillio fiabesco. È l’atto banale di scendere nello scantinato a stravolgere inaspettatamente la sua vita. Dentro vi trova il terribile segreto che ormai è stato abbondantemente svelato: una ragazzina legata e imbavagliata, viva ma in pessime condizioni fisiche, di cui è difficile capire persino l'età. Massimo non sa chi sia né come sia finita lì: la scena lo sbalordisce, lo terrorizza, dopo un primo smarrimento lo spinge a chiarirne da solo l'origine senza raccontare nulla a nessuno. Per scoprire cosa sia successo nel suo scantinato senza che lui ne abbia avuto alcuna consapevolezza, Massimo indaga nella sua vita e nella sua mente, mettendo in dubbio tutto ciò che sa e tutto ciò che ha, tutti i suoi rapporti personali e il rapporto con sé stesso. Le sue giornate si dipanano lentamente nell'osservazione, nella riflessione, nell'apprensione per qualsiasi azione risolutiva.
È un processo essenzialmente psicologico in cui accadono ben pochi fatti e viene intenzionalmente alimentato l'equivoco su ciò che sta accadendo realmente e cosa invece possa essere una fantasia o un incubo. Già a partire dal titolo, infatti, si induce lo spettatore a credere che ci possa essere qualcosa di stridente o sbagliato in tutto il film. America Latina non ha nulla a che vedere con il Sudamerica, è un gioco di parole che fa riferimento innanzi tutto alla collocazione fisica dei personaggi nell'Agro Pontino, nei pressi di Latina: anche se poi suona familiare che Latina sia preceduta da America, essa ha invece l'accezione di luogo lontano e vagheggiato, frontiera mobile che con un po' di fortuna potrebbe essere raggiunta proprio nelle campagne indefinite dove si svolge l'azione, come al contrario potrebbe restare un'ambizione irraggiungibile per chi accetta l'anonima vita di provincia. È un ossimoro ingannevole che finge di descrivere un luogo fisico reale, invece ne propone due distinti che, quando uniti in un solo concetto, disorientano: questa America Latina è il banale scantinato di una tranquilla villa di campagna che ai nostri occhi si manifesta anche come un atroce luogo di prigionia ben dissimulato.
Non sembra assetato di vita avventurosa, Massimo, ma non è chiaro se sia davvero felice di tutto ciò che ha ottenuto nella vita oppure se abbia qualche rimpianto. Non abbiamo tempo di figurarci che tipo di persona sia, perché già dopo pochi minuti trova la misteriosa ragazzina inerme. Il personaggio di Massimo ci porta a indagare senza remore la psicologia maschile: siamo sfidati a capire se in lui possa essere invertita la tipica figura dell'uomo dalla vita irreprensibile ma con fantasie nascoste indicibili, in quella di un uomo che potrebbe essere capace di gesti orribili ma che altresì possiede delle fantasie soavi, traboccanti sensibilità e amore intensi. Che ci sia qualcosa di sbagliato nella sua vita, inoltre, si può avvertire soprattutto da quanto sia astrusa la grande villa a due piani in cui abita con la sua famiglia.
La villa è stata scelta (e non costruita appositamente) dai registi proprio per il suo aspetto spiazzante e sfidante. Se ne possono enumerare almeno tre caratteristiche fondamentali: ha una pianta principalmente curvilinea che sembra pronta a inghiottire le persone come fosse un fiore carnivoro anziché accoglierle dolcemente nelle sue forme sinuose e persino la piscina esterna dalla forma irregolare si adatta a questo schema; ha vetrate fin troppo ampie che creano un dialogo costante ma inquietante tra interno eccessivamente buio ed esterno luminoso; al primo piano, e non al piano terra, si trova un poco intuitivo ingresso principale cui si accede tramite una scala esterna appariscente, lunga quanto il corpo principale dell'edificio. Strano che sia proprio questo elemento a disturbare di più la percezione, per via della sua evidente incongruenza. Forse, a causa della maniera stravagante in cui assolve alla funzione, anche la forma appare illogica perché più che una scala vera e propria ricorda un grande scivolo, come quelli che collegano direttamente il corpo dell'edificio alla piscina nelle ville pacchiane all'americana. Ma questa è appunto Latina, non l'America: non ci sono gioiosi tuffi in piscina, non ci sono allegri schiamazzi familiari, c'è un silenzio irreale interrotto dalla musica del pianoforte e chi vorrebbe urlare è imbavagliato.
Interno, esterno, sottosuolo: se consideriamo che una villa del genere possa essere parte integrante dell'incubo in cui precipita il protagonista, allora potrebbe essere una buona rappresentazione tripartita della mente di Massimo. Facile cogliere il simbolismo dello scantinato come l'inconscio, dove l'uomo si comporta in maniera istintiva senza capire cosa succede né controllare le proprie reazioni impulsive; là sotto nessun gesto, parola, azione ha alcuna logica coerente e comprensibile. Dentro le stanze della casa, invece, Massimo viene travolto dalle emozioni più forti e commoventi, quasi incontrollabili: è l'amore per la sua famiglia che viene messo a dura prova dalla paura di deludere ma anche dal terrore di essere frustrato, usato, tradito da chi ama. Quando Massimo osserva la moglie dalla finestra, l'inquadratura riesce a includere sia la sua figura dietro il vetro che osserva inebetito l'esterno, sia il riflesso di chi si muove di fronte a lui dall’altra parte: nonostante l'apparente ordinarietà della scena, si recepisce l'impressione di due piani narrativi e mentali non coerenti che si giustappongono artificiosamente ma non si possono legare.
Cosa trova invece fuori? Una piscina più decorativa che funzionale, i campi anonimi che circondano la sua villa e la separano dal contesto urbano, la possibilità di respirare e allontanarsi per mettere in funzione, infine, quel po' di razionalità che dovrebbe aiutarlo a inseguire la soluzione ai suoi dubbi pratici ed esistenziali. Tutte le piste che percorre cercando di usare la logica sono vane ed è costretto a tornare sempre all'origine, dentro la sua villa, ai dilemmi emotivi dei piani abitati e ai misteri irragionevoli dello scantinato: si fa inghiottire dal buio e nel corso dei minuti ci si abitua alle ombre, che lo avvolgono ma soprattutto lo consumano dall'interno, finché sono gli eterei personaggi femminili che vivono con lui a sembrare loschi, con la loro luminosità quasi celestiale.
Il finale non deve essere raccontato, come d'obbligo per un thriller congegnato per chiudersi con una soluzione in dubbio fino all’ultimo; ma è proprio quella la parte più stridente, più sbagliata, di tutta la storia. Senza entrare nei dettagli, le due ultime scene offrono una soluzione fin troppo esplicita a quello che era stato presentato come un enigma a cavallo tra realtà e follia, cercando di confondere fatti veri e fatti immaginari per lasciare lo spettatore nel dubbio su che uomo fosse Massimo, cosa avesse materialmente fatto, cosa avesse capito di aver fatto, cosa avessero fatto tutti coloro che lo circondavano.
Il palese onirismo dell’inquadratura finale, già presente nelle prime proiezioni veneziane, dava una risposta inequivocabile, forse persino troppo semplice, sulla corretta prospettiva in cui inquadrare gli eventi di tutto il film; tuttavia conservava almeno un velo di mistero irrisolto su tutto ciò che era accaduto ancor prima della prima scena, lasciando aperta la possibilità che alcuni eventi non fossero accaduti in diversi piani mentali del protagonista, ma in diversi piani temporali. Il pubblico delle sale, chissà se a ragione, è stato ritenuto meritevole di ulteriori risposte ancora più lampanti e soprattutto univoche: così, rispetto alla copia proiettata alla Mostra del Cinema, nella penultima scena della versione in distribuzione è stata aggiunta una voce fuori campo che è fin troppo pedissequa nel delineare i contorni e le responsabilità degli eventi precedenti.
I fratelli D'Innocenzo, dopo aver fatto intendere di avere l'ambizione di dirigere opere che scavino nella mente dello spettatore anche dopo la fine della visione, con qualche parola e qualche breve immagine hanno tolto gran parte dell'ambiguità su Massimo, sebbene senza intaccare le incongruenze narrative lasciate irrisolte. L'effetto è quasi contraddittorio: la soluzione finale che guida per mano lo spettatore verso una comprensione a grandi linee della storia, pur lasciando intatti molti punti oscuri sui quali poter riflettere, depotenzia la lunga descrizione della complessità ingarbugliata e imprevedibile della mente maschile che si confronta con l'altro sesso, attenua la doppiezza di Massimo, ci costringe al contrario ad assumere nei suoi confronti una posizione che mal si adatta alla volontà dei registi di non schierarsi esplicitamente. In questo modo, anche parlare di amore diventa una scorciatoia: una di quelle scuse che si usano quando l'amore non c'entra nulla. Il labirinto della mente è trasformato in una linea retta a senso unico: sembra più facile trovare l'uscita, ma si perde la possibilità di imparare nuovi modi di orientarsi.