Delizie & Matrimonio

21 Marzo 2014

«Fate la guerra all’amore!»: nel Settecento non si usavano gli slogan, ma questo si sarebbe adattato benissimo a un’incisione a colori degli inizi del secolo in cui una poderosa fortezza, isolata tra boschi e campagne coltivate, viene cinta da un enorme fossato. Il nemico dichiarato è proprio Amore e il massiccio baluardo militare, con mura, torri di guardia e fossato, serve per resistere ai suoi assalti e ai suoi bombardamenti.

 

È una delle immagini che troviamo nel libro curato per Mazzotta da Alberto Milano, Le delizie del matrimonio. Trecento anni di una storia d’amore, catalogo della mostra aperta fino alla fine di marzo a Palazzo Morando a Milano. L’autore ha raccolto una ricca serie di incisioni tra XVII e XIX secolo che hanno al centro il tema del matrimonio, nelle sue fasi preliminari, nel fiorire del rapporto amoroso e nel suo quasi inevitabile appassire, se non addirittura degenerare. Si tratta di materiali eterogenei: fogli volanti, calendari, incisioni da applicare su coperchi di tabacchiere, fogli per ventagli, giochi.

 

Se nel foglio con la fortezza il disegno è accuratissimo e il tema delle insidie del corteggiamento amoroso viene svolto in maniera «simbolica e ingeniosa», in altre incisioni raccolte nel volume il tono è ben diverso. Dopo tutto, il motivo della fortezza assediata da Amore riprendeva un tema antichissimo e nobilitato da secoli di poesia, quello della militia amoris: intrattenere rapporti d’amore è un po’ come fare il soldato e affrontare situazioni diversamente, ma altrettanto rischiose. Sin dalla poesia latina, poi nel medioevo e in età umanistica, tutta una rete di metafore militari era a disposizione di chi voleva dipingere, poetare o scrivere sull’argomento, tanto che se ne trovano echi anche nel Mozart di Così fan tutte.

 

Ma, si diceva, i toni non sono sempre così raffinati. Ad esempio, in certe incisioni del primo Seicento le facce dei potenziali innamorati sono caricaturali e abbondano i doppi sensi («Zanolina mia bella, è meglior la fava ch’il fiore»). Ciò che colpisce è che i primi contatti tra uomo e donna vengono spesso descritti come un momento tutt’altro che poetico; ci sono i «pazzi amorosi» che pescano femmine varie che sguazzano con corpi di rana nella «palude dei diletti carnali». Sono lì con una canna in mano, a rischiare brutte sorprese, un artigiano, un mercante, uno «scolaro» (noi diremmo «uno studente universitario»), un dottore, un gentiluomo e un poeta laureato; ma non c’è per niente il contadino, dando per scontato che pericoli di questo genere – i «diletti carnali» si intende – sono solo rischi da città.

 

Il motivo della pesca non è per niente isolato: infatti se le aristocrazie preferivano amoreggiare immaginandosi come gloriosi assedianti o assediati, a un livello più popolare vediamo abbondare lenze, appunto, e reti e i più vari arnesi della caccia. C’è per esempio la donna che viene paragonata alla civetta che, nella caccia per uccellagione, attira gli altri volatili nelle reti cosparse di vischio appiccicoso; e poi è tutto un brulicare di donne che si pescano come pesci in un lago, di uccelli in gabbia, di prede e trappole, di cacciatori e cacciatrici. Ma le metafore agricole non finiscono qui: in alcune incisioni del ‘700 e del secolo successivo vediamo giovani uomini che fanno cadere da un albero, come frutti maturi, delle ragazze; in questa fortunata iconografia degli «Alberi dell’amore» spesso la situazione si inverte, con gli uomini che stanno appollaiati tra le fronde e le donne che scuotono i rami o addirittura tagliano il tronco.

 

È già in questa fase del corteggiamento e dei primi approcci amorosi che, nelle immagini, spuntano fuori gli animali, il più delle volte a imitare gli uomini (le «scimmie amorose»), ma anche a suggerire una certa qual bestialità in questo annusarsi e accostarsi di maschi e femmine. Lo stesso accadrà poi nelle scene di sposalizio e di vita matrimoniale, come quando, in una stampa francese di pieno Seicento, gli sposi e i loro accompagnatori si incontrano cavalcando due enormi asini. In mezzo a tante scene strampalate, la serie di incisioni del Marriage à-la-mode di William Hogarth, quasi alla metà del Settecento, appare come una vera eccezione per il tono arguto e graffiante, mai greve.

 

È chiaro che la raccolta di immagini nel volume è frutto di una selezione e che, a loro volta, queste incisioni sono esito di una visione ironica, giocosa e magari anche un po’ cinica, ma certo colpisce la scarsa presenza di riferimenti all’elemento sentimentale e all’amore, diciamo così, romantico; e la stessa idea di famiglia è tutt’altro che centrale. Risalta, proprio per questo, una stampa del primo Settecento in cui la gioia del matrimonio e dei figli piccoli viene contrapposta alle cattive sorti del celibe.

 

A prevalere sono i guai di tutti i tipi che incorrono all’uomo «maritato» e «ammogliato». Ma, a ben vedere, tutti questi guai hanno una solo denominatore comune: il cambio di ruolo della donna e il suo temuto prevalere sull’uomo. In questi mondi «alla rovescia» si descrivono casi di donne che fanno le soldatesse e uomini che filano la lana, lavano i panni o badano ai bambini. Ecco pronta la scena che simboleggia, un po’ in tutta Europa, l’insopportabile inversione delle posizioni di marito e moglie: la «grande querelle», il «grand combat», il «grosser Zank», insomma la contesa sui pantaloni; un signore li strattona da una parte, un’agguerrita signora dall’altra, mentre i figli parteggiano per l’uno o per l’altra. In un’incisione francese di inizio Ottocento leggiamo, come veri e propri fumetti, quanto si urlano marito e moglie e i consigli di un uomo, lì accanto, costretto a indossare una gonna e di una signora che alza la veste per mostrare che lei i pantaloni li porta da un bel po’.

 

E ancora: mariti condotti dalle mogli in apposite officine in cui verrà loro cambiata la testa; uomini che portano la donna sulle spalle, altri che sostengono una grande croce su cui, come se non bastasse, si è seduta la moglie violenta («Porto la croce ahi! – della mia donna matta. Ed essa mi rimerita – a colpi di ciabatta»); donne (di tutte le latitudini) che prendono i mariti a bastonate o a cinghiate.

 

Ma il supremo di tutti i guai, naturalmente, è il tradimento; rieccoci con gli animali e col simbolo per eccellenza delle relazioni extraconiugali, le corna, attributo quasi esclusivamente maschile. In questo caso le immagini, per così dire, sono già preparate dal linguaggio col suo risuonare di doppi sensi e di sghignazzi appena trattenuti, come quello del «venditore di corna» in una incisione tardo-settecentesca derivata da un dipinto di Antoine Le Nain.

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