(ma non solo) / Luca Maria Patella. Canzoniaere: la poesia

1 Luglio 2020

Patella è uno degli artisti più caparbi che abbia mai conosciuto. L’età non l’ha piegato, casomai un po’ raddolcito, è diventato più autoironico, ma non transige su ciò che vuole. E ciò che vuole è “semplicemente” – ci vogliono sempre le virgolette, vero? – che si colga la sua arte così come lui la intende. L’arte per lui è faccenda complessa, un modo di pensare e di essere che se lo si è scelto è perché è diverso dagli altri modi, da quello scientifico o filosofico, o psicanalitico o antropologico o semiologico, e soprattutto perché non è una disciplina tra queste ma il modo di riprenderle tutte, da qui la complessità, rigiocandole a un altro livello, il livello esistenziale: arte e vita. So bene che la formula “arte e vita” fa arricciare il naso a molti, ma c’è poco da esitare: ci deve essere una corrispondenza, fosse pure in negativo, en creux, come dicono i francesi.

 

Faccio due esempi che lo riguardano. Patella ha una formazione scientifica di alto livello, è stato assistente di un collaboratore del Premio Nobel Linus Pauling, studi, argomenti, forma mentis che non sono certo stati dimenticati, anzi che hanno determinato il senso della sua decisione di passare all’arte come l’ambito che rispondeva meglio alla sua idea di comprensione della realtà. D’altro canto l’impostazione è rimasta, per cui Patella non può concepire l’attività artistica senza un fondo teorico articolato e rigoroso e una visione che spazia dalle più diverse discipline scientifiche, dalla fisica all’ottica, dalla linguistica alla semiologia, alle tecniche, tutte reinventate da lui, mai adottate e impiegate tali e quali. Secondo: la psicanalisi. Non si tratta solo di un’ulteriore disciplina o ambito di studi, ma risponde alla convinzione che se esiste l’inconscio, come pare, bisognerà necessariamente farci i conti. E che ruolo ha nell’arte? Come si riflette in essa? Qui gli esempi nell’opera di Patella sono innumerevoli, dal simbolismo dei colori e delle sostanze (alchimia, Jung, Lüscher) ai più diversi argomenti psicanalitici (inconscio, proiezione, immaginario, Spaltung…).

 

Per questo Patella ha da sempre svolto un’intensa attività “teorica”, che non è teoria che accompagna o giustifica una pratica, ma parte integrante della pratica stessa e per questo a sua volta “intransigentemente” sviluppata in libri d’arte, che di volta in volta, sia per costruzione, sia per scrittura, sia per tutto, riannodano e rilanciano l’affermazione e l’esercizio dell’insieme.

Che la sua attività “teorica” sia tutt’altro che dilettantesca o occasionale, che sia anzi originale e lo abbia portato a vere e proprie scoperte, lo dimostrano la sua applicazione a opere di autori come Dante, Diderot e Duchamp, tra i più ricorrenti nei suoi rimandi. Su Jacques le Fataliste di Diderot ha scritto una vera e propria analisi dettagliata – “Jacques le Fataliste” di Denis Diderot come autoencyclopédie, 1985 – in cui ha dimostrato come il romanzo sia un’“autoanalisi autoproiettiva”, interpretazione che ha raccolto il plauso nientemeno che di Lacan attraverso Jacqueline Risset che glielo aveva fatto conoscere.

È arte? “Arte & Non Arte”, risponde Patella, perché la dialettica è insita e imprescindibile nella forma della sua pratica e si ripercuote su ogni suo livello e componente: l’opera stessa in primis, appunto.

 

 

Infine, ultimo tassello introduttivo, Patella non ha mai smesso di scrivere anche in versi. Ha addirittura iniziato prima di saper scrivere, dettando alla zia compiacente. Negli anni ha pubblicato diversi libri, con cui ha vinto premi e di cui hanno scritto studiosi dell’ambito letterario. Neppure questo cioè è fatto in modo occasionale, da “poesia d’artista visivo”, bensì rientra a pieno titolo nel contesto che abbiamo richiamato. Questo spiega anche perché e come pure questi suoi libri sono sui generis, percorsi da aggiunte scritte a mano, disegni e figure a collage sparsi sulle pagine, mai, e ridicasi mai, libri “normali”.

Così anche l’ultima sua pubblicazione (intitolata Canzoniaere Gli Ori, Pistoia 2020), con suo tipico gioco di Senso & Suono, con l’aggiunta di una ѱ e nel frontespizio il sottotitolo “Canzoniare & Amare”, nonché una R. nel suo nome, che integra in tal modo Rosa, non solo moglie e musa, ma collaboratrice a pieno diritto (nonché, peraltro, artista in proprio). L’aere dunque vi ha un ruolo importante, così come l’amore, il tutto in chiave psicologica-analitica.

Il libro è come sempre complesso, composto di poesie, immagini, ogni tipo intervento a chiosa, notazione, diagramma, scritte e disegni a mano in vari colori, pagine colorate e pagine traslucide, e altro ancora, il tutto montato in moda da guidare la lettura, naturalmente, ma con una tale puntigliosità e domanda di comprensione che l’indice, commentato, prende quattro pagine, e le indicazioni all’indirizzo del lettore sono sparse ogni dove: “se la vuoi capire, si tratta di:…”, “perché – lettrice o lettore – avrai capito che…”, “lèggiti anche…”.

 

La scrittura è, come accennato, basata sull’indissolubilità di Senso & Suono, per cui le parole vanno ascoltate e si spezzano, legano, condensano, saltano, come del resto i personaggi, le figure, i gesti, le situazioni evocate. I versi sono sempre impaginati, disposti cioè visivamente, il più delle volte centrati – e non è scontato, perché una delle creazioni di Patella sono i “vasi fisiognomici”, basati sul rovesciamento di vuoto e pieno, per cui la forma risulta dal profilo di un volto – altre secondo altre disposizioni che indirizzano sempre la lettura-ascolto.

 

 

Del suo metodo di scrittura Patella ha dichiarato: “Come stile o modo di scrittura, accetto e uso la ‘primitiveggiante’ spontaneità del mio pensiero-linguaggio; poi magari ci lavoro a lungo. La mia scrittura creativa è di questo genere (rude/pulsionale, o intuitiva). Il lavoro sul linguaggio è preminente. Per la lettura della scrittura creativa, avverto spesso chi legge di affidarsi – in prima istanza – al più semplice suono e racconto (nella poesia la musicalità mi è molto vicina). In successive letture si possono affrontare le.. ‘con-plica-azioni’ che provengono dalle rotture e alterazioni di parole, le note, ecc.. Tra ‘l’ascoltare, e il lèggere’: ci sono ‘trabocchetti’, e c’è molta differenza”.

Jacqueline Risset ha descritto la lingua di Patella come “non fissata, in continua metamorfosi. Uno scollamento si produce all’interno delle parole. Ogni parola si scompone, si decompone. Molte si separano, come se fossero blocchi erranti”. D’altro canto, ribadisce l’artista: “La mia scrittura a volte è un po’ come un’‘equazione’, quindi: logica, oltre che, magari.. ‘extra-vagante’. Inoltre io mi dis-verto: proprio ad ‘avere problemi’ e nell’imparare”.

 

Quanto al legame costante con l’occasione biografica e l’autoanalisi Andrea Cortellessa ha parlato di “autocommento” e “mitobiografia”, di cui ha individuato “le tre fondamentali caratteristiche della parola poetica di Patella: l’elusione sistematica della biografia ‘reale’, il madornale lavorio intralinguistico, l’indovarsi in una geografia fantastica (o, parafrasando insomma il suo modus operandi, il CHI? il COME? e il DOVE?)”. Patella dal canto suo sintetizza dicendo che “scrivìve un ‘romanzino’-puzzle di tessere da tessere”.

Le ottanta poesie del Canzoniaere coprono un arco di sessanta anni, l’ordine naturalmente non è cronologico e il montaggio con le immagini è illuminante, specie per chi conosce almeno un poco la sua opera visiva, e apre, riverbera – per dirla con simboli suoi, come una “cauda pavonis”, che del resto apre in immagine la raccolta subito dopo l’indice – in ogni direzione, e colore.

Citiamone almeno una “semplice” a titolo esemplificativo:

 

vano?

 

Poi c’era

questa stanzetta:

ci si arrivava

per una stradetta

a gobba d’asino

in terra picchiata e

con un Fiore

in mezzo

Altissimo.

 

la camera

è di una

bruttura

.. calco labile!

e dalla finestra

verde stinto:

le chiome polverose

e il pigolio

passante..

 

 

E in basso alla pagina:

 

Destra & Sinistra si riccongiungono! onnipotente..

Bon Segnore.. ma abba stanza bruttoccia:

sta come torre, o togliere..

 

Del suo pensiero non diremo oltre, sarebbe troppo lungo e azzardato, come ci si sarà resi conto anche solo dagli accenni introduttivi. Ciò che importa è aver dato un’idea del fare patelliano, il resto è tutto da scoprire e da percorrere e ripercorrere, inesauribile com’è. Basti proprio a questo riguardo il motto che Patella non manca mai di citare, preso da Diderot: “Io non appartengo a nessuno e appartengo a tutti. C’eravate prima di entrare e ci sarete quando ne sarete usciti”, che è l’inconscio, così come è il linguaggio, e l’arte e la vita e la struttura stessa delle opere di Patella.

Naturalmente il libro alla fine rimanda all’inizio (nell’angolo dell’“ultima” pagina Patella scrive: “imbarco per Eccetera”!), poi segue una fitta serie di immagini e di spiegazioni all’indirizzo dei lettori, e infine – con scritta a vari colori che ripete dissolvendosi: “prima che spariate prima che torniate prima che spariate prima che torniate…” – si chiude con una preziosa “Appen dice”. In essa l’artista ha voluto ricordare, “appena”, senza invadenza e rivendicazione, “i personaggi che hanno interagito con l’operato (..poetico) di Patella”. Sono delle testimonianze, dei ricordi, dei documenti, degli omaggi. La lista è interessante per coloro che ne vorranno finalmente tener conto: Jacqueline Risset, Giulio Carlo Argan, Ernst Berhard, Fernanda Pivano, Harald Szeemann, Francesco Muzzioli, Andrea Cortellessa, Michel Baudson, Bernard Blistène. Vi si troveranno una quantità di ulteriori rimandi e temi e chiavi per lettura dell’opera dell’artista.

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