François Tanguy: un teatro materialista

15 Novembre 2024

Quella di Francesco d’Assisi è una vicenda storica che vede diverse idee farsi carne e sangue. Le più importanti di esse possono essere considerate tra i fondamenti di una inedita etica della povertà e dell’azione consapevole del corpo teatro, fondamenti comprensibilmente riemersi in molte altre vicende umane e artistiche e che oggi si ripresentano come imprescindibili punti di riferimento per concepire una presenza nel mondo non assoggettata esclusivamente alla logica del calcolo economico e dell’individualismo. L’attualità di Francesco è qualcosa da riscoprire in sé stessi e negli altri.

Potrei stilare una lista (non molto affollata) di nomi di persone geniali che a mia conoscenza hanno incarnato il “principio Francesco”, quasi sempre senza rendersene conto, ma con una di esse ho avuto la fortuna di essere amico e di condividere molte avventure teatrali nell’arco di alcuni decenni: François Tanguy (1958-2022).

Io lo chiamavo Francesco e lui mi chiamava fratello, era tutto molto scherzoso. Citava spesso il film di Rossellini (Francesco, giullare di Dio, 1950), sempre ridendo, in particolare della scena in cui i fraticelli, sotto un acquazzone, invece di ripararsi si infradiciano beati. Qui vorrei limitarmi a testimoniare come Francesco Tanguy (FT) abbia inteso il concetto di povertà e la sua straordinaria capacità di evocare mondi invisibili e concretissimi attraverso un gioco del teatro che era il più semplice e al tempo stesso il più raffinato di cui io, come molti altri, siamo stati spettatori nella nostra vita.

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François Tanguy durante le prove di Fragments forainsWoyzeck. © Didier Goldschmidt.

Una casa accogliente

La Fonderie è un edificio di quattromila metri quadrati nel centro di Le Mans. Dapprima fonderia, poi filiale regionale della Renault e poi ancora deposito dei mezzi del comune, oggi la Fonderie contiene una grande sala teatrale, diverse sale minori, tutte attrezzate, una grande hall, un refettorio con cucina che può accogliere una cinquantina di commensali, magazzini e un laboratorio di scenografia, uffici, sale riunioni e una cucina per gli interni, oltre a una foresteria al primo piano con una ventina di camere, bagni e un’altra cucina-sala da pranzo. FT avrebbe potuto ricavare per sé, senza nulla togliere agli altri, un appartamento principesco, invece si è fatto la sua Porziuncola, due stanzette appartate e traboccanti di libri, e negli ultimi anni si era addirittura ritirato in una sorta di monolocale-container fuori città, accanto al teatro tenda che il Radeau ha fatto costruire per poter provare i propri spettacoli (ognuno con una preparazione di molti mesi) senza occupare gli spazi della Fonderie, destinata principalmente ad accogliere senza spesa compagnie teatrali, artisti e attività di ogni tipo (teatro, musica, cinema, incontri pubblici, ballo e persino un mercatino settimanale di agricoltori). La missione della Fonderie, configuratasi nel tempo come uno luogo di cultura unico al mondo, è ormai istituzionalizzata. FT, l’attrice e direttrice Laurence Chable e il Théâtre du Radeau ne hanno ottenuto il riconoscimento da parte dei poteri pubblici e oggi, dopo la morte di FT, è ancora in piena attività tutto l’anno. Il destino del teatro tenda e della casetta del regista è da decidere, ma saranno sempre loro a farlo, i lavoratori.

Economia

Il Radeau e la Fonderie sono gestiti da pochi dipendenti fissi di una cooperativa. Sino a pochi anni fa, ricevevano uno stipendio equivalente a quello di un professore di liceo. L’attività teatrale è naturalmente svolta in base al regime dell’intermittenza. Da tenere presente che attori e tecnici, per realizzare e replicare ogni spettacolo, erano impegnati periodicamente per circa tre anni.

FT, quando era ospite di amici, andava sempre a fare la spesa e tornava con una quantità di cibo festoso che gli piaceva preparare.

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François Tanguy: dopocena alla Fonderie.

Letture

Per molti anni, FT si è aggirato, persino nella stessa Fonderie, con una borsa piena di libri che ogni tanto estraeva per leggerne alcuni passaggi. Anche gran parte del tempo delle prove era dedicato alla lettura. Impossibile fare la lunga lista degli autori compulsati nel tempo. Negli spettacoli del Radeau molti di questi testi ne diventavano il tessuto verbale, anche se mai era questione di una loro ‘messa in scena’. Nei libretti dei più recenti – Item (2019) e Par autan (2022) – gli autori dei quali si utilizzano i testi sono: Robert Walser (ricorrente molte volte), Fëdor Dostoevskij, Ovidio, Ludovico Ariosto, J. W. Von Goethe, Bertolt Brecht, T.S. Eliot, Luis de Góngora, W. Shakespeare, Franz Kafka, S. Kierkegaard, H. von Kleist, A. Čechov.

Musica, testi e oggetti

FT suonava alcuni strumenti, soprattutto la fisarmonica, cantava e sino alla fine ha aggiornato la propria cultura musicale sterminata; i cd della sua collezione spesso risuonavano nella Fonderie a contrappunto delle più diverse occasioni. Era anche un abile ballerino, specie di tango.

Musica e testi erano per lui uno spunto per le improvvisazioni sceniche, con ampio uso di costumi di epoche diverse e di oggetti, performance nelle quali coinvolgeva anche gli artisti di passaggio. Compagnie teatrali, altri artisti e ospiti di ogni tipo si ritrovavano immersi in un clima di festività riflessiva che aveva in lui il principale animatore.

Le scenografie (chiamarle così è davvero riduttivo) del Radeau erano costruzioni molto complesse e in movimento continuo, ma non erano le architetture imponenti e costose alle quali ci hanno abituati i grandi registi; erano accurate – affettuose, direi – composizioni di objets trouvés ognuno dei quali contribuiva alla drammaturgia dell’insieme: alla Fonderie c’era un grande laboratorio debitamente attrezzato dal quale passava una miriade di oggetti di recupero che FT trasformava in ‘personaggi’.

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François Tanguy. Composizione floreale e collage formato A3 (fotocopia), s.d.

Disegno

FT disegnava moltissimo. Era un’attività privata che è diventata nota a tutti soltanto negli ultimi tempi e dopo la sua morte, quando una galleria parigina gli ha dedicato una mostra accompagnata da un libro dell’editore Actes Sud. I suoi disegni, le sue composizioni figurali (ha fatto cose stupefacenti anche fotocopiando fiori e piante) non rimandano ad alcuno stile noto. Spesso sono pagine piene di segni, le sue, in bianco e nero o a colori, con un pieno e uno scorrere ininterrotto dei tratti. Il tutto potrebbe ricordare qualche artista dell’Art Brut, salvo che FT in quelle foreste di segni nasconde una miriade di idee e dettagli e figure che nell’Art Brut non appaiono.

Scambi culturali

Con FT e i suoi compagni avevamo molte discussioni sul teatro; lo interessavano argomenti apparentemente lontani dalla poetica del Radeau. Una foto scattata all’Accampamento realizzato dal Radeau e altre compagnie a Venezia nel 1998 ci ritrae a un tavolo mentre leggevamo Venezia salva di Massimo Bontempelli (a me toccava tradurre e parafrasare). Un altro esempio del suo (condiviso) essere al tempo stesso dentro e fuori del mondo, Capodanno 1999-2000 alla Fonderie: avevano cominciato verso le 10 di sera a parlare di Raffaele Viviani e di Eduardo, degli esterni notturni e diurni del primo e degli interni di famiglia del secondo. A un certo punto il rumore dei botti si è fatto talmente forte che era impossibile non sentirlo, ci siamo accorti che la mezzanotte era passata da un pezzo e siamo saliti sul tetto a guardare i fuochi d’artificio.

Mai i grandi incontri culturali pubblici della Fonderie riguardavano direttamente il teatro e men che meno ciò che faceva il Radeau. Tra musicisti, cineasti, filosofi, poeti, traduttori e scrittori, nel corso degli anni è passata per Le Mans una parte significativa della cultura europea. In occasioni più ristrette ci capitava di guardare insieme i più diversi film, anche, mettiamo, di Jacques Tati e di Totò, oppure Cenere di Eleonora Duse o i video degli spettacoli grotowskiani. Senza necessariamente poi allestire dibattiti, convegni o seminari, ma soltanto parlandone, magari a tavola.

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Biennale Teatro 1998. Campement al Galoppatoio del Lido. Lettura di Venezia salva di Massimo Bontempelli.

Attrici e attori

Si è mai visto un regista che anziché scegliere gli interpreti dei propri spettacoli si fa scegliere? FT era così. A volte era lui che li invitava alla Fonderie per conoscerli, ma erano quasi sempre loro a chiedere di lavorare con lui. Alcuni lo hanno seguito per decenni, ma – a parte la fondatrice del Radeau e ora direttrice della Fonderie, Laurence Chable – vivendo anche altrove le proprie avventure artistiche. Ci sarebbero tante storie interessanti da raccontare in proposito, storie d’arte e d’amore.

Musica e parole

Tutti gli spettacoli del Radeau erano pieni di musica e le parole risuonavano in diverse lingue (i libretti di sala davano conto delle fonti). Le musiche non erano mai un accompagnamento o creatrici d’atmosfera ma attori disincarnati, cosa difficile da comprendere e da esprimere in forma scritta, ma evidente a tutti gli spettatori. Francesco d’Assisi si esprimeva spesso in una lingua, il francese, che i suoi astanti non capivano. C’era una saggezza dietro questa apparente stravaganza.

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Laurence Chable, Orphéon (1998). © Alain Dugas.

Laurence Chable

È la chiave di volta del Radeau e della Fonderie, sempre a lato di FT, sempre decisiva e nelllo stesso flusso di pensiero, come Chiara d’Assisi, la ‘compagna’ di Francesco. Una sua idea: “La pièce est bien la production d’un nouveau spectateur, cet acteur qui commence quand finit le spectacle, qui ne commence que pour l’achever, mais dans la vie”.

Teatro senza intenzioni

FT: “Il mio teatro non ha la pretesa di rappresentare né di enunciare concetti. Lo spettacolo esiste come atto per sé stesso. Il mio ruolo, dunque, non sta nel farmi organizzatore del senso, ma consiste nell’invitare lo spettatore ad attraversare questa esperienza dei sensi, e, da questo, a predisporre l’ospitalità”. Ovvero: colui che dimostra vuole far vedere, mentre colui che fa vede e vedendo rappresenta “senza intenzioni” anche la propria vita interiore.

Carattere distruttivo

Anche FT era un carattere distruttivo nell’accezione di Walter Benjamin e George Didi-Huberman. Da giovanissimo sapeva e voleva differenziarsi anche da quelli che considerava comunque i propri modelli, anzitutto Bertolt Brecht; voleva entrare nel mondo del teatro come creatore di un linguaggio nuovo (i suoi primi “spettacoli” li aveva creati sui tetti di New York), ma non nuovo nel senso di una banale originalità, bensì per necessità di significare il grottesco e l’osceno della vita e farlo con la complicità di autori, grandi o meno grandi, ma fino ad allora ‘ricoperti’ dalla maggior parte delle interpretazioni registiche del tempo. Tra i suoi dèi vi erano Mejerchol’d e Kantor, e ammirava alcuni uomini e donne di teatro francesi, con i quali dialogava, ma la sua sensibilità grottesca lo portava soprattutto a studiare alcuni artisti popolari, da quelli vicini e che capiva, come i citati Tati e Totò, a Jean-Marie Straub, popolare in un altro senso, scelti sempre con grande finezza. Non amava parlare della propria formazione in termini biografici perché lo considerava inutile e fuorviante.

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Laurence Chable in Par autan. © Didier Grappe.

Teatro povero

FT è stato francescano anche nel senso che senza mai cedere al minimo  compromesso ha realizzato il “teatro povero” invocato da Jerzy Grotowski, un teatro ricco d’arte e di pensiero, riempito di presenze umane e di oggetti di recupero che erano al tempo stesso ordinari e straordinari. E tutto ciò è stato fatto non dando vita a una comunità blindata in una fede, ma formando un gruppo aperto di artisti-partner per alcuni dei quali l’esperienza con il Radeau è stata decisiva per una carriera svolta anche al di fuori del teatro.

Lotta nella storia

La lotta nella storia e contro la storia è una costante nella vicenda di FT. Di solida formazione comunista per via dell’ambiente famigliare, FT non è mai stato un gauchista, ma ha sviluppato un sentimento e un’etica che gli derivavano da quella formazione, con la frequentazione meditata e il dialogo diretto con alcuni filosofi contemporanei (soprattutto Jacques Rancière, Jean-Luc Nancy, Gilles Deleuze, Marie-José Mondzain) e della letteratura e poesia del Novecento. Sempre nel segno di una autonomia di pensiero che si è manifestata in molte occasioni.

La stessa cosa per il teatro. FT sapeva di appartenere alla storia del teatro e al tempo stesso viveva, rappresentandolo, un sentimento di estraneità al teatro della storia, il teatro che pretende di spiegare e ‘formare’: “Io non allestisco un dramma per insegnare agli altri ciò che già conosco. È soltanto dopo aver completato un’opera teatrale, e non prima, che sento di saperne di più. Un metodo che non penetri fino all’ignoto è un cattivo metodo. [...] Il mio teatro non ha la pretesa di rappresentare né di enunciare concetti. Lo spettacolo esiste come atto per sé stesso. Il mio ruolo, dunque, non sta nel farmi organizzatore del senso, ma consiste nell’invitare lo spettatore ad attraversare questa esperienza dei sensi, e, da questo, a predisporre l’ospitalità”.

Lui non sarebbe mai stato definito, come Patrice Chéreau, un “rivoluzionario estetizzante” e mai come lui avrebbe messo al collo una bandiera rossa ai ringraziamenti, semmai avrebbe utilizzato quei segni come avveniva nell’umorismo amaro di Tadeusz Kantor.

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Par autan: quattro dei molti “personaggi”. © Didier Grappe.

Contro la storia

Fare teatro significa entrare in un museo delle forme viventi. FT lo sapeva e con la sua genialità discreta, della quale era senz’altro consapevole, aveva trovato il modo di starci. Invece di appendere un altro quadro alle pareti di quella galleria, ha concepito la propria opera come un buco nel muro, un’apertura magica dalla quale però non si vedeva la ‘natura’, la cosiddetta realtà – né realismo né naturalismo – ma il mondo come linguaggio di un passato-presente dal quale non si può prescindere e che bisogna rimettere in gioco. Uno speciale sistema di ‘ottiche’ gli consentiva quello sguardo sul mondo al tempo stesso compassionevole, umoristico e anti-culturalista, permettendo la percezione di quanto sta dietro alle apparenze dei testi e dei rapporti professionali. Quella contemplazione portava a un montaggio di frammenti, un’attenzione puntata sui particolari più significativi, con una scelta che era al tempo stesso un a priori e una composizione dalla gestazione lunghissima, tutta realizzata in scena. Ciò ha fatto sì che il suo teatro fosse un evento inedito e irripetibile che molti non capivano e che per molti altri invece è stato un incontro determinante.

Ripetizione e differenza

Chi vedeva per la prima volta uno spettacolo del Radeau talvolta lo rifiutava con irritazione o, più spesso, scopriva un mondo parallelo. Qualcuno aveva l’impressione che tutti gli spettacoli del Radeau fossero una cosa sola, talvolta in senso negativo. Vero è che vederne gli sviluppi e le varianti non era alla portata di tutti. In realtà, dedicandosi alla creazione di diciannove opere teatrali, e soltanto a quelle, nell’arco di quarant’anni, FT ha realizzato sempre i medesimi principi, ma quelle opere segnano un percorso preciso e ora ben documentato dagli studi. In particolare le creazioni che vanno da Orphéon (1998) a Par autan (2022) disegnano un cammino simile a quello delle dieci sinfonie di Gustav Mahler, ognuna delle quali è il capitolo di una cosmogonia: opere sempre meno descrittive e sempre più consistenti in un grande mosaico di geroglifici che uno spettatore stupito riconosceva di avere già dentro di sé. Ogni spettacolo era un culmine irripetibile che si ripeteva e ripetendosi ovviamente si trasformava. Una cosa curiosa e commovente è che sempre assieme a un certo sfrondamento dei segni si sviluppava una sottile vena comica che tracciava un ritratto ‘finale’ del mondo. Penso a quella scena di Par autan in cui soffiava un vento paracleto che scompigliava gli abiti e contrastava con umorismo il cammino teatrale delle figure. Adesso vediamo nelle sue due ultime creazioni ciò che prima non osavamo capire, ovvero che l’artista era alla vigilia del suo congedo dal mondo.

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Attori e oggetti in movimento in Par autan. © Didier Grappe.

Dopo la storia

Ora siamo al momento dell’entrata nella memoria e negli archivi di questa confusa contemporaneità. Ciò che resta di FT è al tempo stesso tanto e poco. Però è legittimo continuare a sperare che seppure in altro modo l’opera di François Tanguy continui a dischiudere altre visioni o almeno renderle possibili. Un’opera, la sua, che è sempre stata inattuale e che non pretendeva di essere riconosciuta come ‘esemplare’, opera portatrice di una istanza etica di uguaglianza nella differenza e di libertà creativa di cui il teatro e il mondo hanno disperatamente bisogno.

Radeau significa zattera, precaria piattaforma affidata al mare alla ricerca di una salvezza che nessuno sa in cosa consista. La zattera-scena del Théâtre du Radeau era mossa davvero da un vento paracleto, da intendersi in questo caso non come la consolazione di cui è latore lo Spirito Santo, ma come una sorta di disperanza innestata in un’arte di vivere, nel rendere frequentabile l’inquietudine attraverso la bellezza e la destrutturazione umoristica, il massimo cui potessero aspirare un materialista integrale come FT e i suoi compagni, attori straordinari perché (frati) minori, ossia capaci di trasmutare la povertà in una sconfinata ricchezza. La consolazione che cercava Francesco d’Assisi era qualcosa di molto simile. I due Francesco hanno vissuto vite parallele in mondi diversi. La questione di fondo per loro era il mettere in gioco, nel corpo teatro, la molteplicità dei propri “io”, guardando insieme a sé stessi e agli altri, o meglio a tutti e nessuno, in quell’affollato magazzino di reperti che è il cosmo, qui tradotto in una “scenografia” nella quale fanno capolino anche molte tracce del mondo vegetale e animale. Anche per FT, vale quanto si dice di Francesco d’Assisi nelle parole di Meister Eckhart riferite a Paolo di Tasso: “Paolo si alzò da terra e, con gli occhi aperti, vide il nulla [...] e questo nulla era Dio”. Di fronte a un nulla che è Dio, un individuo religioso e un materialista integrale non sono molto differenti, sono entrambi nella religione universale. Resta per entrambi la questione decisiva di trovare la fonte dell’etica.

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François Tanguy ricordato a Sarajevo.

Lutto

Quando FT è morto ho ricevuto molti messaggi di cordoglio da parte di tanti miei studenti che nel corso degli anni erano stati accolti a braccia aperte alla Fonderie o dal Radeau in tournée, senza nessuna altra finalità che conoscersi e confrontare i reciproci progetti di mondo e di teatro. Quegli studenti scoprivano nella meraviglia del Radeau la rivelazione di mille teatri possibili che devono ancora esistere, ovvero che il sentimento grottesco del mondo apre il teatro a possibilità inedite e infinite, che la sensibilità grottesca istituisce un sentiero continuamente percorribile nei due sensi tra il museo della cultura e il mondo in cui si vive.

Conoscerlo

Per conoscere FT ora che non c’è più ci sono varie possibilità. I suoi ultimi due spettacoli, Item e Par autan saranno replicati fin quando sarà possibile, tra l’altro ai festival di Avignone (nel luglio 2025) e, forse, di Parma (autunno). Ma esistono già alcuni video degli spettacoli e alcuni documentari, altri sono in preparazione. Alla Fonderie si stanno attrezzando per rendere consultabile tutta la vasta produzione di FT.

Guardando alle preziose pubblicazioni postume, una delle cose che più colpisce è la densità e la singolarità poetica dell’artista. Si tratta spesso di note d’occasione, come quelle scritte durante lo sciopero della fame per Sarajevo (città nella quale FT è stato più volte, animando concrete iniziative di aiuto) o note di diario, a volte le partiture sceniche annotate.

Epigrafe impossibile

Sarà un caso, ma FT è morto alla stessa età di Carmelo Bene: due campioni di raffinatissime, per quanto diverse, tecniche di dépense. I suoi scritti ci consentono uno sguardo sugli spettacoli che ha creato dall’altro lato dell’universo. Una delle sue ultime note si intitola Un appel (marzo 2022):

Qu’un acte, disons, d’art, ne prétende d’abord à cela que se tenir au plus près de l’instance des corps, des sens, des voix, des témoignages, et que cela soit déjà résistance à l’opaque. Forme de remembrance.

Va-t-on dire : vous dansez ?

Oui, plus que jamais, dans cet intervalle entre le fracas du réel et le soulèvement de la fiction qui le déloge, le recouvre et l’absorbe.

Ah ben, donc vous vous relevez? et vous dansez ? vous parlez? vous sifflez?

Oui, humblement, que cela soit résistance à s’y tenir.

Alors peut-on dire: vous dansez, et chantez ?

Peut-être, cela aussi désigne ceci.

Ah donc, vous peignez et pêchez ?

Oui, si vous voulez, mais ensemble, avec vous.

(“Che un atto, diciamo, d’arte, pretenda innanzitutto e soltanto di essere il più vicino possibile all’istanza dei corpi, dei sensi, delle voci, delle testimonianze, e che questo sia già una forma di resistenza all’opaco. Forma del ricordo.

Chiederemo: vuoi ballare?

Sì, più che mai, in questo intervallo tra il fracasso del reale e il sollevarsi della finzione che lo sradica, lo copre e lo assorbe.

Ah bene, allora ti alzi? e balli? stai parlando? stai fischiando?

Sì, fai in modo che, umilmente, far così sia resistenza.

Allora potremmo dire: stai ballando, e cantando?

Forse quello significa anche questo.

Ah, dunque, stai dipingendo e pescando?

Sì, se vuoi, ma insieme, con te”.)

Letture

François Tanguy, Traits, a c. di A. Badoux e L. Chable, pref. M.-J. Mondzain, Actes Sud-Papiers, Arles 2023.

François Tanguy – Traces, n. 10, hors-série della rivista «Frictions», 2023.

Jean-Paul Manganaro, François Tanguy et Le Radeau, POL, Paris 2011.

« théâtr/e/public », 214, Variations Radeau, Octobre-Décembre 2014

Bruno Tackels, François Tanguy et le Théâtre du Radeau, Les Solitaires Intempestifs, Paris 2005.

A. Attisani, Trasumanar – La composizione scenica secondo il Théâtre du Radeau e François Tanguy, Edizione in proprio, Torino 2008.

S. Givone, Storia del nulla, Laterza, Roma-Bari 1995.

In copertina, L’ultima fotografia è una delle ultime immagini di François Tanguy.

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