Oscar al miglior film internazionale / Vinterberg. Bere per non dimenticare

10 Giugno 2021

A Thomas Vinterberg i quarantacinque secondi concessi ai vincitori per il loro discorso di ringraziamento non sarebbero bastati. Per sua fortuna, ha vinto il Premio Oscar al miglior film internazionale in un anno molto particolare. Quanti hanno deciso di partecipare di persona alla cerimonia nonostante le difficoltà logistiche e sanitarie sono stati premiati con una maggiore libertà di gestire il tempo a disposizione sul palco, senza temere l'implacabile aumento di volume della musica a coprire le loro voci. Il regista danese si è trattenuto per ben quattro minuti: un'eternità per i rigidi tempi televisivi e il peggiore degli incubi per i produttori dello spettacolo. Ma aveva un ottimo motivo per farlo. 

 

Il suo ultimo film Un altro giro ha ottenuto il premio più prestigioso al termine di un lungo percorso che lo aveva visto selezionato per l'edizione di Cannes del maggio 2020 cancellata a causa della pandemia, partecipare a tutti i principali festival dell'autunno scorso (era anche nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma) e vincere altri importanti premi, tra cui risalta il trionfo agli European Film Awards. Vinterberg, nelle varie occasioni in cui ha pronunciato dei discorsi di ringraziamento e come poi è accaduto anche agli Oscar, ha sempre iniziato con gioia e divertimento, per poi concludere con una personale nota malinconica. Ha dedicato ogni premio, come già l'intero film, a sua figlia Ida, che vi avrebbe dovuto recitare ed era stata coinvolta nella pre-produzione, ma è morta in un incidente stradale appena qualche giorno dopo l'inizio della lavorazione. Il padre ha commemorato la figlia in ogni possibile circostanza, fino a quella più importante nella Union Station di Los Angeles. Le cicatrici di questo terribile ricordo, manifestate pubblicamente assieme alla soddisfazione per ogni premio ricevuto, sono perfettamente coerenti con il senso del suo film: una celebrazione della gioia di vivere, da accogliere nonostante la consapevolezza che i dolori che il destino può procurare facciano intrinsecamente parte della vita.

 

Thomas Vinterberg


Sebbene la tragedia familiare abbia sconvolto la vita del regista, la lavorazione del film è stata posticipata, per poi essere riavviata e portata a termine. Il film con Ida è diventato un film per Ida, con alcuni inevitabili cambiamenti: Martin, il personaggio principale interpretato da Mads Mikkelsen, nella versione finale della sceneggiatura non ha più una figlia femmina ma due figli maschi, resi piuttosto marginali, mentre è rimasto più approfondito il rapporto ormai freddo con la moglie; per inglobare nella trama la scuola dove Ida studiava e popolarla dei suoi veri amici in qualità di comparse, Martin/Mikkelsen è diventato un insegnante di storia in un liceo di Copenaghen. Nella stessa scuola lavorano anche Nikolaj (Magnus Millang), docente di psicologia e padre di tre bambini, lo scapolo Peter (Lars Ranthe), che insegna musica, e il divorziato Tommy (Thomas Bo Larsen), il più anziano del gruppo, che è l'insegnante di educazione fisica.

 

Sono quattro amici e colleghi accomunati non solo dalla condivisione dell'ambiente lavorativo ma anche da un evidente grigiore umano, acuito dal confronto quotidiano con gli adolescenti: sono particolarmente spenti quando si accostano alla vivacità talvolta supponente dei loro giovani allievi, ma il loro atteggiamento non cambia neppure lontano dalla scuola. Non sanno sorridere, riusciamo a indugiare lungamente sui loro sguardi persi nel vuoto. Il più giovane di loro, Nikolaj, che compie quarant'anni, sembra tristemente destinato a quella crisi di mezza età che pare abbia già colpito silenziosamente gli altri tre. Nella cena in ristorante che li vede riuniti proprio per festeggiare il compleanno, non si intravedono né gioia né divertimento per il tempo che stanno trascorrendo assieme. Ben lungi dall'essere una serata goliardica, presenta invece un deprimente campionario di insoddisfazioni al maschile. A peggiorare l'atmosfera ci si mette anche Martin che inizialmente sceglie di bere solo acqua, ma la sua iniziale ritrosia ai brindisi è lo spunto ideale per tirare fuori un argomento di conversazione adatto al contesto.

 

Nikolaj racconta che uno studioso norvegese ha elaborato una teoria secondo cui la quantità di alcol nel sangue (BAC, acronimo di Blood alcohol content) dovrebbe essere sempre pari a 0,05% affinché le persone siano rilassate e felici; quando si sta sotto quella soglia, cioè ogni volta che si è sobri, è ragionevole bere per colmare il deficit. È nient'altro che una di quelle citazioni captate chissà quando e chissà dove, divertenti da introdurre quando si chiacchiera in compagnia, senza averne mai controllato la veridicità. Eppure qualcosa frulla nella testa dei quattro dopo quella serata, che infatti si conclude con qualche sorriso solo dopo avere bevuto a sufficienza: decidono di appurare se la loro vita possa davvero migliorare mantenendo una certa quantità di alcol costante nel loro sangue, bevendo non per puro piacere ma con lo scopo preciso di raggiungere e stabilizzare tale livello. Non sono state solo le parole di Nikolaj a intrigarli: messi spalle al muro dalla monotonia delle loro esistenze, non hanno nulla da perdere a testare un'ipotesi facile da verificare quanto scolare una bottiglia di vodka.

 

 

Se le idee di Nikolaj vengono accolte con iniziale ironia ma poi spingono i protagonisti a saggiarne concretamente la bontà, con molta più serietà è stato chiesto parecchie volte a Vinterberg di illustrare le origini di questa teoria scientifica, come se fosse vera. Finn Skårderud, lo psichiatra norvegese citato esplicitamente nei dialoghi come ideatore, è una persona realmente esistente ma la sua teoria non è mai stata formulata come tale. Alcuni anni fa scrisse la prefazione alla traduzione norvegese di Gli effetti psicologici del vino, breve trascrizione di una conferenza tenuta da Edmondo De Amicis nel 1880 e pubblicata un anno dopo; lì citò questo presunto "errore" fisiologico negli esseri umani, una carenza di alcol nel sangue quantificata appunto nel 5 per mille, per poi confutare immediatamente l'ipotesi introdotta solo come artificio letterario. Nessuna teoria scientifica, quindi: una suggestione interpretata in modo frettoloso dal personaggio, presa sul serio attribuendole quel valore inconfutabile che lo psichiatra non aveva mai inteso dargli. Facile farsi ingannare dal paradosso e scambiarlo per materia scientifica: un bias cognitivo inevitabile se si vive in una nazione in cui il consumo di alcolici è molto diffuso e culturalmente accettato.

 

Il testo di De Amicis alla base dell'equivoco, proprio come il film di Vinterberg, cerca di illustrare esperienze molto comuni del consumo di vino: che una moderata quantità di alcol possa portare dei benefici (almeno allo spirito, perché adesso c'è maggiore accordo scientifico sul fatto che l'assunzione di alcol faccia male al fisico in qualsiasi quantità) ma che quando si esagera, i benefici si possano improvvisamente trasformare in danni. Lo scrittore la chiama "progressione dell'ebbrezza" e prova a descrivere gli effetti dell'assunzione di una quantità sempre maggiore di vino, dal comune piacere iniziale fino alle reazioni differenti a seconda del carattere e dell'età. Ma il primo bicchiere offre sempre sensazioni piacevoli: "La nostra percezione è così lucida, la parola così facile, la voce così ricca, sentiamo una traspirazione così gradevole, il complesso di tutte le nostre forze così dolcemente fuso, la vita così piena ad un tempo e così leggera! E la conversazione procede mirabilmente."

 

È esattamente quel tipo di risultato che i quattro amici si erano prefissati di raggiungere, strutturando il loro gioco come un serio esperimento con tanto di enunciazione dei risultati attesi, osservazione e trascrizione dei risultati ottenuti: decidendo di bere solo in orario lavorativo, solo nei giorni feriali, controllando periodicamente la quantità di alcol nel loro sangue con un etilometro e riportando fedelmente le proprie esperienze agli altri. In totale assenza di intenti moralizzatori, Vinterberg mostra che le fasi iniziali del test, caratterizzate da un consumo mirato a raggiungere il magico livello perfetto di alcol nel sangue, sono assai positive. Tutti migliorano i risultati nell'insegnamento (nella forma, oltreché nei contenuti), rinfocolano i rapporti familiari, si sentono più vitali e attivi di prima. Ogni successivo aumento del livello di alcol sembra portare ulteriori risultati favorevoli. Ma siccome c'è differenza tra voler celebrare la vita resa più soddisfacente dall'alcol e magnificare la patologia dell'alcolismo, l'esperimento viene spinto troppo in là, in modo da ricordare che ogni vantaggio acquisito si può assai rapidamente tramutare in un problema. Forse De Amicis aveva già immaginato la possibile fine di questa esperienza incauta: "Arrivato a questo punto, il bevitore non è più che uno spettatore indifferente del mondo; vivacchia, con un sol occhio aperto, non cammina, ciondola sulla via della vita, fin che venga la morte a spezzargli il bicchiere nel pugno."

 

In occasione delle interviste rilasciate durante la Festa del Cinema di Roma, Vinterberg ha spiegato che il titolo originale Druk non può essere tradotto come semplice ubriacatura: in Danimarca il consumo di alcolici è così diffuso che nella lingua locale esistono molti termini per descrivere i vari stadi dell'ebbrezza. La parola druk, più che la comune ubriacatura, indica il consumo di molto alcol ravvicinato nel tempo fino a ottenere lo stordimento: ciò che anche in Italia definiamo col termine inglese binge drinking. Probabilmente questa modalità di consumo smodato e goliardico tipica degli adolescenti sarebbe stata approfondita dal personaggio destinato a Ida Vinterberg; è rimasto nella prima sequenza in cui i giovani non bevono per assaporare il piacere del bere ma come rito di passaggio da vivere in gruppo, rappresentato quasi come una pratica sportiva che unisce correre attorno a un lago e ingurgitare birre, per poi riversarsi come presenza chiassosa e molesta in mezzo alla gente. 

 

Il titolo internazionale Another Round, tradotto fedelmente in italiano, è più aderente invece a come i quattro uomini strutturano la loro sperimentazione amatoriale: aumentando in modo consapevole, nel corso dei giorni, la quantità di alcol da consumare, ma sempre cercando di analizzarne gli effetti e soprattutto di goderne i benefici in maniera razionale, anziché con lo scopo di perdere il controllo e ogni inibizione. Si può dire che decidano di bere in maniera adulta, ma proprio perché sono adulti, sono maggiormente responsabili delle loro scelte, anche perché a causa del loro ruolo di insegnanti dovrebbero avere una generica funzione di esempio per le giovani generazioni. Si immergono nel loro esperimento tutti con la stessa dedizione, arrivano assieme al punto di rottura ma poi non tutti si riprendono allo stesso modo. 

 

 

L'elemento più evidente dell'ubriachezza è la perdita di controllo sulla capacità motoria, che Vinterberg adopera anche con effetti comici. Se a inizio film i quattro uomini non sentivano più alcuna energia nel loro animo, al culmine del loro esperimento sembra che si muovano come zombie, morti viventi senza controllo del loro corpo: come fossero passati da un tipo di morte apparente a un altro. Ma è interessante notare che finché il livello di alcol influisce sul carattere, sulla parlantina, sugli atteggiamenti, è socialmente tollerabile e persino favorito; quando si perde il controllo del proprio corpo, quando non si riesce più a camminare in linea retta o trattenere la pipì, la dipendenza è ritenuta inaccettabile. A pagare le conseguenze più gravi è proprio colui tra i quattro che si occupa di istruire e curare il corpo più che la mente, l'insegnante di educazione fisica: la sua colpa non è l'alcolismo ma che offra a tutti l'opportunità di condannarlo pubblicamente. È lo stesso pregiudizio che affiora nel breve inserto con il collage di personaggi politici ripresi in momenti di reale o presunta ubriacatura: come Martin insinua anche durante una sua lezione, non è affatto grave che un politico sia anche un alcolista, ma è intollerabile che lo mostri al mondo se non vuole essere mal giudicato. 

 

Senza fornire esempi positivi da ammirare ma evitando anche ogni moralismo perbenista, si lascia intendere che l'assunzione di alcol abbia indiscutibili effetti positivi, a patto di saperne regolare sapientemente le dosi. Chi tra i personaggi ritrova un equilibrio personale, anche dopo essere andato oltre il limite, può contare indubbiamente su una vita migliore. Neppure De Amicis aveva voluto concludere la sua conferenza in maniera amara, e dopo avere citato i danni dell'ubriachezza celebrò anche "il vino che fa alzare nello stesso tempo il calice, la fronte e il pensiero; il vino che mette all'operaio la forza nel braccio e il canto sulle labbra; l'allegria della nostra mensa d'ogni giorno, il festeggiatore delle riconciliazioni e dei ritorni, il liquore benefico che riscalda le vene dei nostri vecchi, che rinvigorisce le convalescenze sospirate dei nostri bambini, che aggiunge un sorriso all'amicizia e una scintilla all'amore."

 

La celebrazione finale del bere, che lo scrittore riscontrava nei banchetti gioviali dei quadri del pittore olandese van der Helst, Vinterberg la affida al suo protagonista Mads Mikkelsen: ha affermato che il suo salto nel vuoto conclusivo sia l'inizio di un volo verso l'alto, non di una caduta verso il basso. La sua affermazione però non cambia il fatto che molti spettatori abbiano avuto il dubbio sulla sua traiettoria. Vinterberg è senz'altro titolato a informarci sulle reali sensazioni del personaggio che ha ideato, ma lo sguardo esterno dello spettatore ha il diritto di preferire l'ambiguità. Martin stesso, durante una delle sue lezioni di storia, rimarca ai suoi studenti quanti grandi nomi della politica, della cultura e dell'arte fossero grandi bevitori, in alcuni casi palesi alcolizzati. Il passaggio che gli manca è che Churchill o Hemingway non sono considerati grandi perché erano alcolizzati, ma per ciò che hanno ottenuto: sono giudicati per i loro notevoli risultati, quelli che invece la grande maggioranza dei comuni alcolizzati non ha mai ottenuto. Vediamo Mads Mikkelsen che sta volando verso un entusiasmante prosieguo della propria vita e contemporaneamente sta cadendo verso il baratro dopo avere distrutto tutto ciò che aveva costruito fino ad allora: la sua traiettoria, ancora incerta nel presente, potrà essere giudicata compiutamente solo quando osservata dal futuro. Ma non possiamo biasimare Vinterberg se preferisce parteggiare per un'ottimistica ascesa: è il lascito dell'entusiasmo che sua figlia Ida aveva manifestato per la partecipazione a questo progetto cui non ha potuto prendere parte, che si è trasformato in un film sul bere per non dimenticare.

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