1931 - 2020 / Il lungo addio di John Le Carré, maestro di spy story e di etica civile

15 Dicembre 2020

John Le Carré riteneva che i suoi libri migliori fossero La spia che venne dal freddo e Il sarto di Panama, secondo Philip Roth La spia perfetta era “il miglior romanzo inglese del dopoguerra”. Ecco, basterebbero questi tre titoli per rendere il senso e la qualità letteraria della sua produzione narrativa.

I protagonisti delle sue storie hanno spesso in comune un passato discutibile, un’apparente debolezza correlata all’età o alle pericolose difficoltà da affrontare, un’inflessibile forza d’animo. La loro immagine dolente, disperata come in Alec Leamas, il protagonista di La spia che venne dal freddo o imperturbabile come in George Smiley, il protagonista di La talpa, nasconde una estrema determinazione, e principi ben più saldi e profondi di quanto possano apparire.

 

Le storie di Le Carré seguono tracce stilistiche ed etiche facili da individuare nella letteratura inglese. Joseph Conrad soprattutto, per la disperata volontà di rivolta morale che alberga in certi protagonisti delle sue storie, dei Lord Jim che hanno molto da farsi perdonare, ma anche una pervicace voglia di lottare; Arthur Conan Doyle, per l’abilità nel costruire misteri da dipanare con la ragione, ma anche cambiando prospettiva e punti di vista; Graham Greene, per le sue indagini dell’insondabile mistero di tante scelte e cambi di posizione della mente umana. A volte, affiora anche un senso dell’umorismo, soprattutto per Il sarto di Panama, che richiama alla mente Pelham Grenville Wodehouse.

Jerry Westerby, protagonista de L’onorevole scolaro, tiene in tasca un libro di Conrad, ed è conradiana la sua ansia di riscatto dagli errori del passato, in una vicenda ambientata in Oriente, a Hong Kong. Ma oltre a questi richiami espliciti, sono le motivazioni etiche personali, il desiderio di libertà individuale dei piccoli grandi uomini che animano le storie di Le Carré a richiamare l’opera di Joseph Conrad. Il loro desiderio di battersi comunque, anche quando il destino appare incerto, e la sconfitta probabile.

L’abile e complesso svolgersi delle trame utilizza una scrittura che scorre chiara e ben costruita. Tutto procede apparentemente secondo logica, ma l’inganno e la dissimulazione sono dietro l’angolo, perché così è la realtà dello spionaggio e dei rapporti di forza tra poteri economici e politici. Complessa e difficile era stata anche la giovinezza di John Le Carré, che di vero nome faceva David John Moore Cornwell. Aveva alle spalle un’infanzia e un’adolescenza difficili, una madre che lo aveva abbandonato quando lui aveva appena cinque anni e un padre imbroglione, nel lavoro come nei sentimenti. David aveva anche un passato da spia, dal 1958 al 1963 aveva lavorato per il Secret Intelligence Service, in Germania. È in occasione della pubblicazione del suo primo libro, Chiamata per il morto, che inventa lo pseudonimo John Le Carré. Non lo lascerà più.

 

La spia che venne dal freddo

 

L’eleganza e l’affabilità che mostrava in ogni occasione, l’abilità tesa e pacata che caratterizzavano il suo stile letterario, celavano una forte capacità di indignazione di fronte alle ingiustizie. In una intervista del 2001, definì con una parola tedesca, Alterszorn, rabbia dell’età, la sua il suo sdegno per la corruzione e la prepotenza dei potenti, e per l’ignavia di chi si piega sino a rendersi complice. Ma la teneva a freno quella rabbia, riteneva che lo scrittore non dovesse mai lasciare spazio alla polemica e al commento, e avesse invece il dovere civile di documentare la verità e far parlare i fatti, raccontandoli in modo evocativo e coinvolgente. L’ingegnosità delle vicende narrate e la credibilità dei dialoghi consentiranno poi apprezzabili trasposizioni cinematografiche.

 

Ironia e tensione, pietà e disperazione, emergono da storie di sobria tragicità, sconvolgenti proprio perché plausibili e veritiere. Reali le strategie spionistiche e ben documentati gli interessi politici ed economici in gioco, riconoscibili i riferimenti ad alcuni importanti personaggi della guerra tra servizi segreti nel periodo compreso tra la fine della Guerra mondiale e la caduta del muro di Berlino. Kim Philby ad esempio, l’aristocratico inglese salito ai vertici dei servizi segreti inglesi ma in realtà una spia dell’Unione sovietica. La più dannosa che si sia mai infiltrata nel Circus. In Unione sovietica, dove, una volta scoperto, era riuscito a rifugiarsi, gli dedicarono statue e francobolli. Le Carré lo ha sempre disprezzato apertamente, in più interviste, per gli agenti inglesi e i contatti nei Paesi dell’Est che persero  la vita a causa sua, ma anche per la superficialità delle motivazioni del suo tradimento, più legate a vanità personale che a solide convinzioni politiche. Un altro nome di rilievo è quello di Markus Wolf, che per trentaquattro anni guidò i servizi segreti della Germania est, e che nelle pagine di Le Carré diviene il temibile Karla.

 

Il giardiniere tenace

 

I primi libri, nel trentennio compreso tra il 1961 e il 1989, raccontano un mondo diviso in due dalla cortina di ferro, con uno scontro continuo e feroce tra i servizi occidentali e quelli dell’est; quello inglese spiccava  per una storica genialità ma era spesso infiltrato da traditori, quello della Germania dell’est era da tutti considerato il più temibile ed efficace.

 

Nei primi anni Sessanta, dopo Chiamata per il morto e Un delitto di classe, il libro che lo rende uno scrittore apprezzato in tutto il mondo è La spia che venne dal freddo, un successo ampliato dal bel film omonimo diretto da Martin Ritt e interpretato da Richard Burton. La storia è dura e umanissima, ingegnosa quanto credibile, con un protagonista ‘navi bruciate alle spalle e incerti orizzonti davanti’, e un finale indimenticabile. Seguirono altri libri, di costante ma più moderato successo, fino a un nuovo grande romanzo,  La talpa, del 1975. Il protagonista George Smiley, è un maestro di paperchase, di analisi di dossier d’archivio, e guida uomini imperfetti ma coraggiosi. Ingannato da Karla, il mitico capo dello spionaggio della Germania dell’Est, che approfitta del suo unico punto debole, i sentimenti, Smiley reagisce con furia fredda, implacabile. Anche da quest’opera venne tratto un film di qualità, molti anni dopo, nel 2011, diretto da Tomas Alfredson e interpretato da Gary Oldman.

Tutti gli uomini di Smiley, del 1981 chiude il cerchio letterario della lunga contesa con Karla, con un libro che è tutt’altro che un seguito, ma invece uno dei suoi romanzi più riusciti, con la trama avvincente e la scrittura limpida ed efficace. È del 1987 La spia perfetta: ambientato alla fine degli anni della cortina di ferro, conclude nel modo migliore la prima parte dell’avventura letteraria di Le Carré, quella della contrapposizione Est-Ovest. Meno riusciti in quegli anni La tamburina, ambientato in Medio Oriente, e La Casa Russia, da cui verrà tratto un film ben interpretato da Sean Connery.

Negli anni Novanta il mondo cambia, ma non migliora; lo scontro perde le motivazioni ideologiche dei decenni precedenti, subentrano quelle nazionalistiche o di esclusivo interesse economico, come i traffici internazionali di armi e droga. La passione del suo tempo tratta di una delle tante guerre di repressione delle minoranze nei territori ai confini dell’ex Unione Sovietica; ne Il direttore di notte invece, Jonathan Pine, direttore di un grande albergo di Zurigo, si trova coinvolto, per scelta etica, in una sporca storia che intreccia spionaggio deviato, traffici di armi e commercio di droga.

 

A most wanted man, locandina del film.

 

Il sarto di Panama, del 1996 è un’opera originale, diversa dalle altre, per maggiori dosi di ironia e dissacrante umorismo, un dichiarato omaggio a Il nostro agente all’Avana di Graham Greene.  

Con Il giardiniere tenace, del 2001, Le Carré racconta un mondo duro e feroce come quello della guerra fredda, se non di più, dove gli interessi economici delle grandi multinazionali prevalgono sopra ogni principio e senso di pietà, specie nelle parti del mondo più deboli e povere. Justin Quayle, il tranquillo e tenace protagonista non ha velleità donchisciottesche, ma vuole capire, e cerca giustizia. Anche se viene lasciato solo, in una condizione di fragilità che lascia poco spazio alla speranza.

Tra gli ultimi libri spiccano Yssa il buono, Il nostro traditore tipo e Una verità delicata, dove lo scrittore affronta con la consueta precisione cambiamenti di strategia geopolitica e conflitti internazionali più o meno dichiarati, traducendoli in trame accattivanti. Il primo merita di essere ricordato soprattutto per il duro e malinconico film che ne è stato tratto, forse il migliore tra tutti quelli ispirati alle trame di Le Carré: La spia – A most wanted man, diretto da Anton Corbijn e interpretato da un dolente Philippe Seymour Hoffman, nella sua ultima magistrale apparizione: Hoffman riesce a raffigurare con grande sensibilità il dolore trattenuto, la rabbia e la solitudine del protagonista.

 

Alla fine della sua vita John Le Carré prova a fare i conti con se stesso, con le difficoltà e il dolore di essere cresciuto in una famiglia spezzata, con un padre inaffidabile ed egoista, e una madre che conoscerà solo da adulto, senza riuscire a capirla e senza perdonarla di averlo abbandonato. L’autobiografia, sincera e senza consolazioni, si intitola Tiro al piccione, ed esce nl 2016.

L’ultimo libro, La spia corre sul campo, del 2019, si dipana in una trama pacata, meno tesa  e incalzante del solito; illustra con rigore e lucido pessimismo la sconfitta civile e culturale della Brexit, e un mondo occidentale sballottato tra il degrado di idee e di valori della presidenza Trump e il cinismo delle aggressive strategie di Putin.

La sua cultura aperta, tollerante e generosa, gli ha sempre reso necessario schierarsi a favore di un’Europa unita, portatrice di valori di libertà e civiltà, solidale con i deboli e tenace nel non farsi stritolare da USA, Russia e Cina. John Le Carré ha avversato con forza ed esplicitamente la Brexit, battendosi con i mezzi a disposizione di un intellettuale, con interviste e articoli motivati e ben documentati, apparsi soprattutto su The Guardian, il quotidiano che prediligeva.

Pochi mesi fa gli attribuirono il Premio Olof Palme per il suo ‘engaging and humanistic opinion-making in the literary form regarding the freedom of the individual and the fundamental issues of mankind’. Mai parole furono più giuste per ritrarre un uomo e le sue storie.

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