Le sconcertanti carte disegnate da Opicino / Europa violata e diabolico mar Mediterraneo

26 Giugno 2019

“Sono stato più volte coinvolto in azioni illecite” scrive il chierico Opicino de Canistris nella sua tormentata autobiografia, illustrata da una serie di tavole ispirate alle mappe dei cartografi genovesi. Ruotandole per orientarle rispetto ai punti cardinali, ciò che prima appariva come sfondo muta sorprendentemente in figura e viceversa. Si tratta del noto fenomeno percettivo studiato da Edgard Rubin.

 

Figura 14 tratta da Edgar Rubin, Synsoplevede Figurer. Studier i psykologisk Analyse, Gyldendalske Boghandel Nordisk Forlag, Copenhagen 1915.


Alla sconcertante autobiografia di Opicino e alla tavole che la corredano, lo storico medievista Sylvain Piron ha dedicato un saggio (Dialettica del mostro. Indagine su Opicino de Canistris, Adelphi, Milano 2019) nel quale descrive il fenomeno d’inversione figura/sfondo come “percezione simultanea del negativo e del positivo” (p. 16). In realtà determinate aree di un campo visivo hanno forma solo per un dato tempo: non si possono vedere simultaneamente ma solo alternativamente. Non è un distinguo irrilevante perché l’alternanza al cambio di funzione di una linea di contorno è ciò che dirige l’attenzione. Lo spiega David Katz in La psicologia della forma (Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 70) fornendo l’esempio delle carte nautiche nelle quali la linea di contorno presenta alla mente una superficie terrestre o marina (l’una o l’altra, alternativamente e non simultaneamente). 

 

Opicino de Canistris, carta Vaticanus latinus (6435,f.53v.). Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano.


Nel caso della carta Vaticanus latinus (6435,f.53v.) disegnata da Opicino la superficie terrestre è personificata da un monaco (la costa maghrebina del nord Africa) e da una donna nuda (l’Europa che calza degli stivali di cuoio in corrispondenza del sud Italia e della Dalmazia). La donna porta nel ventre insanguinato il feto di una piccola Europa in procinto di nascere dal taglio dell’utero materno. A nord-ovest la superficie marina è rappresentata da un animale che aggredisce la donna a fauci aperte, dalle quali sporgono le gambe di un personaggio che la bestia non ha ancora ingoiato del tutto. A Oriens l’Adriatico assume la forma di un braccio che risale verso la laguna veneta, terminando con un pugno che vìola Europa nelle sue parti intime. Qui, per la prima volta, l’Italia è rappresentata da uno stivale di cuoio. È un’immagine sconcertante che forse ci racconta anche delle paure che attanagliano lo Stivale, così come l’Europa di oggi nata da un parto altrettanto difficile.

 

Opicino de Canistris, carta Vaticanus latinus (6435,f.53v.), particolare di Europa in procinto di nascere per parto cesareo. Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano.


I diagrammi di Opicino ci sorprendono per il dramma psichico rappresentato attraverso un incredibile intreccio di scrittura autobiografica e disegno, che alcuni studiosi di orientamento warburghiano hanno interpretato come sintomo dei mutamenti spirituali del quattordicesimo secolo (pp. 34-52). Opicino aderisce alla sua epoca adottando una delle innovazioni visive del primo Trecento: l’attribuzione di fisionomie individuali a figure con valore simbolico. Vi aderisce con una phantasia obliqua

Nel dialogo Disputatio clerici et Raymundi phantastici, scritto nel 1311 da Ramon Llull (Raimondo Lullo), un chierico e un laico discutono sui grandi temi della cultura del medioevo europeo e sul ruolo svolto dalla phantasia, che l’autore distingue in naturale e morale. Quella morale a sua volta si suddivide in “retta ed assennata (discreta)” e “deviante (obliqua) e dissennata (indiscreta)” (Phantasticus. Disputa del chierico Pietro con l’insensato Raimondo, Il Cerchio, Rimini 1997, p. 33). C’è da chiedersi se la phantasia obliqua e indiscreta “per la quale l’intelletto condiziona il suo intendimento attraverso disposizioni manchevoli” non abbia un rapporto con quella che tormenta chierici e monaci negli stessi anni in cui Lullo scrive il suo dialogo. Mentre per Elio Aristide e Quintiliano la stanza era il luogo dove ritirarsi per non lasciarsi distrarre dalla phantasia, per il monaco la cella sarà il luogo dove intrattenersi con le insidiose fantasie che lo distraggono e che dovrà respingere (Maria Tasinato, Tempo svagato. Marco Aurelio: il savio, il distratto, il solitario, Mimesis, Milano 1990, pp. 73-74). Nel suo saggio, Tasinato sviluppa una sottile analisi delle trasformazioni che il pneuma psichico o psykhḗ subisce nel corso del medio stoicismo, accennando alle conseguenze che questa trasformazione avrà nella concezione tardo antica e medievale della phantasia tentatrice e diabolica, che strattona e distrae il monaco. Le carte di Opicino sembrano tradire la tensione fra la sua coscienza sottoposta a esame e l’insorgere di fantasie oblique da respingere perché scandalose se non blasfeme. 

 

Opicino de Canistris, carta Vaticanus latinus (6435,f.61r.), Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano. 

 

Su queste carte il pensiero si muove anche per associazioni fonetiche. Per esempio l’identificazione di Venezia con la castrazione dei genitali deriva dal gioco di parole sull’espressione castra Venetorum (p. 150) usata per indicare la città lagunare. Quello di Opicino è decisamente un pensiero di tipo associativo che utilizza tutti i dispositivi visivi e linguistici atti per raggiungere una profondità, che alcuni hanno interpretato in chiave psichiatrica o psicanalitica, altri in chiave culturale. Lo scopo di Sylvain Piron è infatti “comprendere Opicino come sintomo di una situazione storica particolare” (p. 47). Riferendosi alla “psicologia storica dell’espressione”, alla quale Aby Warburg dedicò i suoi studi, l’autore sostiene che il dramma psichico di Opicino è quello che lo storico dell’arte designava come “dialettica del mostro”: il dramma di una cultura tormentata da antinomie, che trovano nelle carte dello scriba alla corte pontificia di Avignone una sua coerente espressione. Sono le stesse antinomie, la stesse contraddizioni che emergono dalla disputa tra il chierico e il laico Lullo.

Se certe espressioni figurative, che Warburg chiama Pathosformeln formule di pathos, (Dürer e l’antichità italiana in La rinascita del paganesimo antico, La Nuova Italia, Firenze 1980), mantengono la loro forza patetica e la trasmettono di epoca in epoca, l’immagine di Europa minacciata da un diabolico mare Mediterraneo nelle carte Vaticanus latinus (6435,f.53v. e 6435,f.61r.) diventa anche nostra mutando di significato: non esprime più la contraddizione fra due opposte concezioni della vita cristiana al tempo della cattività avignonese, ma la crisi dell’identità europea nel contesto delle mutazioni geopolitiche in atto. Il gesto del pugno che vìola Europa risalendo dai mari, che ritroviamo in alcune metafore dell’immigrazione clandestina, non è patetico tanto quanto altri gesti studiati da Warburg? Non è altrettanto carico di energia nervosa? 

 

Aby Warburg, Mnemosyne, Tavola 39. Espressione emblematica delle formule di pathos è il motivo della ninfa, della figura femminile in movimento, nella quale la componente psicologica prevale su quella formale, caratterizzando il conflitto spirituale del Rinascimento, alla ricerca di un equilibrio tra carica orgiastica antica e fede cristiana.

 

Aula scolastica nel palazzo Archinto in Milano. La fotografia del 1908 dimostra che l’uso di accostare su pannelli riproduzioni di opere d’arte appartenenti ad epoche diverse era in uso nella didattica dell’arte. Warburg lo adotta per mettere a punto il suo metodo storico-artistico. Mnemosyne, l’atlante figurativo composto da una serie di tavole che Warburg presenta per la prima volta alla Biblioteca Hertziana di Roma il 19 gennaio 1929, nasce da una pratica in uso nella didattica dell’arte che consente allo studioso di “vedere” il rapporto anacronistico dell’opera d’arte visiva con la storia. Warburg lo “vede” non solo attraverso l’utilizzo della fotografia e delle tecniche del collage e del montaggio cinematografico, come sostenuto da alcuni studiosi.


Mi vien da pensare che la carica patetica, energetica e nervosa delle Pathosformeln si sia innestata nell'attività spasmodica della psiche stimolata dalle distrazioni che caratterizzano la vita metropolitana descritta da Georg Simmel e da Walter Benjamin, nell’“inquietudine insanabile della vita mentale” che caratterizza l’età moderna, di cui scrive anche Roberto Calasso in La Folie Baudelaire (Adelphi, Milano 2008), in una sensibilità che si fa strada nel moderno attraverso le forme espressive  che hanno favorito lo sviluppo di un’attenzione involontaria e irriflessiva. Come osserva Barbara Grespi in Cinema e montaggio (Carocci, Roma 2010), la scossa psico-fisiologica prodotta dalle immagini nel montaggio delle attrazioni concepito da Ejzenštejn, sulla base della definizione dell’emozione come movimento (sulla scia di Diderot), e dell’idea del movimento come riflesso nervoso, secondo le tesi di Alexander Lurija, è provocata da tecniche di attrazione che stimolano una risposta nervosa, spastica e irriflessiva. Irriflessive sono anche le risposte alle attuali mutazioni geopolitiche rappresentate come un’aggressione al continente europeo, nei disegni di Opicino raffigurato da una donna che subisce violenza. Le Pathosformeln nascono come tentativo da parte dell’uomo antico di giustificare e controllare eventi incomprensibili che suscitano timori irrazionali ma che, innestandosi nell’“inquietudine insanabile della vita mentale”, forse perdono il controllo delle paure che tramandano da un’epoca all’altra scatenando analoghe reazioni nervose. Queste immagini ci tirano per i nervi come i fili strattonano la marionetta interpretata da Ninetto Davoli nel film Che cosa sono le nuvole? diretto da Pier Paolo Pasolini. “Cancella la phantasia. Arresta quell’agitazione da marionetta (neyrospastía)” ordina Marco Aurelio a se stesso (Pensieri, VII, 29). 

 

Neyrospastía.

La nostra cultura ha subito un crollo nervoso come quello dal quale Warburg, ai tempi del suo ricovero nella clinica di Kreuzlingen, dichiarava di non essersi “più ripreso” (da un frammento autobiografico del 22 novembre 1922. Ludwig Binswanger, Aby Warburg, La guarigione infinita. Storia clinica di Aby Warburg, Neri Pozza, Vicenza 2005, p. 159)? Una lettura neurospastica delle sconcertanti carte disegnate e scritte da Opicino, aiutata dagli studi di Simmel e Benjamin, potrebbe arricchire l’interpretazione warburghiana adottata da Piron nel suo saggio? Innestandosi nell’“inquietudine insanabile della vita mentale”, le immagini che trasmettono emozioni e fobie, migrando da un’epoca all’altra, potrebbero aver perso il controllo sulla loro carica nervosa scatenando una neyrospastía?

La radice spáō contenuta nel termine neyrospastía indica che questo tirare è anche un aspirare, una funzione del pneuma psichico o psykhḗ: il soffio che proviene dal di dentro, inteso dagli stoici come anima umana che respira, sente, pensa, articola il linguaggio, si muove, presiede alla riproduzione e immagina. Il medio stoicismo sottrasse al pneuma psichico alcune funzioni introducendo un dualismo fra la sua parte superiore e quella inferiore (Tasinato, pp. 44-45). Da quest’ultima porzione inferiore dell’anima, degradata dal medio stoicismo, sorgono le deprecabili phantasíai alle quali Marco Aurelio oppone un’anacoresi interiore, le stesse che distraggono il monaco nella sua cella e tormentano la coscienza di Opicino alla corte pontificia di Avignone. Sono phantasíai cattive, oblique e diaboliche che Lullo separa da quelle buone, rette e ispirate. Le phantasíai distraggono, ma non necessariamente in modo obliquo e colpevole, come nella carta Vaticanus latinus (6435,f.61v.), dove l’inversione figura/sfondo si combina alla legge (gestaltica) della curva buona o del destino comune per dar luogo a una formidabile quanto sconcertante composizione. 

 

Opicino de Canistris, carta Vaticanus latinus (6435,f.61v.). Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano. La particolarità di questa immagine è la sua complessità, ottenuta combinando sapientemente l’inversione figura/sfondo alla cosiddetta legge gestaltica della curva buona o del destino comune.


Vengo distratto dal contrasto cromatico delle due coperte sul letto, ancora disfatto, sovrapposte l’una all’altra. L’immagine mi strattona, mi dis-trae immettendo nel pensiero in svolgimento qualcosa di vivo, che prima gli mancava e ora lo completa: qualcosa che lo anima e lo mette in moto portandolo al centro della questione che qui è stata posta. Ciò che dà respiro al pensiero è una linea che, combinandosi al meccanismo percettivo proprio di un’altra legge gestaltica (quella della eguaglianza), mi spinge da una parte e poi dall’altra come nei disegni di Opicino, ma senza obliquità. Il pensiero ha bisogno di essere animato, ha bisogno di essere sorretto da un’attività pneumatica ma, come suggerisce Lullo nel suo dialogo, è necessario distinguere fra la phantasia “retta ed assennata (discreta)” che ispira la ragione e quella “deviante (obliqua)” che ha trascinato Opicino in un delirio grafico e testuale, in una neyrospastía che forse è anche la nostra. 

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