Sentimenti negativi / Invidia
Mercoledì 18 ottobre alle ore 18 al Circolo dei Lettori di Torino, Nicole Janigro parlerà dell'invidia.
Qui una breve antologia con alcuni dei testi che verranno presentati durante l'incontro.
«In questo caso ci troviamo di fronte a un sistema fantastico evidente: si tratta della sottile questione sempre aperta se la leggendaria figura di Giuda sia stata o no dannata. In sé la leggenda di Giuda è un motivo tipico, quello cioè del perfido tradimento nei riguardi dell’eroe. Si pensi a Sigfrido e a Hagen, a Balder e a Loki. Sigfrido e Balder sono assassinati da un perfido traditore proveniente dalle file dei loro compagni più vicini... Questo mito è commovente e tragico per il fatto che il nobile eroe non cade in combattimento leale, ma a seguito di tradimento. Al tempo stesso si tratta di un evento che ricorre più volte nella storia, per esempio Cesare e Bruto. Il mito di un atto siffatto è antichissimo, ma è sempre materia di rifacimenti. Ciò è espressione del fatto che l’invidia toglie il sonno agli uomini. Questa regola può essere applicata alla tradizione mitica in generale: non sono i racconti di avvenimenti trascorsi ordinari a perpetuarsi, ma unicamente quelli che traducono idee umane universali e in perenne e continuo rinnovamento. Così ad esempio la vita e le gesta degli eroi di una data civiltà e dei fondatori di religioni sono le più pure condensazioni di motivi tipici del mito, dietro i quali si eclissa la figura individuale».
C.G. Jung, Le due forme del pensare
«Così l’І Ching dice di sé stesso: “Io contengo un cibo (spirituale).” Dato che il possesso di una cosa grande è sempre causa d’invidia, il coro degli invidiosi fa parte dell’immagine del grande possesso. Gli invidiosi vogliono portarglielo via, cioè rapire о danneggiare il suo significato. Ma la loro ostilità è vana; egli è sicuro della sua ricchezza di significato, cioè delle sue prestazioni positive che nessuno può togliergli.»
C.G. Jung, Prefazione a I Ching
«La maggioranza delle culture ha qualche usanza legata al malocchio, collegato tradizionalmente a uno sguardo malvagio, motivato dall’invidia, capace di avvelenare, maledire o portare sventura. In molti paesi arabi, per tradizione, non è bene fare un complimento esplicito a un bambino, lodando per esempio la sua bellezza e il suo talento: e se questo succede bisogna affrettarsi a dire Masha’ Allah − “è il volere di Dio” – per proteggere il bambino dalla sfortuna che porta lo ayn al-hasūd. Nell’India settentrionale, gli autisti di camion appiccicano ai loro paraurti adesivi colorati con lo slogan buri nazar wale tera muh kala (ti possa diventare nera la faccia, creatura dall’occhio cattivo) a mo’ di scaramanzia. In Scozia, si crede che il Droch Shùil faccia seccare il latte alle donne e alle vacche. L’invidia è temuta non solo perché dà origine a quel desiderio avido di rubare l’oggetto tanto ammirato – i begli occhi, il gregge in salute, la splendida casa – ma perché è distruttiva. Quando l’invidioso non può avere un certo oggetto tutto per sé, non vuole che ce l’abbia nessun altro».
T. W. Smith, Atlante delle emozioni, 2017.
«Uno dei fattori per lo scatenarsi dell’invidia è l’impotenza, sia come impotenza di fatto che come sentimento d’impotenza. L’impotenza rende impossibile o comunque difficile il giusto rapporto tra bisogno d’espansione e insofferenza del limite. La forza non è soltanto conatus existendi, non è solo potenza d’esistere, ma è istanza di crescita e come tale è sforzo per oltrepassare ogni limite predeterminato. (…)
Se la meta è troppo alta per la propria forza vale la pena rinunciarci e la rinuncia non è sconfitta, bensì misura, atto di ragione. Ma l’equilibrio razionale che proporziona il bisogno di sviluppo al limite non è facile da attingere (…).
E ciò avviene perché gli uomini sono per lo più valutati per le mete che essi raggiungono e poco considerati per quello che in se stessi sono. A questo punto l’impotenza di fatto si tramuta in sentimento d’impotenza e di invidia dell’altro. L’invidia è quel sentimento che non sopporta il proprio limite naturale in forza di una ragione sociale, poiché è la società che decide del valore degli individui e assume come termine di valore proprio quegli individui che hanno successo. Questo accade prevalentemente nelle società contemporanee».
Salvatore Natoli, Dizionario dei vizi e delle virtù, Feltrinelli, Milano 1996.
«Che cos’è l’invidia? È dire: quello che hai tu è mio, è mio, è mio? Non proprio. È dire: ti odio perché tu hai ciò che io non ho e che desidero. Io voglio essere io, sì, ma nella tua posizione, con le tue opportunità, con il tuo fascino, la tua bellezza, le tue capacità e la tua ricchezza spirituale (p. 50)
Nina si rese conto che l’invida di Rowland era diventata ossessiva. Credeva fermamente che il marito avrebbe potuto scrivere un bel libro, se solo si fosse liberato di quella gelosia, invidia o rivalità che gli era entrata nel cervello al primo incontro col giovane Chris. Era una vera e propria malattia, e Rowland ne sarebbe rimasto paralizzato come scrittore e anche come insegnante, a meno che non l’avesse superata. (p. 57). La gelosia sessuale nei confronti di un uomo o di una donna le era perfettamente comprensibile, ma essere gelosi di un libro, di un’opera d’arte, di una pagina scritta… (p. 60). Si chiedeva spesso come sarebbe stato se Chris fosse morto. Non sarebbe servito. Nessuno avrebbe potuto cancellare il fatto che aveva vissuto, scritto un libro quando andava a scuola, e impedito a lui di scrivere il suo. (p. 69)».
Muriel Spark, Invidia, 2004.