Biografie / Tutte le vite di Spinoza

28 Agosto 2020

Un’attrazione irresistibile sembra esercitare su molti, esperti e no, la figura del filosofo Bento (Baruch, Benedetto) Spinoza, 1632-1667, che ha ispirato romanzi, opere teatrali e figurative, poemi e persino gruppi rock e siti internet. Probabilmente perché fu ed è visto come una specie di Robin Hood della filosofia, ribelle e radicale e insieme mite e equo, ingiustamente perseguitato dagli uomini di potere. 

 

La ricerca della felicità

Spinoza visse in un’epoca di grande fermento intellettuale, in un contesto che permise a «un giovane e intellettualmente vivace mercante ebreo-olandese, intorno alla metà del secolo XVII, di rompere in modo radicale con il proprio passato e di fare della filosofia la propria vocazione». Così presenta Spinoza l’inappuntabile studioso Steven Nadler in un volume del 2006 dall’asciutto titolo di Spinoza’s Ethics. An Introduction, offerto al pubblico italiano quale La via alla felicità (sottotitolo L’Etica di Spinoza nella cultura del Seicento, Hoepli 2018, trad. di Emilia Andri), per strizzare l’occhio al lettore con quella paroletta magica, felicità, che invita all’acquisto e alla lettura. In effetti Spinoza vi è proposto come il pensatore che va in cerca non soltanto delle verità scientifiche sulla natura ma anche e soprattutto della comprensione dei mezzi per raggiungere la vera felicità grazie allo svelare la natura del mondo e la natura degli esseri umani e la loro posizione nel mondo. È soprattutto nell’Etica, con la sua struttura euclidea «geometricamente dimostrata», che viene elaborata l’idea che la felicità umana risieda in una vita ispirata alla ragione ma anche alle passioni purché moderate e addomesticate. Spinoza stesso sembrerà adeguarsi a tali principi vivendo in maniera morigerata e frugale.

 

L’eretico e il cortigiano

A differenza del suo contemporaneo Leibniz, anch’egli stella di prima grandezza nel firmamento della filosofia, sempre alla ricerca di una corte principesca che lo mantenesse contentendogli uno stile di vita raffinato come la parrucca a boccoli che lo caratterizza nei ritratti. È stato un altro studioso statunitense, Matthew Stewart, a tracciare tramite un gioco di continui rimandi i profili dei due filosofi in un volume dello stesso anno del precedente, il 2006 (Il cortigiano e l'eretico. Leibniz, Spinoza e il destino di Dio nel mondo moderno, tradotto nel 2007 per Feltrinelli, da Francesco e Marta C. Sircana, con un titolo che corrisponde per una volta a quello originale). 

Il cortigiano e l'eretico è un libro che parla di Leibniz e Spinoza mettendo di fronte due persone, prima che due filosofi, con i loro problemi, e spiegando come cercano di risolverli. Anzi con il loro problema che è ancora il nostro, ovvero quello del destino di Dio nel mondo, Leibniz e Spinoza nel loro e noi nel nostro. Entrambi i filosofi vissero nel momento di passaggio dall'ordine teocratico dell'età medievale all'ordine laico della modernità, agli inizi di quella fase che possiamo chiamare la secolarizzazione. Non inventarono tale mondo ma se lo trovarono davanti e lo osservarono bene.

L'eretico, Spinoza, propose una concezione di Dio adatta all'universo della scienza moderna regolato da leggi naturali senza finalità né progetto e per questo fu considerato eretico e pure scomunicato, tanto più che sosteneva un progetto di governo laico, liberale e democratico. Il cortigiano, Leibniz, presentò invece una risposta conservatrice alla modernità, che osserviamo ancora nel mondo contemporaneo allorché vediamo l'uomo il quale, incapace di accettare la perdita della propria centralità nell'universo, va in cerca di significati nascosti dell'esistenza, immagina misteri trascendentali, disegni intelligenti e principi antropici, che è quel che faceva Leibniz. Questo spiega con eleganza e perspicacia Matthew Stewart.

 

 

Goethe, Rosenberg e il «problema Spinoza»

Un’occasione per ripercorrere la figura e l’opera di Spinoza la crea, nel 2012, Irvin D. Yalom con il suo Il problema Spinoza, (tr. di Serena Prina, Neri Pozza 2012). Yalom immagina che nella Germania prenazista ma già fortemente antisemita dei primi anni del Novecento un liceale tedesco, Alfred Rosenberg scopra che il suo idolo, Goethe, il quale rappresentava per l'adolescente la quintessenza dell'anima del popolo tedesco e della nazione germanica, si dichiarasse fervente ammiratore di Baruch Spinoza, il grande filosofo ebreo del '600. Ecco il «problema Spinoza», che così recita: se gli ebrei sono degenerati e parassiti, e questo non per la loro religione bensì per il loro sangue (come sostenevano le aberranti tesi antisemite dell'epoca), com'è che i massimi geni di allora, di lingua e cultura tedesca, Sigmund Freud e Albert Einstein, erano di sangue giudaico? ma soprattutto, come poteva essere ebreo quello Spinoza del quale Goethe si portò in tasca per un anno intero, ritenendola un sedativo per le sue passioni, una copia dell'Etica, l'opera che gli aveva aperto una visione ampia e libera del mondo materiale e mortale? Come poteva il genio tedesco di Goethe essere stato ispirato da un membro della razza che Rosenberg considerava tanto inferiore alla propria, una razza che era determinato a sterminare? Yalom, psichiatra ebreo americano e autore di romanzi «filosofici» tra cui La cura Schopenhauer del 2005 e Le lacrime di Nietzsche del 2006, segue a capitoli alterni le storie, le esperienze e le riflessioni dei due protagonisti principali dell'opera: dello studioso ebreo mite, tollerante e votato alla causa della ragione e della verità, quello Spinoza che venne duramente punito dalla scomunica dalla comunità ebraica di Amsterdam a causa delle sue vedute religiose non ortodosse, e che visse con scarsi mezzi in grande isolamento, producendo tuttavia opere che cambiarono il corso della storia del pensiero e non solo di quello; e dell'ambiziosissimo «ariano» Rosenberg, giornalista, cofondatore del partito nazista di cui divenne importante ideologo, nonché stretto collaboratore di Hitler, le cui opere si persero invece nel dimenticatoio della storia.

 

 

Il clan Spinoza

Dopo l’analisi asciutta e rigorosa di Nader, la lettura elegante e competente di Stewart e l’affascinante narrazione di Yalom, l’ultimo arrivato di questa rassegna, il saggio di Maxime Rovère, dedicato soprattutto a ricostruire l’epoca tormentata di Spinoza in relazione alle posizioni degli intellettuali dominanti in quel tempo, teologi, filosofi e scienziati naturali, si presenta a chi legge arrruffato come una parrucca mal pettinata. Nelle pagine del volume si agitano infatti decine di personaggi simili agli esserini formicolanti che comparivano proprio in quegli anni davanti agli occhi dei primi microscopisti della storia. Il lavoro di Rovère, docente di filosofia alla Università Cattolica Pontificia di Rio de Janeiro, è di fatto se non di diritto, un romanzo d’epoca. Molte parti sono di pura fiction, per esempio i dialoghi, messi lì come a invitare qualche regista a trarne la sceneggiatura per un film. La più parte si basa sì su una seria ricerca storica che però non viene documentata né nelle note né nella bibliografia (entrambe inesistenti sulla carta; pare ve ne sia una versione in internet che però l’edizione italiana non dichiara). Anche la portata rivoluzionaria del pensiero teologico-politico-filosofico di Spinoza, con il rifiuto della trascendenza, l’identificazione di Dio con la natura, l’impossibilità dei miracoli, la negazione di libertà e virtù trasformate da facoltà libere a soddisfazione egoistica di interessi personali, si perde nel racconto romanzato delle miriadi di aneddoti dei molteplici personaggi. Sono rabbini, medici e avvocati, insegnanti di latino, politici e notai che circondano a guisa di cerchia più ampia la cerchia ristretta del vero e proprio clan Spinoza (titolo originale del libro, uscito nel 2017 in Francia da Flammarion, che ne rispecchia i contenuti molto meglio della bizzarra titolazione della casa editrice Feltrinelli, Tutte le vite di Spinoza; la quale casa editrice ha affidato la traduzione a persona che avrebbe fatto bene, oltre a conoscere meglio la lingua francese, a masticare un po’ di olandese e soprattutto di latino, per risparmiarsi errori indegni; come pure la casa editrice avrebbe potuto intervenire con un bell’editing e non l’ha fatto). Il clan, la cerchia ristretta, è formata dagli amici di lunga data del filosofo, liberi pensatori e radicali dissidenti dai nomi ostici e impronunciabili, che incoraggiano ed esortano l’amico filosofo colpito dall’herem, o esclusione dalla nazione di Israele. Questa venne emanata, a detta di Rovère, per motivi che hanno a che fare con le manovre legali messe in atto da Spinoza per liberarsi della pesante eredità dei debiti paterni e che avrebbero contrastato le regole della legge ebraica. C’è da chiedersi se il motivo della «scomunica» non siano state invece proprio quelle idee straordinarie, ritenute sinonimi di ateismo, irreligione, empietà, se non anche materialismo, che restano sommerse dal pettegolezzo, se pur politico-teologico.

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