Storia d'Italia attraverso i sentimenti (10) / La felicità è una piccola cosa
Estate del ’58. Luglio, forse agosto. Il giovane fotografo Carlo Bavagnoli lascia la redazione di “Epoca”, il settimanale per cui lavora. A passo veloce s’incammina in direzione di Trastevere, la Roma che più ama.
L’aria è densa nell’intrico di vicoli dietro Piazza Trilussa verso l’ampio slargo di Santa Maria, dove il quartiere, uscendo dalle sue strettoie, sembra prendere un po' di respiro. Hanno nomi stravaganti quei vicoli, una toponomastica che non porta il peso della memoria storica, e non ha intenti celebrativi. Una toponomastica dell’ordinario, senza pretese, piccole mitologie nate sulla strada: vicolo de’ Cinque, vicolo del Piede, vicolo del Cipresso, vicolo della Pelliccia.
Bavagnoli fiuta gli umori di quel mondo. Ci si immerge; li assapora. Aspetta che la vita gli si riveli. Quello che vede attraversando l’intreccio dei vicoli, è una realtà esuberante, mobile, in fermento. Non riesce a fissarla in un’immagine. Non riesce a prenderla. Ma non smette di guardare. Continua a inseguirne i minuti movimenti.
All’improvviso dal fondo del vicolo del Cipresso sbuca un ragazzo, dieci, dodici anni. Gli si fa incontro. Ben saldo sulle gambe, spavaldamente si mette nel fuoco dell’obbiettivo. Sembra quasi che Bavagnoli sia lì solo per lui. Il ragazzo prende la scena con un’irruenza prepotente, scoppiando in una risata fragorosa, una scossa d’allegria. Che cosa provoca quell’allegria? Nulla di preciso. È un’allegria senza nome, è pura presenza. “Sono qui”, sembra dire il ragazzo. “Sono vivo”. E questo gli basta: sentirsi vivi nell’aria densa di un qualsiasi giorno d’estate.
Sei anni dopo, nel 1964, la foto di vicolo del Cipresso verrà pubblicata sulla rivista “Life”, tempio del fotogiornalismo internazionale. È parte di un servizio di sedici pagine, dove Bavagnoli mostra la sua “Gente di Trastevere”. “Pure Joy”, dice la didascalia a fondo pagina. Così quella “pura gioia” si trova a fare il giro del mondo, diventando il segno vistoso della vitalità che comincia ad attraversare le strade dell’Italia, il simbolo della sua ripresa. Tutto il desiderio di vita di un’intera nazione, fino a quel momento compresso, schiacciato, si libera nella “pura gioia” di un ragazzo. In un giorno d’estate del 1958. In un angolo di Roma.
Anche Carlo Bavagnoli farà il giro del mondo. Assunto a “Life” (solo reporter non americano), da Roma si sposterà a New York, poi a Parigi. Il programma indicato dal fondatore della rivista, Henry R. Luce, sarà l’etica e l’estetica del suo fotografare: “Vedere la vita, vedere il mondo, scrutare i visi dei poveri, le attitudini dei pretenziosi…vedere, godere di vedere, sbalordirsi di vedere”.
Bavagnoli sarà un cacciatore di mondo. Avido di vita, non si stancherà di guardarne le espressioni, mettendole sotto il fuoco del suo obbiettivo per salvarle dalla fugacità che le consuma. La vita mentre accade.
Questa avventura dello sguardo comincia a Milano, all’apertura degli anni cinquanta. Il tempo rovinoso della prima metà dei quaranta è ormai dietro le spalle. È un giro di boa. Tutto accelera. L’Italia sta cambiando volto. È un corpo in tensione. Sgombrate le macerie, si comincia a costruire, anche se la vita di tutti i giorni è ancora scandita dalla miseria. La si vede dappertutto. Come una muffa invadente prende d’assedio le città che la vorrebbero ignorare.
“Milano per noi era la luna”, ha ricordato Carlo Cassola. Ma, per il momento, sulla luna ci si ciba di chimere, e dunque si saltano i pasti, e ci si rifugia in misere pensioncine (un letto e un tavolo, e il bagno in corridoio, per due lire). Bavagnoli, ventenne, vive così, cominciando a lavorare per le agenzie che forniscono il materiale fotografico ai quotidiani e ai settimanali. Poca roba. Si arrangia. Ma non smette di tenere l’occhio sulla città.
In una misera pensioncina di via Solferino, a quattro passi dalla prestigiosa sede del “Corriere della Sera”, cantore dell’operosa borghesia urbana, Bavagnoli incontra due giovani che segneranno la storia della fotografia italiana: Mario Dondero e Ugo Mulas. Negli anni milanesi, saranno inseparabili. Avrebbero voluto condividere la stessa stanza, a tre letti. L’arcigna proprietaria, che governa il mondo della pensione con mano ferma, proibendo quasi tutto, non lo ha consentito. Nulla da fare. E non serve insistere: Bavagnoli dovrà traslocare nella stanza accanto. Vicino di letto l’“anarchico” Luciano Bianciardi, che va rimuginando la sua “vita agra”. Il romanzo uscirà nel 1962 con grande successo, ma non basterà a placare l’“uomo in rivolta” che in lui si agita. Dopo aver bruciato tutti i suoi sogni, Bianciardi morirà, abbandonato a se stesso, in una corsia dell’ospedale san Carlo. Di cirrosi epatica, non ancora cinquantenne.
Nel vortice d’esistenze di La vita agra c’è anche Carlo Bavagnoli (“Carlone”, che ossessivamente ripete: “Bisogna andare in America”), c’è la stagione dell’“Olimpo giamaicano”, il Bar Giamaica (“bar Antille” nel romanzo) a Brera, tavolini e sedie metallici, piastrelle bianche alle pareti, centro della vita artistica milanese, officina di nuovi pensieri. C’è l’“allegra brigata” delle anime in esilio, e Bianciardi ne è il rappresentante più autentico, mentre Milano entra, o affonda, nella spirale del “boom”. E ci sono le scorribande alcooliche, a colpi di “grappa gialla”, per smussare le punte dei tormenti più acuti, e forse anche per distrarsi dalla fame.
Poi Roma, l’incontro con la risata del ragazzo di vicolo del Cipresso. L’anno dopo, 1959, la Sardegna delle Baronie fotografata per “L’Espresso” (ne ho parlato in Sud Italia), l’“Africa in casa” dove nessuno ride.
Torniamo a quel ragazzo e alla sua impetuosa carica d’allegria. Ha un nome: Angelo Romani, e vive ancora al vicolo del Cipresso. Su un muro della sua casa, da oltre sessant’anni, è appesa la fotografia di Carlo Bavagnoli, che, per qualche anno, gli ha dato la celebrità, almeno nel quartiere. Ma sotto non c’è la didascalia di “Life”, “Pura gioia”. C’è una frase di Trilussa: “La felicità è una piccola cosa”.
Fonti:
Carlo Bavagnoli, “Gente di Trastevere”, 1963.
Ennery Taramelli, “Viaggio nell’Italia del neorealismo. La fotografia fra letteratura e cinema”, 1995.
Luciano Bianciardi, “La vita agra”, 2013.
Pino Corrias, “Vita agra di un anarchico”, 2011.
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