Dove sta la forza di Grillo
La vecchia foto di Giuseppe Grillo, in arte Beppe, che emerge dagli Archivi Farabola, ci mostra il comico in abito di scena, tra Superman e il Mago Zurlì, l’extraterrestre e il pupazzo infantile. Un’immagine di altri tempi, che ci rivela qualcosa di importante circa il carattere profondo di questo attore, nato a Savignone in provincia di Genova nel 1948. La sua è una lunga carriera che parte da un teatro-cabaret del capoluogo ligure, L’Instabile, per arrivare al Movimento Cinque Stelle, passando per una serie quasi interminabile di trasmissioni televisive, spettacoli teatrali, film.
Tuttavia in Grillo sembra agire qualcosa che va al di là della figura del semplice attore, così da collocarlo nell’universo dei trickster, figura che gli antropologi e i mitologi chiamano il “briccone divino”: personaggio mitologico appartenente a un tempo al regno animale e a quello umano, al novero degli déi e a quello degli uomini. Dio del passaggio tra l’alto e il basso, il dentro e il fuori, il sublime e l’abietto, tra la follia e la ragione, il trickster prende le forme dell’idiota creativo, del saggio buffone, del bambino dai capelli grigi; è il continuo dissacratore.
Un critico teatrale, Oliviero Ponte di Pino, ha scritto che solo un osservatore distratto potrebbe scambiare Grillo per un comico, mentre si tratta di un “realista”, poiché si limita a raccontare quello che sta sotto gli occhi di tutti, dato che la nostra realtà italiana è assolutamente esilarante. Vero. Ma il realismo di cui è portatore Grillo possiede un tratto magico e inafferrabile, che mobilita forze non facilmente comprensibili, le quali traggono la loro origine da elementi reconditi posti al di fuori del campo razionale, per cui la realtà stessa, quella che il comico-trickster agisce nella scena mediatica, è al di là, o forse al di qua, degli schemi tradizionali della politica.
Per questa ragione la sua comparsa nel teatro della politica italiana ha spinto molti ad accostarlo a Silvio Berlusconi, a Sua Emittenza, al Cavaliere, al Primo Ministro dei Bunga Bunga. Entrambi ci fanno balenare una visione del reale che non si può facilmente imbrigliare dentro le categorie consuete, e che ha nel corpo il suo riferimento più evidente. Entrambi possiedono quello che si può definire “lo spirito animale”: un ampio spazio d’irrazionalità che attinge alle zone profonde dell’inconscio collettivo e le mobilita sulla scena pubblica. Ma mentre nell’ex presidente del Consiglio l’aspetto oscuro, se non proprio nero, era ben evidente, nonostante i tentativi di farlo scomparire dietro al luccichio del denaro e del sesso facile, in Grillo la natura animale della sua forza si mostra immediatamente ed è tutt’uno con la sua identità di “briccone divino”. Nel folclore il trickster appare un personaggio ambiguo, scaltro mentitore, che riesce sempre a farla franca, a uscire sano e salvo dai garbugli più intricati senza subire alcun danno.
Grillo, del resto, possiede anche l’aspetto fisico del trickster: corpo corto e tozzo, testa riccioluta, sguardo provocatore, occhi roteanti e fulminanti, tendenza al mascherone. Sul palco nei comizi - come in precedenza in televisione e a teatro - egli distorce i lineamenti nella tensione del grido; con le mani compie gesti convulsi, caricando il corpo di un’energia che lo obbliga a piegarsi, a incurvarsi in avanti. Le mani sono infatti l’elemento centrale della sua gestualità carnevalesca, da Arlecchino, senza tuttavia possederne la leggerezza. Ricorda lo Zanni della antica commedia - fool e clown -, ma anche Pulcinella: la comicità come derisione, abbassamento dell’avversario, è la sua arma migliore che suscita l’immediata simpatia e il riso nel pubblico degli spettatori. In Grillo la Commedia dell’arte, archetipo insuperabile del nostro carattere nazionale, celebra il suo immancabile ritorno.
Il trickster raccontato dai miti è abile, vorace, eccessivo, imprevedibile; mette in moto cambiamenti inattesi: ingarbuglia le cose, le complica, poi le scioglie in un attimo, con un gesto, aiutato dalla sua natura animale. La cosa più interessante di questa figura mitologica, presente nei miti dei Pueblo come nella nostra letteratura (Pinocchio è senza dubbio un trickster), è quella di distruggere l’ordine precedente e di crearne uno nuovo e inatteso. Sul palco Beppe Grillo urla, strepita, minaccia; i suoi comizi - monologhi assoluti - hanno il ritmo di un rito ossessivo che, mentre spaventa una parte dell’uditorio, contemporaneamente provoca grandi entusiasmi e fa vibrare la corda isterica delle folle.
In Sicilia, dopo l’attraversata a nuoto dello Stretto, performance personale fondata sul corpo, là dove nelle esibizioni sul palco emergono soprattutto la voce e il gesto, si sono aggregate di città in città folle sempre più numerose, segno di una frenesia popolare che nessun politico riesce oggi a suscitare, fenomeno d’eccitazione collettiva degno delle feste religiose. E i dati delle elezioni nell’Isola di ieri confermano che l’ex attore comico ha intercettato gli spiriti animali; per quanto la lettura del voto possa apparire complessa, la vittoria del Movimento Cinque Stelle è inoppugnabile.
Per trovare degli antecedenti al forma-Grillo bisogna rifarsi alle maschere del teatro romano, ai mascheroni che appaiono sulla scena della Roma antica, ma anche al Miles gloriosus di Plauto o alle Atellane, da cui derivano le maschere del nostro teatro. Per capire l’identità italiana, in cui Beppe Grillo s’inserisce con la sua isteria compulsiva, bisogna perciò ricorrere all’antico repertorio delle maschere: Arlecchino, Pulcinella, Dottor Balanzone, Stenterello, Brighella, Gianduia, Colombina, Meo Patacca, Rugantino, Sandrone, Tartaglia, ecc., che identificano le peculiarità dei caratteri locali, i luoghi comuni propri di ogni paese o città. Si tratta di antichi stereotipi, ma anche di archetipi su cui si modella la nostra comprensione delle diverse identità locali: i napoletani, i veneziani, i liguri, i torinesi, i bergamaschi, ecc.
Beppe Grillo è, dunque, al di là del suo possibile esito politico, prima di tutto una maschera. Nel nuovo politeismo contemporaneo che ha preso il posto del cristianesimo tradizionale, la figura del “briccone divino” appare portatrice di una evidente amoralità (non immorale, bensì priva di una precisa moralità); secondo gli antropologi il trickster contemporaneo “incarna e rappresenta quell’ampia porzione della nostra esperienza in cui bene e male si intrecciano irrimediabilmente”.
Beppe Grillo non è più solo, come ha detto una volta Aldo Grasso, il “monello della televisione generalista”; oramai è la reincarnazione di Pinocchio nella sua versione di psicopompo e sciamano. Come il burattino, che vuole trasformarsi in bambino, anche il Grillo-tickster possiede una natura dissociata: vuole essere un capopopolo, ma al tempo stesso nega questa sua nuova identità politica. Non vuole perdere le sue prerogative di “briccone divino”, la forza magica che risiede in lui e che si comunica attraverso il monologo del fool.
Un Beppe Grillo deputato è un paradosso, come un Beppe Grillo Presidente del Consiglio, o della Repubblica, è una totale contraddizione. Il trickster può solo disordinare il mondo, non cambiarlo razionalmente. La forza che lo alimenta e lo spinge è anche il suo limite intrinseco.
Versione aggiornata dell’articolo apparso su L’Espresso.