Speciale

Vorrei essere FICO / Fabbrica italiana contadina

9 Gennaio 2018

 

Che cosa è FICO?

È il parco agroalimentare più grande del mondo secondo la definizione prospettata dalla “madre” Eataly o una sorta di Disneyland dell’alimentazione per consumatori gastro-orientati? Oppure è un’occasione imperdibile per vedere il meglio della “cultura viva” che il cibo italiano rappresenta? O ancora è un’Expo 2015 in sedicesimi e in formato permanente?

 

 

Secondo il medico Ludovico Bertaldi, nel Seicento erano chiamati in Liguria e Provenza figoni coloro “...che parte dell’anno vivono di fichi secchi ...e tanto può la consuetudine che sono gagliardi e forti come fossero nutriti di esquisite vivande...

In un antico commentario di agronomia e cose naturali, si trova l’origine di una parola che ancora oggi ha il significato di bello, attraente all’ennesima potenza.

Probabilmente chi ha scelto FICO come nome per la Fabbrica Italiana Contadina ignorava la citazione ma non la volontà di associare il significato gergale al nome da dare al parco agroalimentare. Fico come figo dunque, già... 

 

 

FICO attualmente è un po’ tutte le cose sopra riportate, almeno ad una prima visita, avvenuta in un giorno feriale alla metà del dicembre scorso, e quindi poco tempo dopo la sua inaugurazione...

La fabbrica italiana contadina, l’enorme area espositiva sul cibo e dintorni sorta nell’immediata periferia di Bologna, andrà rivista tra qualche mese, quando le nebbie invernali si saranno diradate insieme a qualche elemento di incertezza progettuale e comunicativa che mi è parso di intravedere, 

Quarantamila metri quadri per l’area didattica e dimostrativa delle produzioni agroalimentari e novemila metri quadri coperti di area espositiva commerciale sono grandi numeri in assoluto e anche numeri da grande “affare” quale deve essere stato (anche) concepito. Il fenomeno Eataly del resto sta lì a dimostrare la lungimiranza imprenditoriale di Oscar Farinetti così come l’elevato “appeal” che l’enogastronomia e la cultura alimentare generale e quella italiana in particolare rappresentano.

 

 

Qualche dubbio tuttavia questa prima visita sembra averlo generato.

Dove è per esempio la corrispondenza simbolica tra il mondo rurale più autentico delle tradizioni italiane – cui FICO sembra ispirarsi – e l’enorme trattore New Holland che campeggia in bella vista vicino alle vetrate del centro congressi? Un trattore adatto alle enormi farm degli Usa – letteralmente grande come una casa – e inimmaginabile anche nella nostra Pianura Padana.

E dove è la coerenza con la cultura alimentare più rappresentativa del nostro paese davanti al grande stand relativo a “Il pollo” – sì, proprio così – che termina con una statua in legno dedicata all’animale, sinceramente imbarazzante? E lo stand – con prospiciente ristorante – dedicato alle carni, denominato “Teatro delle carni”, può incontrare la sensibilità attuale una materia di consumi? 

Prodotti di grande qualità – e le relative numerose aziende – si succedono lungo i viali coperti della galleria commerciale, attraversati da una pista ciclabile; qua e là la presenza di alcuni soggetti istituzionali. E ancora sono molti i ristoranti e gli spazi ristoro e poi alcune piazze – sì, piazze – come spazi scenografici dall’impronta architettonica moderna, più simili tuttavia a una rotatoria che a piazze mediterranee. In una di queste una libreria, e in un’altra un anfiteatro pensato come spazio per conferenze, presentazioni, spettacoli.

Quasi all’uscita della galleria commerciale naturalmente le casse, discrete nella loro pur “necessaria” presenza.

 

 

E poi molti addetti tutti intorno e pochi pochissimi visitatori rispetto alle dimensioni e alle ambizioni del progetto a confermare l’idea di una fase iniziale e di un periodo di necessario rodaggio attraverso il quale giudicare la sostenibilità dell’impresa.

Ma se gli spazi esterni erano ancora in parte inattivi o sotto-utilizzati, e le considerazioni sono dunque “figlie” di un’impressione sostanzialmente mutuata dalla visita della galleria commerciale, rimane di fondo un problema.

Quale tipo di consumatore è stato immaginato quale fruitore di FICO?

 

Siamo creature che come tutte ci nutriamo “con la fame”, tra le poche che lo facciano con la mente (le scelte degli onnivori) l’unica che lo fa con lo spirito (la memoria, la convivialità, gli affetti, il gusto della conoscenza).

Eliminando dall’orizzonte delle probabilità la fame, resta la mente e lo spirito come spiegazione per l’enorme interesse sul cibo che caratterizza le moderne società ad alto reddito. 

La mente, lo spirito e un reddito appunto in grado di elevare il cibo ad oggetto di desiderio, piacere, benessere, elemento di conoscenza, intrattenimento. Un bene quasi immateriale insomma, a dispetto dell’essere semplicemente cibo, il più necessario e materiale dei beni.

In questa autentica “rivoluzione” sta a ben vedere gran parte della nostra modernità, ben prima di passate, presenti o fantascientifiche tecnologie; ed è proprio in questa rivoluzione che stiamo “al calduccio”: milioni di consumatori con i loro gusti, desideri, interessi. 

E allora FICO sembra restituire l’idea di un pubblico generalista che abbia come collante solo il “piacere verso il cibo”, qualunque ne sia la declinazione. Se così fosse, il rischio di una Disneyland alimentare potrebbe non essere lontano.

 

 

La domanda allora è: può il cibo essere solo il nostro intrattenimento?

Alla lunga credo che sarebbe solo una triste curiosità per appetiti bulimici. 

Ma FICO non sarà così, solo se ci sarà spazio “per la mente e per lo spirito”, se cioè le attività agrarie esterne saranno vive e fruibili, se gli eventi ospitati saranno coerenti e scelti con cura, se sarà sviluppato nei visitatori, specie i più giovani e le famiglie, il legame con la terra, la natura, le tradizioni, con tutto ciò che fa il “nostro cibo”. Perché la rivoluzione di cui dicevamo prima ha anche creato una figura che non conoscevamo e di cui non ci libereremo più: il consumatore, ovvero colui che compra ciò di cui ha bisogno ma anche colui che – per la prima volta nella storia della nostra specie – ignora i legami della natura con ciò che è consumato.

Fare cultura e cultura alimentare è legare quest’ultimo aspetto al cibo, è ridare dignità e responsabilità alle nostre scelte, è restituire valore e bellezza alla natura, è riscoprire il senso profondo – i luoghi e il tempo – di invenzioni di giorni lontani che oggi chiamiamo “tradizioni”. 

Forse solo così FICO potrà essere veramente Figo.

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