21 gennaio 1950 / George Orwell, Omaggio alla Catalogna

21 Gennaio 2021

Il 26 dicembre 1936 il cittadino inglese Eric Arthur Blair arriva a Barcellona deciso a combattere a fianco della repubblica contro i fascisti. In Gran Bretagna è un giornalista e un narratore noto con lo pseudonimo di George Orwell; ha pubblicato tre romanzi e un libro d’inchiesta, Senza un soldo a Parigi e a Londra, dedicato alla vita precaria dei lavoratori d’albergo e a quella dei mendicanti senza fissa dimora, uscito nel 1933. L’opera successiva, La strada di Wigan Pier, una cronaca-inchiesta sui minatori di una cittadina del Nord dell’Inghilterra, l’ha consegnata all’editore poco prima di partire da Londra per la Spagna, nel 1937. Uscirà nel medesimo anno e provocherà numerose discussioni negli ambienti della sinistra inglese. Eric Arthur Blair non è ancora Orwell, almeno l’Orwell che noi oggi conosciamo, il celeberrimo autore di due libri che hanno segnato la seconda metà del Novecento: La fattoria degli animali (1945) e 1984 (1949).

 

Prima di mettere piede nella Spagna repubblicana, dove nel luglio del 1936 è cominciata la guerra civile con lo sbarco di Francisco Franco a Tetuan, Orwell passa a trovare Henry Miller a Parigi. Lo scrittore americano l’accoglie con simpatia; ha infatti letto e apprezzato Senza un soldo. Gli dice che è da idioti andare a combattere in Spagna e gli regala una giacca di velluto a coste che, per quanto non a prova di proiettile è, afferma, il suo personale contributo alla causa repubblicana.

A Barcellona, punto d’approdo del viaggio compiuto durante le festività natalizie, Orwell porta con sé una lettera di presentazione a John McNair, un socialista inglese, che dirige l’ufficio dell’Independent Labour Party. 

Nel suo libro di memorie McNair racconterà l’arrivo di questo alto e allampanato volontario, che gli dichiara di essere venuto in Spagna con l’idea di battersi contro il fascismo. Dopo aver riconosciuto nel suo visitatore George Orwell, di cui ha letto le opere, lo conduce alla caserma del POUM dove viene arruolato immediatamente. Questa scelta di indirizzarlo alle milizie del POUM sarà decisiva, non solo per i successivi mesi di guerra al fronte, ma per la scrittura del libro che racconterà da lì a un anno le sue vicende spagnole. Per quanto si sia detto e scritto che Orwell era in quel Paese per redigere articoli destinati alla stampa inglese con cui collaborava, la scelta di combattere i fascisti è quella decisiva.

Il Partido Obrero de Unificación Marxista (POUM), nato nel 1935, è un piccolo raggruppamento con non più di tremila iscritti concentrati quasi tutti in Catalogna. Minuscolo partito della galassia del comunismo spagnolo, viene classificato dagli avversari come trockista, pur avendo rotto da tempo con il rivoluzionario russo; in realtà si considera come il vero e solo erede di Lenin e del comunismo, ed è avverso sia al partito comunista spagnolo, legato all’Unione Sovietica di Stalin, sia ai partiti e ai raggruppamenti del socialismo parlamentare. La Spagna è all’epoca, anche nel campo della sinistra, un pentolone ribollente. Ci sono tante sigle sindacali e politiche, spesso in lite o in polemica molto dura tra loro. Sarà una delle varie tragedie minori nella tragedia maggiore di una guerra fratricida che ha le sue origini nei conflitti interni ed esterni della Spagna dell’Ottocento. Quella di indirizzare Orwell alla caserma Lenin è una scelta casuale, che diventerà importante nel momento in cui, tornato in patria, nel maggio del 1937 Orwell vorrà mettere per iscritto la sua partecipazione al conflitto armato nelle file del POUM.

 

 

Come ha scritto Bernard Crick nell’ampia biografia dello scrittore, “la sua umiltà, caparbietà, semplicità e il suo coraggio nell’aderire alla milizia del POUM illuminano il libro”. Ed è così. La figura che appare nella prima pagina di questo volume è straordinaria per carica umana e afflato, e la sua descrizione riflette lo stato d’animo e le convinzioni di Blair-Orwell in quel momento. Nella caserma, dove si trova per arruolarsi, Eric Arthur incontra un giovane miliziano sui venticinque anni. Ha un’aria rude, capelli biondo-rossicci e spalle larghe. Il suo volto lo commuove profondamente: “Era il volto di un uomo capace di uccidere e di sacrificare la propria vita per un amico”. Esprime insieme candore e ferocia e “la patetica riverenza degli analfabeti verso chi credono superiore”. Il giovane combattente incarna la bellezza e la gioia che Orwell prova in quelle prime giornate barcellonesi, e anche dopo nella trincea in cui si troverà a fronteggiare le linee fasciste.

Tutto in questo libro, nonostante la complessità della situazione, appare improntato alla semplicità e all’immediatezza: è un racconto in presa diretta. La simpatia istintiva gli nasce infatti dal partecipare a quello che è per lui molto di più di uno scontro con l’avversario del momento. Si tratta della gioia della rivoluzione, che sembra di colpo rovesciare la miseria, la fatica e il dolore delle classi proletarie e del Lumpenproletariat, che popolano i suoi due libri d’inchiesta, in cui, al contrario di Omaggio, improvvise accensioni s’alternano a momenti di decisa malinconia. L’affetto istintivo che prova per questo sconosciuto militante è il riflesso di quello che Orwell vede per le strade, negli alberghi, nei caffè e nei negozi di Barcellona. Una città diretta dal proletariato. Scrive: “Sembrava una città in cui le classi abbienti avessero cessato di esistere”. Nessuno circola ben vestito; tutti indossano i ruvidi panni popolani, o le tute blu, o qualche variante delle uniformi della milizia.

Quello che vede coi suoi occhi è un quadro d’insieme insolito e toccante. L’aggettivo “toccante”, come suona in questa nuova e magnifica traduzione di Massimo Bocchiola, è esattamente quello che Orwell prova in quel momento, e sarà anche il mood di questo libro che raccoglie l’esperienza di sei mesi in Spagna.

 

Il libro è dedicato alla Catalogna, la regione di cui è capoluogo Barcellona, perché, nonostante le tante cose che non capisce e che non condivide di quella città, come precisa nelle prime pagine, Orwell aderisce pienamente alla lotta in corso, che non è solo quella contro Francisco Franco, ma per la rivoluzione proletaria. Nella città “camerieri e commessi ti guardavano negli occhi e ti trattavano da pari a pari”; così le formule servili, o semplicemente cortesi, per il momento paiono scomparse. Chi ha letto le pagine di Senza un soldo dedicate ai camerieri, che Orwell aveva frequentato a Parigi, comprende quale senso di gioia e di libertà provi il trentatreenne giornalista e scrittore, ex agente della polizia imperiale britannica in Birmania.

L’inizio del libro è trascinante per questo, sebbene Orwell veda sempre l’altro lato della medaglia e si renda conto di come in tutta questa situazione vi sia anche “un po’ della mefitica aria di guerra”. E poi c’è l’atmosfera che sempre accompagna le rivoluzioni in guerra: disordine, pressappochismo e sudiciume, che definisce “un sottoprodotto”. Il futuro combattente s’entusiasma anche per questo aspetto, perché essere lì, arruolato nel POUM, è per lui qualcosa d’inatteso e sorprendente. Tutto gli appare incredibile, a partire dall’addestramento di questo “esercito di guerriglieri” alla caserma Lenin, dove assumerà il ruolo di istruttore dei giovani arruolati, aspetto di cui parla poco nel libro, come ricorda Crick, forse perché collegato al suo passato di poliziotto coloniale.

 

Il tono del volume è improntato al fervore che Orwell prova davanti alla generosità e alla magnanimità degli uomini – questo è ciò che apprezza: la grandezza d’animo. Li incontra nella caserma e al fronte poco dopo, per quanto niente sia mai in orario, niente sia organizzato a puntino. Tutto appare spontaneo e scombinato in quei primi giorni, e in quelli successivi, quando un treno lo trasferisce alla velocità di venti chilometri l’ora sull’altopiano di Aragona a Barbastro; quindi, sballottato su un camion a Siétamo e ancora più avanti, ad Alcubierre, appena dietro al fronte di Saragozza. Ma questa è per lui la gioia della rivoluzione.

Che libro è Omaggio alla Catalogna? Un diario, prima di tutto. Orwell tiene una cronaca quotidiana dei giorni trascorsi in Spagna; la scrive freneticamente anche al fronte, in condizioni precarie e disagiate, come ricordano i suoi commilitoni, e quindi passa le pagine alla moglie, Eileen O’Shaughnessy, incontrata in varie occasioni, perché batta a macchina i fogli. Poi quelle pagine saranno sequestrate dalla polizia segreta spagnola nel mutato clima politico di aprile e maggio nella camera occupata da Eileen in albergo. Tuttavia quel lavoro di scrittura diaristica avrà un’influenza sul tono con cui Omaggio è scritto. Il libro è infatti un racconto quanto più possibile veritiero di ciò che è accaduto all’autore e, come sostiene Crick, questo è il lavoro di Orwell più vicino a una cronaca letterale degli avvenimenti, cosa che non si può dire per La strada di Wigan e per Senza un soldo, in cui l’invenzione narrativa ha una parte importante.

 

Questo dipende dalla volontà di testimoniare quanto è accaduto a Barcellona in aprile e in maggio, durante la licenza di Orwell dal fronte, quando scatta la guerra fratricida all’interno della sinistra. C’è anche il fervore che gli suscita questa nuova esperienza, che lo coinvolge totalmente.

Bisogna pensare a Omaggio come a una sorta di rovescio di Giorni in Birmania (1933), il secondo libro, ambientato in quel Paese dove Eric Arthur Blair ha svolto il ruolo di agente di polizia al servizio dell’impero britannico. Con il diario della guerra civile Blair diventa davvero Orwell. L’ex poliziotto coloniale, che ha scritto dopo le sue dimissioni una storia di fantasia ambientata in Birmania, si trasforma in un combattente antifascista, liberandosi probabilmente di gran parte del senso di colpa ancora tangibile nel mese di dicembre del 1937 in occasione dell’incontro con Henry Miller. Quando confida allo scrittore americano il suo cruccio per essere stato un agente dell’imperialismo, questi gli chiede a bruciapelo se non si sia già punito abbastanza scrivendo Senza un soldo.

Omaggio è un libro di testimonianza, non tanto e non solo sulla guerra contro Franco, ma del conflitto interno alla sinistra, che porta alla messa fuorilegge del POUM con l’accusa di collusione con i fascisti, alla carcerazione dei militanti e all’eliminazione fisica dei leader. Orwell stesso dovrà infatti fuggire in Francia per non essere sbattuto in prigione come altri commilitoni, solo per essere stato un miliziano del POUM. Lo scrittore sperimenterà così in modo diretto cosa sia lo stalinismo applicato alla guerra civile dal Partito comunista attraverso la polizia segreta della repubblica. Proprio per il suo racconto attendibile dei fatti di Barcellona, Orwell sarà citato nei successivi studi storici, come mostrano le pagine del recente libro dell’inglese Harry Browne. Le due caratteristiche principali del testo, la veridicità e la chiarezza stilistica, lo propongono per essere anche un documento storico.

 

Omaggio è però soprattutto un libro narrativo, alla Orwell, ovviamente. Per questo, dopo la prima edizione del 1938, lo scrittore sposterà i riferimenti alla persecuzione dei militanti del POUM dal corpo centrale del testo alle due appendici finali, che contengono le spiegazioni delle vicende accadute prima e dopo la messa fuorilegge del POUM, così come le chiose a quanto la stampa estera andava scrivendo sui medesimi fatti, spesso senza conoscenze dirette. Questa disposizione obbedisce all’obiettivo di non confondere testimonianza e spiegazioni generali degli avvenimenti. Spostando in fondo al libro le interpretazioni e i chiarimenti sulla situazione della Spagna, Orwell privilegia la fluidità narrativa del testo, prima qualità del libro. Omaggio è dunque anche un reportage, per cui l’autore non dimentica neppure per un momento di essere un narratore di fatti, oltre che di idee.

 

 

Si fa cronachista nel senso classico del termine. Come in Senza un soldo e La strada, la voce narrante è sempre in prima persona, perché tutto passa attraverso il vissuto diretto di Orwell; meglio: attraverso il suo stesso corpo.

La prima parte del volume, scritto appena tornato in patria, è dedicata alla guerra di trincea contro l’esercito fascista. Fino a che non sarà istituito dal governo repubblicano l’Ejército Popular, molti dei gruppi politici e dei partiti della sinistra spagnola, oltre alle organizzazioni sindacali, inviano al fronte truppe arruolate e addestrate dalle stesse formazioni politiche. Orwell, che avrebbe voluto entrare nelle Brigate internazionali e combattere sul fronte di Madrid, si trova incardinato in una centuria del POUM guidata da Georges Kopp, un robusto comandante belga, come lo definisce, personaggio che compare più volte in queste pagine, e che vediamo per la prima volta alla testa dei miliziani in sella al suo cavallo bianco, mentre Orwell e compagni lo seguono marciando verso il fronte.

 

Nella guerra di trincea, in cui si trova calato, Orwell ci spiega che cinque sono le cose decisive: la legna da ardere, il cibo, il tabacco, le candele e il nemico. A questi cinque aspetti dedica la sua attenzione raccontando episodi minimi, che danno il senso di quello che accade intorno a lui, senza che il racconto ignori la cornice della guerra in corso.

Il clima in cui Orwell combatte è sempre entusiastico. Trova che la disciplina dell’esercito rivoluzionario sia la migliore possibile, persino superiore a quella degli eserciti professionali. Nella prima parte della narrazione gli episodi notevoli sono pochi. Il fronte è fermo e tutto si limita a qualche scambio di colpi e alla raccolta di legna nella terra di nessuno, per quanto il rischio di essere feriti resti quotidiano. Le trincee sono invase dai topi, che ributtano allo scrittore. Solo in un caso partecipa a un attacco condotto insieme ad altri quattordici volontari nel territorio controllato dai fascisti, in cui cerca d’impadronirsi di un prezioso telescopio. La dotazione di armi del POUM è scarsa, i fucili antiquati e spesso inutilizzabili, le bombe a mano quasi inservibili. Anche senza storie eclatanti il racconto è vivace e interessante. Orwell è bravissimo nel descrivere i commilitoni e nel riportare le piccole vicende d’ogni giorno, doti di cui ha già dato prova nei precedenti libri di cronache, Senza un soldo e La strada

 

Poi tutto cambia e il racconto si fa di colpo interessante quando il 26 aprile ritorna a Barcellona per la sua prima licenza, anticipato da una frase che conclude il capitolo ottavo (“Poi le cose presero una brutta piega”). Orwell si trova al centro d’una vicenda frenetica e confusa, di cui riesce tuttavia a dare un resoconto lineare, per nulla caotico, che mostra ancora una volta la sua capacità di restituire il proprio vissuto personale e insieme ci. che gli accade attorno. Sarà proprio quello che succede a Barcellona a cambiare il suo punto di vista, non solo sulla guerra civile, ma riguardo alle proprie idee politiche. Non è infatti azzardato ritenere che il punto generativo dei suoi due libri più celebri, La fattoria degli animali e 1984, dedicati al totalitarismo moderno, nasca proprio da quelle giornate barcellonesi e dalle vicende successive. Curiosamente il capitolo nono comincia con un ricordo della Birmania, l’unico riferimento in tutto il libro a quel Paese dove ha vissuto. Il mutamento di clima politico tra la Barcellona del suo arrivo e quella di qualche mese dopo è paragonato al passaggio dall’atmosfera di una città orientale a quella di una località del medesimo Paese posto a milleduecento metri d’altezza sul livello del mare. La conclusione è secca: “L’atmosfera rivoluzionaria non c’era più”. Le divise della milizia sono scomparse, cos. come le tute blu. In giro ora ci sono solo gli ufficiali del nuovo Ejército Popular.

 

La popolazione civile, poi, ha perso interesse per la guerra in corso e la normale divisione della società tra ricchi e poveri, tra classi alte e basse, è ritornata. Cos’è accaduto? Senza entrare nei dettagli delle complesse vicende della guerra civile spagnola, che riguardano in particolare i cambiamenti nel governo repubblicano che combatte la ribellione di Franco, e i conflitti tra i vari partiti della sinistra, basterà dire che nel governo presieduto da Largo Caballero si è verificata l’ascesa del Partito comunista, effetto dell’accresciuta influenza sovietica. L’Unione Sovietica di Stalin è l’unico Paese, insieme al Messico, che sostiene con invio di armi e di aiuti materiali la parte repubblicana contro Franco, a sua volta supportato apertamente dalla Germania nazista e dall’Italia fascista – si pensi all’episodio del bombardamento di Guernica il 26 aprile 1937. 

Il punto di vista di Orwell che si muove per le strade e negli alberghi di Barcellona si mantiene rasoterra: racconta quello che vede, non cerca spiegazioni più complesse. Racconta e basta. Tutto comincia il 3 maggio e la causa scatenante è l’assalto alla Centrale dei telefoni controllata dagli operai della CNT, l’organizzazione legata agli anarchici, cui il governo vuole togliere con la forza la gestione.

La parola passa alle armi: antifascisti sparano contro altri antifascisti. Anche Orwell partecipa alle vicende, essendo un miliziano del POUM. Passa tre giorni e tre notti sul tetto di un edificio, salvo brevi intervalli in cui scende per mangiare, in attesa di un paventato attacco alla sede del POUM. Questo partito non è al centro dello scontro, tuttavia la questione lo coinvolge ugualmente. Sono pagine in cui viene descritta una guerra civile dentro la guerra civile, un reportage che si legge con partecipazione.

Tre giorni dopo la fine degli scontri Orwell torna al fronte, dove le notizie delle vicende di Barcellona non sono arrivate. Quanto è accaduto ha lasciato un forte segno su di lui. Riflette sullo sviluppo della guerra contro Franco. Paventa la caduta di Caballero e la sua sostituzione con un governo più a destra, che per Orwell significa la fine della possibilità d’una dittatura del proletariato.

 

Neppure la democrazia tradizionale, capisce a questo punto, sarà il destino possibile della Spagna a guerra terminata, chiunque la vinca. Giudica la Spagna un Paese profondamente diviso, in cui prevede il trionfo di “un fascismo mascherato con qualche eufemismo”. Orwell, come dichiara, ha a lungo “ignorato l’aspetto politico della guerra”. Ora gli si impone. Nell’Appendice I dà un’acuta definizione del progetto politico di Francisco Franco: “La sua sollevazione è stato un ammutinamento militare appoggiato dall’aristocrazia e dalla Chiesa; e in sostanza, soprattutto all’inizio, non si è trattato tanto di un tentativo di imporre il fascismo, quanto di restaurare il feudalesimo”.

Dieci giorni dopo il ritorno al fronte viene ferito. Tutto accade alle cinque del mattino. Sta parlando con alcune sentinelle in preparazione del cambio della guardia, quando un proiettile sparato da un fuciliere fascista gli trapassa la gola. Le righe in cui descrive quanto gli accade sono puntuali: “In parole povere mi sembrò di trovarmi al centro di un’esplosione. Tutto intorno a me ci furono uno scoppio violento e un lampo di luce abbagliante e sentii una scossa fortissima – nessun dolore, solo una scossa come quelle che si prendono da un filo scoperto; e insieme una spossatezza totale, l’impressione di essere colpito e andare in briciole”. Orwell è molto efficace nel definire gli stati d’animo dei suoi personaggi, le reazioni emotive e insieme fisiche. Da Fiorirà l’aspidistra a 1984 i protagonisti dei suoi romanzi, narrati sempre in terza persona, evidenziano stati d’animo ed emozioni che riguardano il loro corpo, prima ancora che la loro psicologia. Non solo sentimenti, anche stati fisici di estenuazione. La ferita inferta dal proiettile, per sua fortuna, non è mortale. Ha rischiato molto, ma è andata bene. La fucilata lo riduce a un silenzio improvviso: non ha più voce per via di una delle corde vocali recisa.

 

Torna di nuovo a Barcellona e vi ritrova l’atmosfera che vi ha lasciato, semmai peggiorata dopo la caduta del governo Caballero, con i ministri comunisti che hanno dato il via alla caccia degli avversari politici. Dopo essersi fatto curare, cerca d’ottenere il congedo in modo da sottrarsi alla caccia dei miliziani del POUM, partito cui non ha aderito e verso cui è critico, ma anche solidale dopo l’esperienza del fronte: si sente uno di loro. In questa strana situazione, gli sembra di essere un turista nella amata Spagna, il Paese che ha sempre desiderato di visitare. Tornato in albergo, la moglie lo prende da parte e gli sussurra all’orecchio di andarsene via subito. Rischia di essere arrestato. Andrés Nin, leader del POUM, è stato prelevato dal suo ufficio e di lui non si saprà più nulla: eliminato come nelle purghe staliniane. Le pagine dedicate al suo girovagare per la città alla ricerca di luoghi dove nascondersi (di giorno i bar sono accoglienti e nessuno lo cerca) o dove dormire (la notte è il vero problema, e per non farsi prendere dorme all’addiaccio) ricordano quelle dedicate ai vagabondaggi in compagnia dei barboni di La strada. Alla fine riuscirà ad andarsene fortunosamente dal Paese insieme alla moglie: passa la frontiera con la Spagna grazie alla disorganizzazione della polizia. 

Il tono narrativo prevale. La prima caratteristica è l’agilità del raccontare sempre con leggerezza le proprie avventure, aspetto che connota il libro, ulteriore traccia di quell’entusiasmo che si percepisce nelle prime pagine e che non scompare mai. La Spagna è un Paese anormale e contraddittorio in quei mesi, e lo scrittore s’abbandona a questa stessa stranezza.

A conclusione del racconto, prima di lasciare spazio alle due meditate appendici, Orwell congeda il proprio lettore con una emblematica osservazione: “Non si è mai sicuri di nulla, se non di quello che si è visto di persona; e più o meno consapevolmente tutti scriviamo con partigianeria. Nel caso che non l’abbia detto in questo libro, lo dico adesso: state attenti alla mia parzialità, agli errori materiali, alle inevitabili distorsioni dovute alle mie idee. E state attenti alle stesse, identiche cose quando leggerete qualsiasi altro libro su quella fase della guerra di Spagna”. Una rara onestà intellettuale che definisce questo libro, e non solo questo.

 

L’ultima frase del racconto è però ancora più forte, visto l’anno in cui è scritta e in cui appare il volume, il 1938. Orwell torna in Inghilterra dopo i mesi di guerra e il Paese gli appare identico a come l’aveva conosciuto nella sua infanzia. Lo descrive ironicamente e insieme malinconicamente: un Paese immerso in un sonno profondo,  “da cui temo che usciremo solo quando, di colpo, ci sveglierà lo scoppio delle bombe”. Non manca molto. Il 1° settembre 1939 la Germania nazista invade la Polonia, e nel luglio del 1940 comincia la battaglia d’Inghilterra. Le V1 cadono anche sulla sua casa a Londra, dove recupererà fortunosamente tra i calcinacci il manoscritto della Fattoria degli animali, favola per adulti dove si scorge a ben guardare il segno trasfigurato delle vicende spagnole.

 

Per saperne di più

Sulla vita di Orwell il riferimento d’obbligo è l’ampia biografia scritta da Bernard Crick, George Orwell (tr. it. di Maria Luisa Bassi, il Mulino, Bologna 1991), preceduta da una prefazione di Alfonso Berardinelli. Per altre informazioni sulla sua vita e sulle vicende dei suoi libri si rinvia al Meridiano G. Orwell, Romanzi e saggi (a cura di Guido Bulla, Mondadori, Milano 2000), e in particolare all’introduzione al volume, alla cronologia e alle note ai testi compresi in questa raccolta. Orwell tornerà ancora in altri brevi scritti sulla vicenda spagnola; si vedano “Uno sguardo retrospettivo sulla guerra spagnola” (1943), in Tra sdegno e passione (tr. it. di Enzo Giachino, Rizzoli, Milano 1977), e “Otto anni di guerra: ricordo della Spagna” (1944), compreso in Gli anni dell’“Observer” (tr. it. Ester Donetti, Baldini & Castoldi, Milano 2006). Sullo stile diaristico di Omaggio alla Catalogna risulta interessante il confronto con Diari di guerra (a cura di Guyda Armstrong, tr. it. di Alessandra Sora, Mondadori, Milano 2007); il volume contiene un’interessante postfazione di Bernard Crick. Sulla guerra civile si legga il recente libro di Harry Browne, La guerra civile spagnola (tr. it. di Biagio Fiorino, il Mulino, Bologna 2000). Sul ritratto dello scrittore politico si veda il saggio di Vittorio Giacopini, “George Orwell, o l’indecenza del potere”, nel volume di saggi di Orwell, Come un pesciolino rosso in una vasca di lucci (tr. it. di Elena Cantoni, El.uthera, Milano 2018), e quello di Michael Walzer, “L’Inghilterra di George Orwell”, in L’intellettuale militante (tr. it. Di Elisabetta Cavani Halling, il Mulino, Bologna 1991).

 

Questo testo è l'Introduzione a George Orwell, Omaggio alla Catalogna, traduzione di Massimo Bocchiola, edito da Guanda, che ringraziamo per averci permesso di riprodurlo.

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