Teatro Povero / Il malComune di Monticchiello

10 Agosto 2017

Gli spettacoli del Teatro Povero di Monticchiello, detti autodrammi, sono sempre sorprendenti. Non solo perché portano in scena un intero paese, gli anziani, gli adulti, i giovani, i bambini. Non solo perché affrontano in modo diretto i problemi delle trasformazioni spesso violente e dolorose subite dal borgo Toscano vicino a Pienza, in una  delle zone più belle d’Italia. Non solo perché così facendo parlano della storia del nostro Paese, vissuta in uno dei suoi tanti luoghi, delle mutazioni a velocità accelerata dalla società contadina al mondo mediale, iperconnesso, dalla campagna faticata al turismo, agli agriturismi ai social network. Il di più di questa esperienza, a ritornarci con costanza, risalta evidente: è ancora un luogo di pensiero e di esperienza, di riflessione faticata ma necessaria su quello che attraversa le nostre vite e che spesso arriva da lontano, da molto lontano. Ed è un luogo di invenzione e di visione.

 

malComune, autodramma 2017

 

Nei suoi cinquantun anni il Teatro Povero ha parlato di Resistenza e di emigrazione, di lotte bracciantili e di mezzadri, di vita nella civiltà contadina e di accelerazione 2.0. Ha ricordato il passaggio degli imperiali di Carlo V e le vecchie favole o novelle intinte nella sapienza paradossale e spesso burlesca di un mondo, quello agricolo, che, pur scomparso, ha lasciato più di un segno. Ha riflettuto sull’emigrazione verso la città, magari da pendolari, e su cosa questi luoghi sono diventati, oggi che sono popolati da un numero di Bed & Breakfast o di alloggi per vacanze superiore a quello degli abitanti stabili d’inverno (forse esagero, ma l’impressione è quella). Lo ha fatto usando il teatro come un’arena di discussione, in certi casi con qualche ideologismo, con una voglia di capire e di spiegarsi che finivano nel didattico, ma il più delle volte con una capacità di invenzione unica perché semplice, diretta, vissuta. Gli spettacoli di questa comunità – anche quando sembrano impantanarsi in qualche ostacolo, in un’amarezza soverchia, in un ragionamento che va verso il cervellotico, un compiacimento narcisistico o viceversa un flagellarsi che scivola verso il vittimistico – trovano sempre il modo di virare; hanno uno scatto d’immaginazione che ti trascina verso altri continenti, isole del pensiero, della passione, nelle quali le generazioni coesistono, le esperienze si scambiano in un  dialogo continuo, sia pur faticoso, gli avi sono sono come fantasmi vivi, i bambini diventano evidenti promesse di un futuro immaginato differente.

 

malComune, autodramma 2017

 

Teatro partecipativo

Lo confesso: ho trovato molte volte difetti nelle opere del Teatro Povero. Ora abbasso la guardia, come davanti a un oggetto d’affezione, caro perché ogni volta capace di fornirmi un nutrimento essenziale. Questo teatro è una esperienza comunitaria necessaria, in un mondo di comunità inesistenti o fasulle. Questi spettacoli, discussi tutto l’anno, provati a lungo, concertato con la guida di Andrea Cresti, che mai si firma come regista, lasciando il merito al lavoro collettivo “della gente di Monticchiello”, sono un vero esempio di quel teatro “partecipativo” che va tanto di moda (ma qui si fa da cinquantuno anni) e che racchiude sotto la sua sigla varie cose. Si va da esperienze come quella del catalano Roger Bernat o di altri, che ti chiedono di schierarti durante lo spettacolo, di scegliere tra varie opzioni, offrendo una partecipazione tra scelte obbligate che sa un po’ di eterodirezione, a lavori che crescono ascoltando comunità esistenti o create ex novo in determinate condizioni. In queste ultime direzioni andavano, di recente, Inferno delle Albe con la partecipazione come coro di numerosissimi cittadini ravennati, Futuri maestri del Teatro dell’Argine, un’indagine fantastica sui problemi e sui desideri degli adolescenti che ha prodotto uno spettacolo-viaggio di iniziazione con numerosissimi ragazzi in scena, vari progetti sviluppati da Claudio Longhi, partendo da un rapporto intenso con Modena, le sue associazioni, le scuole, gruppi di cittadini.

Qui, a Monticchiello, quel lavoro di partecipazione si fa, con confronti veri, da cinquantun anni, da quegli anni ‘60 in cui, altrove, in altro modo, Giuliano Scabia proponeva a varie piccole realtà più o meno associate i suoi schemi vuoti immaginativi da riempire con un lavoro di approfondimento collettivo, tra artisti e cittadini, e pazienti psichiatrici (a Trieste con Marco Cavallo), studenti, scolari e altri.

 

malComune, autodramma 2017

 

malComune

Lo spettacolo di quest’anno a Monticchiello si intitola malComune e  come sempre fonde vari fili, apre varie strade, in un percorso che diventa labirintico per poi concludersi con una capriola dell’immaginazione, un salto, una meraviglia. Nella notte sotto le stelle, nella piazza in pendenza di questo paese del colore delle crete senesi, si rinnova la magia.

Si inizia con una scena familiare. Un giovane uomo, Marco, appassionato di vecchi trattori, ne sta riparando alcuni pezzi. Scopriremo dal dialogo col padre che col lavoro non se la passa molto bene, che è disoccupato, e questi lavoretti di riparazione o ripristino di reperti della civiltà contadina immediatamente passata non gli fruttano molto (o forse nulla). Scopriremo che la compagna, Giulia, aspetta tre gemelli. Ma soprattutto che c’è una nuova legge che, per semplificazione economica e amministrativa, unifica paesi e frazioni sotto un certo numero di abitanti. Questo è un dato reale (quanti piccoli comuni sono finiti in nuove aggregazioni più ampie, con varie crisi), che subito viene portato alle sue conseguenze kafkiane. Si parla di due frazioni a rischio di scomparsa, perché al limite della microscopica percentuale di abitanti (3,78 per cento) sul totale di quelli del comune, necessaria per rimanere autonomi. E poi sono posti pieni di vecchi: alcuni moriranno, altri si trasferiranno all’ospizio della frazione vicina, facendo calare la percentuale in un posto e incrementandola nell’altro, o dall’ospizio, con moto contrario, torneranno a casa... Questione di decimali, ma gli esseri umani non sono frazionabili, e bisognerebbe avere un margine di sicurezza, per continuare a mantenere la propria indipendenza…

 

malComune, autodramma 2017

 

La scena si popola, si discute su come sopravvivere. A Marco viene un’idea. Sua moglie, Giulia, aspetta tre gemelli: lui con uno di loro si trasferirà in una delle frazioni a rischio; la moglie rimarrà nell’altra… La paradossale proposta divide i due, perché Giulia si oppone a spezzare la famiglia e genera altre idee: le due frazioni potrebbero unirsi…

A questo punto si salta nel passato, quando il babbo di Marco, Remo, era un bambino e nella casa contadina comandava suo padre Quinto. Si stava per formare una cooperativa, tra agricoltori che avevano partecipato alle lotte per la terra e le avevano perse. Ma i soci si divisero subito prima dell’atto costitutivo, su varie questioni, e principalmente su quale tipo di trattore comprare (vecchi trattori, modelli anni ’50, come quelli dei quali Marco ripara i pezzi all’inizio…).

Qui lo spettacolo, come sempre avviene nel Teatro Povero, ha un’accelerazione: si parla di emigrazione, di cinismo del presente, con una voce che invita a lasciar perdere, in una società in cui tutto è mercato e tutto si vende, dove l’unità tra le persone, il noi, è solo un sogno irrealizzabile, dove le “ville”, gli antichi borghi che appaiono come bianche figurine di favola sul fondo, sono solo sbiadite memorie. Ora siamo connessi con il mondo…

Un raggio luminoso si rivolge verso il cielo. Cosa può contare il nostro paesotto nel futuro di reti mondiali? Avviene un’esplosione. Pezzi rotti, come quelli dei trattori, invadono il proscenio. Pezzi da ricomporre. La libertà di oggi è un’illusione, o addirittura sono nuove catene? Le domande come sempre si affastellano, facendo intravedere possibilità, desideri, soluzioni: aprendo, soprattutto, scenari multipli.

 

malComune, autodramma 2017

 

Sullo sfondo stanno immobili uomini e donne, volti belli, con la pancia, magri, barbuti, pelati, con gli anni addosso, con i volti interroganti, come fantasmi del passato, sotto luci fredde, quasi livide. Il futuro è una serie di pezzi da ricomporre, col presente, l’io, il noi, il passato, i morti, le sconfitte, l’incapacità di trasformarsi, i desideri, le piccole vittorie, i bambini che diventeranno vecchi, i vecchi di cui si perderà la memoria?

È come essere davanti alle acque in movimento continuo del mare, avvolgenti. Non resta che provare a partire, con l’Inno alla gioia di Beethoven che forse maschera la realtà cruda dell’impotenza.

Un finale più aperto non si può dare. E questa – con il rovello, con il cammino per arrivarci, a volte accidentato, a volte intinto nel ricordo, nell’alleggerimento ridente della battuta caustica o ironica, nel contrasto – è la forza, che si rinnova ogni anno, del Teatro Povero di Monticchiello, tra colori di grano tagliato, terre gialle o bruciate, il verde del cipresso, dell’alloro, dell’olivo, le stelle e la luna.

 

malComune, autodramma della gente di Monticchiello, in scena alle 21.30 fino al 14 agosto, piazza della Commenda, Monticchiello.

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