Vittorio Lingiardi, corpo raccontato

4 Dicembre 2024

Quante volte durante la giornata penso al mio corpo? Se ci penso è perché mi manda dei segnali, ci penso se sono stanco, se mi fa male un ginocchio, se provo piacere, se ho il naso chiuso, se ho fame o sete. Se tutto va bene, penso ad altro. Ma anche quando penso ad altro sto usando una parte del mio corpo: il cervello. E siccome pensando ottengo spesso gli stessi effetti di fatica, dolore, piacere, fame che derivano dal corpo, sono sicuro di poter dire che tutto, in me, è corpo, e che la vita psichica non è – come spesso si crede – disgiunta dal resto della materia sensibile, ma è anch’essa corpo.

Da qualche anno ho cominciato a pensare alla mia vita psichica come a uno spazio finito, in altri termini come a una zona del corpo. Ricordo quando iniziai a considerarla tale. Fu per via di un articolo sulla pelle. L’articolo iniziava dicendo ciò che si dice generalmente della pelle, e cioè che è “l’organo più grande del corpo umano”. Ricordo che mentre leggevo quella definizione non pensavo alla mia pelle, bensì alla mia psiche, pensavo a quel mondo interiore, vasto, stratificato, sempre esposto e per questo fragilissimo, con cui mi ritrovo a fare i conti fin da quando ho coscienza del mondo. Pensavo alla psiche come alla pelle, e quindi come a un organo. Pensavo alla psiche come corpo.

Un’altra domanda che mi pongo spesso è: cos’è che mi rende umano? Anche qui di solito cado nella trappola cartesiana del dualismo tra res extensa e res cogitans, finendo per far prevalere la seconda sulla prima. Sono umano perché penso, appunto. E il corpo?

Ecco. È qui che arriva Vittorio Lingiardi a rovesciare le carte in tavola. Ci arriva con un nuovo libro, o meglio, con una virgola: Corpo, umano (lo pubblica Einaudi). “Mi ha salvato una virgola”, scrive nelle prime pagine. “Una virgola che, con la sua piccola enfasi, impone una pausa”. Dietro a quella virgola, a quella pausa, il me cartesiano vede l’universo mentale. La virgola sta lì non per separare ma per instillare nuovi dubbi. Del resto è sul dubbio che si fondava l’antica filosofia: dubitare di ogni forma di conoscenza che derivi solamente dai sensi.

Lingiardi, attraverso la virgola, propone un nuovo punto di vista. Il corpo non è al servizio della mente, non abita una cerchia inferiore rispetto all’universo psichico, non fa – per così dire – il lavoro sporco. “Anche il corpo è mente, non solo il cervello”, scrive. La mia domanda iniziale allora appare all’improvviso sotto una luce nuova: quante volte durante la giornata penso non al mio corpo, ma con il corpo? Perché in effetti con il corpo non solo penso, ma comprendo, ricordo, sogno.

Se l’articolo sulla pelle mi fece pensare alla psiche come organo, la lettura di questo libro mi porta a immaginare i miei organi come parti del cervello, tanto da considerare l’idea che il mio corpo sia composto in realtà da un unico organo, una sorta di ur-cervello. Questo super-organo a sua volta è suddiviso non solo in un emisfero destro e sinistro, ma assomiglia a un pianeta ruotato di centottanta gradi, anch’esso formato da continenti, oceani, placche, tropici, abitato da infinite specie e sottomondi, e come la Terra, se osservato da lontano, ha l’aspetto di un’unità indivisibile. In questa visione rovesciata, la pelle, il fegato, i polmoni, il cuore, lo stomaco e tutto il resto non sono che ulteriori lobi del cervello, ciascuno con la propria funzione, non solo organica, ma anche e soprattutto psichica.

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Vittorio Lingiardi.

Affascinante. Ma il tema intorno cui ruota il libro di Lingiardi non è il cervello, benché il suo lavoro di psichiatra e altri titoli da lui stesso pubblicati nel corso degli anni ci porterebbero a crederlo. Quello di cui parla qui è il corpo ricordato, dettagliato e ritrovato (così si intitolano le tre sezioni nelle quali il volume è suddiviso). Tre modi di intendere i corpi da cui si propagano molti e affascinanti ragionamenti di tipo scientifico, letterario, artistico e politico. È lo stesso Lingiardi a ricordarci che “l’idea, medica o filosofica, di creare una gerarchia degli organi interni ci appartiene fin dall’antichità”, riportandoci poi, verso la fine del libro, al cuore (già!) della questione: “uno dei motivi per cui mi sono messo in testa di scrivere Corpo, umano era il desiderio di ampliare la nostra consapevolezza mentale del corpo, la fisicità e al tempo stesso la simbologia degli oggetti interni, la loro poetica, le loro leggende”.

È un libro che arriva in un tempo in cui il corpo va incontro a un doppio, contraddittorio destino: da una parte si smaterializza, come già profetizzato da Calvino nelle Lezioni americane riflettendo sulle virtù della leggerezza (il corpo umano che da hardware diventa software), dall’altra si concretizza sempre più, si estende attraverso le protesi, mostra le somatizzazioni, soffre le imposizioni dei modelli estetici, combatte i vincoli imposti dal potere alla sua autodeterminazione, si propaga incontrollato nella vita online.

Persi in questa babilonia, dove possiamo dunque recuperare un’idea sensata di corpo? Lingiardi risponde pronunciando un atto di fede nel più antico e potente strumento che abbiamo a disposizione: “L’unico modo per ritrovare un corpo, anche un corpo fantasma, perduto, stanco di sé o del mondo, è raccontarlo. Il corpo ritrovato è quello raccontato”.

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