Voci a stelle e strisce
Questa storia forse la sapete già. Eppure vale la pena riavvolgere il film e tornare a quella sera. È il tramonto quando Alejandro Nieto, 28 anni, si ferma al parco e mangia qualcosa prima di andare al lavoro. 21 marzo 2014. Siamo nel quartiere di Bernal Heights, nel sud del Mission District, cuore della cultura latina a San Francisco. Alex abita lì da quand’è nato.
Succede che un cane arriva di corsa e prova a sfilargli il cibo di mano. Vola qualche insulto con il proprietario e potrebbe finire qui. Se non che un passante si sente minacciato e chiama la polizia. Nessuno gli dà il tempo di spiegare. Gli agenti esplodono 59 colpi – una guerra nel centro della città. L’autopsia rivelerà che il giovane è stato crivellato da 14 proiettili.
A prima vista gli ingredienti della vicenda sono chiari. Odio razzista, brutalità poliziesca. Se si aggiungono le proteste e un processo che manda tutti assolti è un copione risaputo. A guardarla con attenzione però non finisce qui – la morte di Alex Nieto è una storia molto più complicata, sfumata e se possibile straziante.
I retroscena tornano nel magistrale saggio di Rebecca Solnit che apre Racconti di due Americhe – Storie di disuguaglianze di una nazione divisa (Mondadori, 444 pp.), l’antologia curata da John Freeman che una coincidenza editoriale manda in libreria insieme alla raccolta Donne d'America (Bompiani, 408 pp.). I due libri prendono le mosse da spunti e prospettive diverse, il primo dedicato al contemporaneo e il secondo alla scrittura femminile fra Otto e Novecento, che si completano in uno straordinario ritratto a più voci degli Stati Uniti e della sua gente.
Racconti di due Americhe (traduzione di Federica Aceto) è il secondo della trilogia di libri dedicati alle trasformazioni del mondo curata di John Freeman – il primo, Tales of two cities (2014) dedicato a New York e l’ultimo, Tales of two planets (2020) al cambiamento climatico.
Freeman è stato direttore della rivista Granta, ideatore di Lithub, il sito che molti considerano il New Yorker di Internet, ed è tra i fondatori di Freeman’s, rivista letteraria tematica che esce con cadenza annuale e ogni volta incassa recensioni entusiastiche.
Saggista prolifico, è considerato un maestro della forma antologica e questo lavoro non fa eccezione. Il libro raccoglie 36 contributi di scrittori più o meno noti che raccontano l’esperienza di vivere in America. In queste pagine s’incontrano Joyce Carol Oates, Sandra Cisneros, Richard Russo, Kiese Laymon, Chris Offutt, Roxane Gay, Eula Bliss e tanti altri.
Il risultato è un racconto collettivo che ricrea la complessità di un paese alle prese con tensioni razziali, sociali ed economiche difficili da decifrare – un testamento al sogno americano e al tempo stesso un grido di battaglia. “L’America è spezzata”, scrive Freeman nell’introduzione. “Non c’è bisogno di dati statistici per rendersene conto. Basta avere occhi e orecchie e ascoltare i racconti che si sentono in giro”. Basta uscire di casa per vedere “strade dissestate, scuole sovraffollate, poliziotti con i nervi a fior di pelle, gruppetti di senzatetto, a volte vere e proprie tendopoli, a due passi da zone commerciali con negozi che sono sempre meno a portata di tutte le tasche e somigliano sempre più a baluardi del benessere”.
Il libro è uscito negli Stati Uniti nel 2017 e per certi aspetti rinvia all’elezione di Trump – a partire dall’autocritica degli intellettuali liberal. La sostanza del quadro generale non è però mutata. La pandemia ha semmai esacerbato le diseguaglianze e l’inflazione oggi sta completando l’opera: i ricchi si arricchiscono (Elon Musk ormai vale almeno 200 miliardi) e i poveri annaspano, lavori un tempo sicuri diventano precari e la gentrificazione inghiotte le grandi città e i suoi abitanti.
La storia di Alex Nieto è anche questa storia. A San Francisco, le nuove ricchezze generate da Silicon Valley hanno spinto i valori degli immobili alle stelle: il prezzo medio di un’abitazione ha raggiunto il milione di dollari. I lavoratori della new economy stanno scacciando i residenti di lunga data anche da quartieri come Mission, un tempo riservati ai poveri. Insegnanti, infermieri, impiegati, giovani – la linfa della città – se ne vanno. È una lotta per la sopravvivenza e le vittime più evidenti sono gli homeless accampati a migliaia sotto i ponti, nelle aiole, a bordo strada.
In questo scenario, Alejandro, figlio di immigrati messicani, è diventato un intruso. Il tessuto sociale del suo quartiere si è sfilacciato, nessuno conosce più i vicini e ciascuno fa per sé. A chiamare la polizia è una coppia gay che lavora nel marketing e si è trasferita in zona da poco. Non conta che il giovane viva lì da sempre, abbia lavorato con i ragazzi del rione, sia diplomato al college, faccia la guardia giurata in discoteca e sogni di entrare in polizia. Ai loro occhi è solo un giovane dalla pelle scura – un potenziale pericolo.
Il saggio di Solnit smonta i meccanismi della vicenda senza cedere alle scorciatoie o alla retorica. Ed è questa la sfida che guida l’antologia, scrive il curatore Freeman: creare un nuovo quadro di riferimenti che vada oltre i numeri e le statistiche e contrastare quella cultura dell’irrealtà che nelle teorie del complotto e nelle fake news ha trovato l’espressione più terrificante.
Ecco allora il fratello di Sara Smarsh che per sbarcare il lunario dona plasma – fanno 50-100 dollari a donazione ed è un’industria che non conosce crisi. Lo sapevate che il 60 per cento del plasma usato nel mondo viene dagli Stati Uniti? Ecco le nanny di Edwige Danticat e Patricia Engel che arrivano a Miami dal centro America e la considerano la loro patria, mentre per i bianchi l’idea sempre più si lega all’esclusione e alla purezza razziale.
Ecco la razza a segnare il confine di uno svantaggio abissale, come racconta lo scrittore afroamericano Kiese Laymon ricostruendo le vicissitudini di un amico condannato per droga a una pena esorbitante rispetto ai bianchi. Ed ecco l’altra faccia del “privilegio bianco”.
In un saggio potente, Richard Russo riflette sulla rabbia dei maschi bianchi americani. C’è poco da stupirsi, nota, se stretti fra disoccupazione, precariato, perdita di ruolo e identità hanno trovato in Trump uno specchio maligno – chi altri è riuscito a vederli? “Chi è venuto dopo Steinbeck e gli altri grandi narratori che hanno raccontato la classe lavoratrice americana?”.
Se molti degli autori di quest’antologia sono una novità per il lettore italiano, ancora più sorprendente è da questo punto di vista la raccolta Donne d'America. Curata da Giulia Caminito e Paola Moretti (traduzione di Paola Moretti e Amanda Rosso), raccoglie diciotto racconti di scrittrici vissute fra il 1850 e il 1950, alcuni mai pubblicati o tradotti in Italia, illuminando uno spaccato letterario spesso trascurato.
“Tutte le chiese letterarie italiane hanno i ceri accesi presso gli altari di Jack London, di Herman Melville, di Mark Twain, di Francis Scott Fitzgerald (e molti altri); a loro si scrivono lettere d’amore, in forma di racconti e saggi, a loro si dedicano eserghi a inizio romanzo”, notano le curatrici. “Quanta letteratura italiana ha preso da questi uomini, dagli statunitensi, dalle loro vite morti miracoli, per mangiarseli, farne carne della scrittura: tanta, tantissima. E intanto le donne?”.
A partire da questo interrogativo, il libro restituisce autrici e scenari che s’imprimono nella memoria. C’è Kate Chopin, che nel 1899 fa scandalo per la sensualità del romanzo Il risveglio ed è poi dimenticata fino agli anni Sessanta. Il suo La storia di un’ora, in cui una donna muore di gioia appena scopre che il marito è sopravvissuto, è un piccolo capolavoro.
Ci sono Zitkala-Sa che racconta i primi giorni dei bambini nativi americani nelle scuole dei bianchi; Charlotte Perkins Gilmore, autrice di uno dei racconti più inquietanti della letteratura americana, La carta da parti gialla. E ancora, Susan Glaspell che porta in scena una desolata fattoria alla periferia d’America e la muta solidarietà delle sue donne; Rebecca Harding che descrive la vita grama nelle ferriere e le più famose Edith Wharton, Willa Cather e molte altre.
Alcune sono state autrici di best seller. Altre, come Zora Neale Hurston, oggi considerata una delle madri della letteratura afroamericana, in vita hanno stentato a trovare pubblicazione. Tutte, come mostrano le tracce biografiche che chiudono il libro, sono state donne indipendenti, creative, protagoniste del loro tempo che meritano la nostra piena attenzione.
Nella cultura americana le antologie spesso sono state preludio a una scoperta o riscoperta. Fra gli esempi più noti, The Black Book, curato da Toni Morrison, che ripercorre la storia degli afroamericani attraverso un collage di testi, foto e documenti. L’editore Random House esita a pubblicarlo. “Non sapevano come venderlo”, racconterà la scrittrice in un’intervista al New Yorker. Esce nel 1974, diventa un best seller e resta un testo fondamentale.
Sessant’anni prima, il movimento per i diritti dei lavoratori aveva trovato espressione in un’altra raccolta, The cry for justice, curata da Upton Sinclair, con 5 mila testi di intellettuali e attivisti. E negli anni Ottanta sarà un’antologia, This bridge called my back, a cura di Gloria Anzaldúa e Cherrie Moraga a illuminare la realtà delle donne di colore rivendicando un nuovo femminismo.
Allo stesso modo, la collezione di voci che animano Racconti di due Americhe e Donne d'America rappresenta l’antidoto perfetto alle semplificazioni e ai luoghi comuni che spesso segnano il racconto degli Stati Uniti e rappresentano un osservatorio formidabile sul futuro. A volerla leggere davvero, la morte di Alex Nieto, nel 2014 a San Francisco, non suona più così esotica e distante – basta scorrere certe cronache di casa nostra.