Colori 7. Storia del porpora e del malva

20 Agosto 2022

Qual è il colore del potere? La porpora. Nella chiesa di San Vitale a Ravenna il mosaico che raffigura l’imperatore Giustiniano I è composto di tessere di un materiale inorganico purpureo, così anche l’imperatrice Teodora: porpora bordato d’oro. Si tratta della porpora di Tiro il cui segreto fu custodito dai Fenici, che a partire da millecinquecento anni prima della nascita di Cristo accumularono enormi ricchezze tingendo le stoffe indossate da nobili e imperatori di Roma. Il porpora, colore magico, ha confini imprecisati: è rosso, scarlatto, violetto, turchino o rosa-violaceo.

Come l’oro contiene la luce chiara, così la porpora custodisce la luce scura. John Gage lo definisce il colore più richiesto dagli antichi e insieme il colore più impuro. La seduzione viene dalla sua natura cangiante dovuta alla diffrazione della luce provocata dalle screpolature del sottile strato di colore sulla fibra del tessuto. Per fornire il manto ai potenti i Fenici e i loro successori hanno ucciso nei secoli milioni e milioni di molluschi, due gasteropodi da cui si ricavavano poche quantità di pigmento: il Thais haemastoma e il Murex brandaris.

I fluidi di questi crostacei si mescolavano, poi venivano messi in un contenitore con urina stantia, e il tutto lasciato fermentare per dieci giorni prima di immergerci le stoffe. Il mondo classico vedeva nel Sole dell’aurora e in quello del tramonto la porpora, simbolo di regalità e colore del sangue. Sole, sangue e vita sono per loro una triade inseparabile. Nel passato il potere conosceva due colori: la porpora e il verde, due culture differenti.

Il segreto della porpora, durato quattro secoli, si perde con la presa di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453. Poi nel 1856 uno sconosciuto biologo marino francese, Henri de Lacaze-Duthiers, scopre il Murex e la sua capacità di colorare. Questo è anche l’anno in cui un giovanotto inglese, William Perkin, produce in laboratorio il colore che dà il via alla chimica organica delle tinte moderne, il malva: prima tintura all’anilina, colore artificiale derivato dal carbone.

Cinquant’anni dopo esisteranno duemila colori artificiali, tutti discendenti dal lavoro pioneristico di Perkin, che agli inizi aveva colorato solo lana, seta, cotone e lino. Ora tocca ai capelli delle signore, ai salsicciotti dei ristoranti, ai dolci delle pasticcerie, alla carta, alla pelle, all’avorio, alle piume, ai vimini, e persino ai prati: dopo Perkin tutto è colorato artificialmente. Non solo questi oggetti, poiché con i derivati del carbone vegetale, da cui è partito il chimico inglese, trasformatosi poi in industriale per sfruttare la sua invenzione, s’inaugura la stagione dell’immunologia e quella della chemioterapia.

In un suo libro Simon Garfield ha raccontato la storia di questa scoperta, che ha cambiato il nostro mondo. Fino ad allora la più popolare tintura veniva dalle cocciniglie: il color cremisi ottenuto da un insetto infestante che si trova in Messico e che nel XVI secolo gli spagnoli hanno introdotto in Europa con grandi profitti.

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Prima di Perkin le più diffuse tinture vegetali sono poi la robbia e l’indaco; su tutto trionfa il rosso-viola della porpora, che non appartiene ai colori spettrali, scrive Gage, colore considerato più una materia che una tinta nel corso del Medioevo. William Perkins è un giovane dotato; introdotto a quindici anni nel laboratorio del City of London College of Chemistry sviluppa le ricerche di August W. Hoffmann lavorando sul catrame di carbone per trovare la sintesi chimica del chinino, il principale farmaco contro la malaria, fino ad allora estratto da un albero sudamericano.

Passando dal piccolo chimico della soffitta di casa a quel luogo prestigioso, lavorando con l’anilina, produce un liquido viola luminoso, che prima chiama “porpora di Tiro” e poi con il nome in francese d’una pianta, mauve, dalle sfumature violacee. Con lui la chimica del colore non procedette più a tentoni, ma si trasformò in una scienza esatta (P. Ball). La chimica della natura è così riprodotta in laboratorio dando inizio alla supremazia delle tinture sintetiche su quelle naturali. Manlio Brusatin ha spiegato che da lì comincia un modo diverso di vedere i colori, dal momento che c’è un modo nuovo di produrli.

Niente più estratti di organismi viventi – piante e animali –, tutto ora deriva dalla moderna industria chimica. Scompaiono le antiche tintorie del passato, un mestiere che aveva attraversato i secoli. La storia del malva anticipa la storia di tutti i colori seguenti: immediato successo e altrettanto rapido declino. Nessun colore è più il colore per eccellenza. La cosa curiosa è che proprio il colore che più s’avvicinava al colore principe dell’antichità, tinta regale, decreta la fine di quel passato e l’inizio della nuova epoca.

Nel 1857 scoppia la mania del malva a Parigi; l’anno dopo è la volta di Londra. L’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, trasmette alla regina Vittoria la passione del mauve: per il matrimonio della figlia Vittoria indossa, scrivono i giornali dell’epoca, un ricco velluto malva (lilla). Nel 1859 la rivista Punch, afferma che Londra è affetta dal “morbo del malva”.

Poi tutto cambia. Nel Ritratto di Dorian Gray (1891) Oscar Wilde scrive: “Non fidatevi mai di una donna che indossa il malva, qualsiasi sia la sua età”. Sono passati pochi anni e il colore violaceo è passato dall’indicare frivolezza a denotare lutto. Eppure non sparisce mai del tutto. Negli anni Settanta del XX secolo il malva torna nel negozio di Barbara Hulanicki, detta Biba, a Londra: colore sensuale, decadente e proibito.

Nel medesimo periodo in Giappone non lo si può facilmente indossare, dato che è associato alla regalità. Storia del colore e storia delle industrie chimiche s’intrecciano in Europa. La Bayer inventa l’aspirina partendo dall’acido salicilico prodotto intermedio nel processo di fabbricazione dei coloranti, poi crea l’eroina; la BSF, partendo dalla ricerca sull’ammoniaca, produce i fertilizzanti moderni con Fritz Haber, l’uomo che realizza i gas velenosi della Prima guerra mondiale; fino ad arrivare alla IG Farben che produce coloranti, ma anche gomma sintetica e benzina, ovvero l’impresa per cui forzatamente lavorò il chimico Primo Levi ad Auschwitz, la medesima azienda realizza il Zyklon B diffuso nelle camere a gas.

Accanto all’industria chimica quella tessile diventa sempre più importante; sono legate, eppure una è discosta dall’altra, perché il colore diventa un problema di moda e la moda è cangiante per natura, instabile e insieme imprevedibile. La storia del colore non finisce qui, ma dal colore si passa ora ai colori, tutto al plurale, come le moltitudini che lo consumano ogni giorno in modi sempre diversi.  

Per saperne di più

La porpora. Realtà e immaginario di un colore simbolico, a cura di Ottone Longo, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti raccoglie gli atti di un importante convegno su questo “colore”; S. Garfield, Il malva di Perkin, Garzanti è un libro brillante, divertente e preciso scritto da un grande giornalista “scientifico”; P. Ball, Colore. Una biografia, Rizzoli è un libro fondamentale da leggere lentamente e con la matita in mano; M. Brusatin, Storia del colore, Einaudi è un intramontabile saggio sul tema; J. Gage, Colore e cultura. Usi e significati dall’antichità all’arte astratta, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato è un libro che bisognerebbe possedere, come anche i successivi pubblicati da Gage sull’argomento; contiene bellissime illustrazioni ed è stampato in modo esemplare.

Questo articolo è stato pubblicato in forma più breve su “La Repubblica” che ringraziamo.

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