Cuore di tenebra

12 Giugno 2015

Mettiamo che abbiate un libro fotografico che si presenta in questo modo: in copertina un’immagine di una forma su fondo nero che potrebbe essere un fuoco d’artificio o un’esplosione nella notte, troppo filamentosa per far pensare a un’ameba e a molte altre cose in realtà, a me fa pensare anche a un occhio, a quello con lunghe ciglia di Man Ray, a quello tagliato da Buñuel nel Chien andalou con la nuvola che contemporaneamente attraversa la luna. Autore e titolo lo trovate solo sulla costa. L’autore facciamo che non lo conosciate, il titolo è It Seemed As Though the Mist Itself Had Screamed (Sembrò che la foschia stessa si fosse messa a urlare). Ha tutta l’aria di essere una citazione e infatti trovate facilmente che viene da Cuore di tenebra. Quindi non è un occhio, casomai un cuore – anche se la metafora si arricchirebbe dal mantenere tutt’e due i termini – e l’esplosione è un urlo.

 

 

Dico subito che la drammaticità della metafora conradiana è completamente opposta alla tonalità del libro che aprirete. Dentro vi troverete fotografie che sono tutt’altro che urli, all’apparenza – per giocare ancora con il titolo: “sembrò” – anzi immagini di oggetti, perlopiù singoli, spesso su fondo uniforme e neutro, centrati, quasi sempre perfettamente messi a fuoco, senza sfocature o altri effetti espressivi. La foto stessa di copertina non lo è, mi pare. Anche se ora le esplosioni possono far venire in mente quelle di Apocalypse Now, non c’è qui niente di quell’atmosfera. Resta che il libro si propone come un’esplorazione del cuore di tenebra, o propone le immagini come le scintille uscite da quel cuore.

 

 

Poi aprite il libro e dopo il frontespizio, trovate una pagina con un elenco, brevi righe giustificate centrate, suddiviso a gruppi separati da un segno. Sono dei titoli, evidentemente delle immagini che seguiranno. Sono in inglese, traduco il primo gruppo: Di vari esperimenti domestici. Qualche maschera di Papua Nuova Guinea. Il sacro rombo dei primitivi, la mistica tavoletta dei Traci e dei misteri orfici, il potente amuleto erotico ellenico. Il secondo gruppo: Il sotterraneo. Altri esperimenti e “Nelle foreste del Borneo” viaggi e rilevamenti di Odoardo Beccari. Studio di conduttori. Studio di torso. Del guardare e dello strabismo. Busto di scimmia. E così via. Insomma, cose varie, non immediatamente riconducibili a un’omogeneità e neanche a un insieme coerente. Si viene così a scoprire che le esplosioni, quella sulla copertina e altre che ricorrono lungo il libro, sono “esperimenti domestici”, ma né questo né gli altri titoli aiutano molto, anzi sembrano un elenco più del tipo borgesiano reso famoso da Michel Foucault. Tanto che Kersten Geers, autore di uno dei testi inseriti tra le immagini, ma che non le suddividono secondo le scansioni dell’elenco, assimila le immagini a una sorta di vocabolario o materiale di base per la composizione di un racconto o altro, mentre Francesco Zanot, autore di un altro testo, propone come chiave d’insieme l’idea di collezione.

 

L’indicazione è giusta e pertinente, sia perché appartiene a Stefano Graziani – questo il nome dell’autore –, il cui primo libro era proprio sulla “tassonomia”, sia perché lo inserisce in quell’ampio dibattito internazionale che ruota intorno alle problematiche dell’archivio, dell’Atlas, della serie, del progetto, della memoria, della narrazione, della navigazione, nonché della “svolta iconica”, ovvero della peculiarità che il visuale rivendica sul verbale, la non linearità, il gioco dei rimandi, analogie, associazioni, il rovesciamento dei tempi e la frammentazione degli spazi e così via. La sequenza delle immagini del libro dunque gode del principio non assimilabile a quello di una raccolta ordinata secondo un programma stabilito cioè in precedenza, ma, è la differenza tra l’archivio e la “collezione”, è una sorta di organismo che cresce su se stesso, che si modifica con l’inserimento di ogni nuovo “pezzo”, che riscrive – il termine è di Jean-François Lyotard là dove spiega che il postmodernismo è la riscrittura del modernismo, rifacendosi all’anamnesi, che Freud distingue dalla ripetizione e dalla rimemorazione – il proprio senso a ritroso, anzi après coup. Così nel libro, per esempio, si incontreranno delle immagini ricorrenti, tra cui quelle degli “esperimenti domestici”, ma ogni volta diverse e a partire da questa diversità ogni volta si ricostruiranno altri rimandi per le immagini che nel frattempo si saranno viste.

 

 

Ora però nessuno dei commentatori sembra far caso al fatto che c’è un testo sotteso e un testo particolarmente significativo, Cuore di tenebra – e che non è la prima volta perché anche il precedente libro di Graziani, Under the Volcano and Other Stories, si riferiva a un romanzo noto –, tanto più che l’artista lo inserisce, in forma di pagina fotografata, quella della citazione del titolo, come una – anzi due: in inglese e in traduzione italiana – delle immagini, rilanciando il rapporto tra immagine e testo, forse addirittura rovesciandolo. Azzarderemo da questo punto di vista l’indicazione del titolo del libro come l’urlo delle immagini nella foschia del testo, ovvero che le immagini sono il cuore di tenebra della narrazione.

 

 

Conoscendo anche poco Cuore di tenebra, ecco che allora si ritrovano dei riferimenti vaghi ma sicuri: l’esotismo, la magia, la foresta, le scimmie, la navigazione, le rovine… ma certamente in un modo del tutto diverso dal racconto originale. Potremmo dire che Graziani ha “riscritto”, nel senso indicato sopra, il romanzo di Conrad, cioè attingendo alla propria memoria, al proprio repertorio (alcuni degli oggetti, se non delle immagini, li ritroviamo in altri suoi libri), a sé, insomma, per attualizzare – ma non nel senso dell’attualità – il testo di partenza, a costo di non essere più riconoscibile.

 

Ora, non staremo noi a ripercorrere tutto, testo e immagini, per venirne a capo, ma la questione, se prendiamo sul serio la metafora del “cuore di tenebra”, è profonda e primaria: qui si mira al cuore tenebroso della questione, l’“orrore”, come si ricorderà, così come in Under the Volcano era appunto il nucleo incandescente e ribollente. Ma dell’orrore non sembra esserci qui grande traccia, anzi, come dicevamo, le immagini sono calme, “domestiche”, quasi dei readymade, dei prelievi distaccati di ciò che di mano in mano serve.

 

 

Ora resta da interpretare davvero: che l’orrore oggi sia tutto domestico, fatto di oggetti e libri che sostituiscano, come simulacri, il viaggio vero e avventuroso? Che le riproduzioni e i souvenir sostituiscano la realtà? Che della civiltà siano rimaste solo le rovine? L’ultima immagine del libro è la fotografia di un “dipinto firmato P. Cézanne”, dice la sua “didascalia”. Cézanne, uno dei Kurtz della modernità, l’artista incompreso ritiratosi… a casa propria, non in qualche luogo remoto e inaccessibile: che sia questa la chiave?

Non sappiamo, siamo indecisi. Under the Volcano finiva con l’immagine dello stesso pappagallo con cui si apriva, che ora ci voltava le spalle. È dunque la ripetizione ora simulacrale, è questo l’orrore contemporaneo, il cuore di tenebra dell’oggi?

 

 

Stefano Graziani, It Seemed As Though the Mist Itself Had Screamed, Galleria Mazzoli Editore, Modena 2014

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