La danza cubista di CollettivO CineticO
Matematica e poesia governano le azioni, gli spettacoli, le performance di CollettivO CineticO. Insieme a una rara sensibilità per incrinature, delicatezze, asperità, desideri e sogni dell’adolescenza e della giovinezza. La compagnia ferrarese diretta da Francesca Pennini (coreografa e danzatrice) e da Angelo Pedroni (drammaturgo e trainer) esplora confini e smarginature tra spettacolo e comportamento, disegnando per tappe con le sue creazioni una mappa estesa di dilatazioni delle vecchie categorie di teatro e danza. In questo senso si presenta, oggi, come una delle compagini che di più tiene viva una pratica reale di sperimentazione, altrove abbastanza dimenticata.
Con <age>, in diversi anni, con vari interpreti, ha esplorato l’adolescenza (il gruppo cambiava man mano che i suoi elementi crescevano). Con un gruppo di giovanissimi fino ai 18 anni ha intrapreso un percorso di formazione all’improvvisazione che ha portato a uno spettacolo indimenticabile. In esso i ragazzi in scena erano chiamati a rispondere con invenzioni basate su un codice appreso nel processo di apprendistato a situazioni che esploravano caratteri, relazioni, atteggiamenti nei confronti degli altri e del mondo.
CollettivO CineticO, Age
In attesa di lanciarsi nell’impresa futura della produzione di un vero e proprio classico del balletto, prima di una personale che in primavera Emilia Romagna Teatro dovrebbe dedicargli a Bologna, CollettivO CineticO ha replicato due lavori recenti nel teatro Claudio Abbado della sua città, Ferrara. Ed è stato un gran successo, salutato da una notevole partecipazione di pubblico giovane, entusiasta, solidale, curioso, una testimonianza dell’affetto per questa compagnia che lavora in residenza proprio presso quel teatro comunale, dove ha svolto anche un laboratorio per universitari basato sugli sguardi.
10 Miniballetti
Lo stile di danza di CollettivO CineticO potremmo definirlo cubista. Prende una situazione e la analizza da ogni punto di vista, nelle sue componenti tecniche, nei numeri che la compongono (tante inspirazioni, tante espirazioni, tanti passi, tanti fari, tante corde usate in scena eccetera), nei movimenti che crea. E poi, quando ha esplorato, disteso, contratto, moltiplicato il corpo del performer, quando ha suggerito le leggi fisiche che sottendono il singolo movimento (viscosità, entropia, energia…), dopo che ha deformato la figura e ne ha mostrato le infinite possibilità per via di piegamenti, torsioni, incastri, fa volare il corpo sulla musica, preferibilmente barocca, in romantiche figure che gareggiano con la leggerezza del vento e con il mistero della permeabilità dello spazio.
CollettivO CineticO, Miniballetti
Questo è quanto avviene in 10 Miniballetti, creazione tutta coreografica, firmata e interpretata da Francesca Pennini, una danzatrice di piccola statura, di volto squadrato come quello di un idolo africano, incorniciato da un caschetto di capelli altrettanto geometrico: lei stessa una figura del Picasso cubista. Geometria, fisica e fantasia, capacità di creare proiezioni dell’immaginazione, stanno alla base della sua arte. Che si fonda su una tecnica fenomenale, capace di trasformarne la figura in una specie di “grillo” medievale, quegli emblemi in cui le gambe sembrano attaccate alla testa. Lei, dichiarando l’azione che fa, come in una seduta di anatomia, o di ginnastica appunto, inizia a piegarsi e poi arriva a posture impossibili, che ti sembrerebbe di poter riprodurre facilmente, tanto l’artista le ha raggiunte con semplicità che somiglia a sprezzatura.
I Miniballetti, e qui entra un altro elemento della scomposizione-ricomposizione su un altro piano del cubismo CineticO, erano brevi coreografie annotate su un quadernetto dalla Pennini bambina e pre-adolescente, a testimoniare una vocazione precoce coltivata poi con puntigliosa, disciplinata, bruciante passione. Ora la danzatrice realizza quei sogni di bambina: e sembra che abbia studiato, tutti questi anni, danza, ginnastica, solo per materializzare fantasie, desideri infantili.
CollettivO CineticO, Miniballetti, ph. Stefano Partisani
Sullo sfondo del palco c’è un mucchio di piume. Anche qui siamo in qualcosa che agita l’artefice fin dalla più tenera età: la fobia per gli uccelli. Arriverà, dopo vari esercizi che virano in invenzioni coreografiche di alta poesia, un drone dondolante a suscitare una placida bianca tempesta, ad agitare quelle piume, a farle volare, volteggiare, a riempire lo spazio, mentre anche lei, la danzatrice, si trasformerà in un essere in volo, un agitare ali e sollevarsi in aria prima sezionato nelle sue componenti ancora con piglio cubista o alla Muybrigde, poi ricomposto in immagini di leggerezza e ascensione. Tornerà, la Pennini (già, anche il cognome ha a che fare con piume, volo, uccelli: quanto di predestinato sembra inscritto in lei!), dismessa la tutina rossa degli esercizi, a denudarsi e a cospargersi di nero simile a pece e suggerirci, tra il fumo che si solleva, nella nebbia, l’impiumatura, per un volo definitivo.
Danza piena di ironia, di tecnica puntigliosa e raffinatissima, di sfide immaginative, quando il corpo si lancia e allora dei numeri elencati rimane solo un vortice mentale, la meraviglia per la quantità che fa il salto imprevisto nella qualità, dimostrando che l’arte vive di salti, di precipizi, di accelerazioni impreviste, improvvise, tese sempre in equilibrio immaginale sull’abisso.
CollettivO CineticO, Miniballetti, ph. Angelo Pedroni
Talent show Amleto
Il secondo lavoro mostrato è un talent show e una parodia, nientemeno che di Amleto. È uno di quegli spettacoli nei quali CollettivO CineticO sonda i limiti dello spettacolo continuo nel quale siamo immersi, decifra la comunicazione sovraesposta che ci avvolge, forse verso il silenzio. Il termine parodia lo uso nel suo senso più filologico: di prendere una traccia, un motivo musicale, e spostarlo in un altro contesto. Qui, in Amleto, quattro spettatori (cinque in una precedente versione) reclutati via Facebook si cimenteranno in alcune prove per eleggere un prence di Danimarca, per essere o non essere Amleto. Evidentemente si mescola la contemporanea civiltà social media con la più nota delle opere teatrali, per evitare di affrontare il già tanto variamente dissodato Amleto, ovvero per presentarlo come uno dei tanti calchi vuoti nei quali ci muoviamo, con la nostra opinione liquida, fatta di venti, rumors e sentiti dire, di icone spesso bidimensionali. Per ritrovarlo come dubbio e inquietudine metodica?
Tre carnefici-ballerini, in divisa da boia, pantaloni neri, torso nudo, maschera (da scherma) nera, legati a corde elastiche, introducono quattro concorrenti mascherati con sacchetti di carta con buchi per gli occhi. Intermezzi di danza su brani di Shostakovich intermezzano le prove che elimineranno, uno alla volta, i contendenti, lasciando in campo solo un vincitore.
CollettivO CineticO, Amleto, ph. Marco Davolio
Gli aspiranti Amleto dovranno riprodurre sequenze gestuali tratte dalle linee di azione della tragedia, ripetere brani di un monologo, morire come i personaggi della vicenda eccetera. Una voce fuori campo (della Pennini) li guida, ne racconta le biografie, di studenti, di apprendisti attori, di lavoratori, di giovani incuriositi da questa buffa gara. Incita il pubblico ad applaudire: e saranno proprio i battimani, tramite un applausometro, a scegliere chi scartare e il vincitore. Alla fine costui potrà sentire un brano dell’Amleto interpretato da un grande attore, selezionato in una playlist proposta dalla solita voce fuori campo. Nella recita ferrarese era un altro grande sottrattore di scena a udirsi, Carmelo Bene, con il suo Amleto da Shakespeare a Laforgue.
È una lezione sul modo di avvicinare i classici nell’epoca di Amici della De Filippi e X-Factor? È una (piccola) provocazione? È un balletto sull’assenza o un ritratto delle nuove generazioni, insofferenti della noia accademica, pronte a volgere tutto in gioco o intrattenimento paratelevisivo? Credo che sia un continuo spostare l’attenzione: dichiarare che gli oggetti, anche quelli di culto, si muovono nei nostri immaginari; in continuazione dobbiamo scuoterli, ripercorrerli, reinventarli misurandoli ai modi di vivere e attraversare il presente. Senza dimenticarli. Perché magari aprendo vuoti nelle (poche) sicurezze che abbiamo, moltiplicando i piani, anche distendendoli tutti contemporaneamente su una superficie, rendiamo caleidoscopico il nostro modo di guardare e di sentire. Tra tecnica, geometria, meraviglia dell’acrobazia e invenzione pura. Perché natura facit saltus, grazie all’arte capace di misurarsi, di incidere con leggerezza, rigore, ironia e fantasia con la contemporaneità.