Le chiavarine / 23 ore a Chiavari

15 Aprile 2018

La pianura è da giorni avvolta nella nebbia. Così, grande è la delusione, passati i tunnel sotto l'Appennino, di non trovare il sole che splende sulla Riviera. Nel nostro immaginario bassaiolo in Liguria c’è il sole tutto l'anno, la temperatura è mite e le fioriture di gennaio annunciano la primavera. Il cielo di Chiavari è invece coperto di nuvole, ma un gruppo di amici mi attende in stazione e il cuor si rallegra. Destinazione Levaggi, uno dei due produttori superstiti di sedie, le "chiavarine", che hanno reso la cittadina ligure celebre nel mondo. C'è una storia, forse una leggenda, dietro la nascita di queste sedie superleggere: l'inventore si chiama Giuseppe Gaetano Descalzi, detto Campanin, perché figlio del campanaro, che nel 1807 produsse la prima Chiavarina, ma a incoraggiare un’innovazione tecnologica che nasceva dai nuovi bisogni sociali fu la Società Economica di Chiavari, istituzione tipicamente illuminista di promozione di arti e mestieri, nata a fine Settecento e ancora oggi attiva. Anzi, ci andremo tra poco.

 

I legni utilizzati provengono dall’entroterra e sono soprattutto ciliegio selvaggio, acero, faggio, mentre la seduta, a fili intrecciati, è di salice. Qui davvero forma è funzione e il risultato è un oggetto di elegantissimo, puro, design, dove il confine tra arte e artigianato – come spesso in Italia – non è facilmente tracciabile. Se ne accorse quel genio di Gio Ponti che la mise in commercio, col nome di Superleggera e prodotta da Cassina, a metà degli anni Cinquanta. Anche se è sabato pomeriggio nel laboratorio di Levaggi qualcuno lavora e un rappresentante della terza generazione ci illustra tutte le caratteristiche della mitica sedia e delle sue varianti. A seguire visitiamo la sede di quello che sarà il Museo della sedia superleggera. È un bellissimo laboratorio dalle parti dello stadio – mentre passiamo si odono i boati dei tifosi dell'Entella che da un paio d'anni è in serie B – che la vedova di un produttore, Guido Rocca, non ha voluto vendere ma ha donato alla Società Economica per valorizzare la storia di questa illustre tradizione. Mai luogo più adatto!

 

I macchinari sono ancora lì, così come i campionari e l’aria di un laboratorio dove si è appena smesso di lavorare. Ci soffermiamo sul futuro del nascente museo. Tra di noi c’è Enrico Morteo, storico del design, che ne inquadra le possibilità. Insomma sogniamo, ma la concretezza di Raffaella e Maddalena sono certo che renderanno reali i nostri sogni. È arrivata l’ora di raggiungere la sede della Società Economica, sita in un bel palazzo nel cuore della vecchia Chiavari, tra le vie porticate e i carrugi. Una città che ha un illustre passato e che qui troviamo raccolto, ma la Società è anche un luogo di studio (sostituisce la Biblioteca civica che a Chiavari non esiste) e di organizzazione della cultura. Con Enrico dobbiamo parlare di Olivetti. Ce ne occupiamo da più di dieci anni, ne abbiamo parlato in giro per l’Italia e anche per il mondo. Insomma ci sentiamo come Gilbert Bécaud quando sta per intonare Et maintenaint. Esaurito il repertorio dei cavalli di battaglia ci aspetta una meritata cena. Vogliamo mangiare ligure, naturalmente, ma un po’ scherzando un po’ no, le nostre ospiti dicono che ci aspetta uno chef egiziano. Il nome Taggeine trae ulteriormente in inganno, ma vuol dire semplicemente tagliatelle in ligure e Samir ha imparato in fretta a cucinare gli antipasti di mare, le paste e soprattutto il pesce. Il mio dentice era ottimo e il Vermentino è scorso senza nessuna avarizia. 

 

Chiavari non si esaurisce in un giorno. La domenica mattina splende il sole. Dopo una colazione d’obbligo al Gran Caffè Defilla e l’acquisto dei Sorrisi di Chiavari (cioccolatini con liquore che hanno un’immediata funzione antimugugno), non riesco a visitare l’impressionante allée del cimitero monumentale progettato da Gaetano Moretti, mi soffermo invece davanti alle case nouveaux riches 1900, le ville eclettiche dei chiavaresi che avevano fatto fortuna in Sud America (un’emigrazione ricca, fatta di commerci), per poi proseguire sul lungomare, separato dalla città, come quasi ovunque in Liguria, dalla ferrovia. Se devo dire la verità a me Chiavari è piaciuta proprio perché è poco una città di mare, nonostante la Colonia Fara, inaugurata da Mussolini nel 1938, e oggi rimessa a lucido, il simpatico quartiere di case degli anni Venti, e una temperatura che invitava a sdraiarsi sulla sabbia. Era tempo però di tornare nelle nebbie cittadine. 

Il mare non bagna Chiavari?

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