Un nome al contrario. Bruno Pizzul

6 Marzo 2025

È morto Bruno Pizzul, professione telecronista sportivo. Per trent’anni di televisione la sua voce è stata inconfondibile. È morto il 5 marzo a soli tre giorni dal suo 87° compleanno. Era entrato alla RAI alla fine degli anni Sessanta, dopo un concorso per radiocronisti. Si trasferì dal suo Friuli – era nato a Udine l’8 marzo 1938 – a Milano che aveva già quasi trent’anni. Dieci anni prima era stato anche calciatore professionista. Centromediano altissimo (1 e 90, un gigante, soprattutto per quella generazione), piedi buoni ma poco dinamismo: con la maglia del Catania gli capitò di marcare Omar Sivori, con scarso successo. Poi solo piazze di provincia: Ischia, Sassari Torres e infine Udinese. Un ginocchio lo fece smettere. Si laureò in giurisprudenza e iniziò a insegnare a scuola, prima di vincere il concorso in RAI.
A Milano, come tanti friulani, mise radici. Come il suo amico Enzo Bearzot. Una casa la trovò in Corso Sempione, centro produzione RAI. Abitava non lontano, in via Losanna, e la gente lo vedeva girare sempre in bicicletta. Non prese mai la patente. Tra i tanti amici, uno su tutti, Beppe Viola, un fratello, un gemello diverso. 

Bruno Pizzul smentisce il famoso detto latino nomen omen. Pizzul, anzi piçul, in furlan, vuol dire piccolo. Bruno era un omone, se non di nome, di fatto. Ma soprattutto un grande. È stato il nostro vocabolario calcistico. Le parole delle sue telecronache erano un’opportunità, un’offerta. Magari non erano sempre a fuoco, a volte erano un po’ enfatiche, ma, come capita sfogliando un vocabolario, rappresentavano una scelta possibile. Se ne prendevano molte, se ne lasciava qualcuna. Ed era però un’offerta ricca da cui si imparava. Perché è facile imparare da quello più bravi. La TV, e la TV pubblica in particolare, un tempo era così. Serviva, anche e soprattutto, per imparare – le cose, le storie, l’italiano… - , imparare da quelli che erano messi lì apposta. Poi da un certo punto in poi la televisione ha voluto essere lo specchio del Paese, e allora amen. 
Adesso ogni partita è raccontata come se fosse la finale di Coppa del mondo intergalattico e pazienza – o maledizione! –  se il vocabolario è quello delle televendite, i gol come pentole, i dribbling come materassi, i cross come croste spacciate per un Picasso ritrovato.

Viola e Pizzul
Beppe Viola e Bruno Pizzul

La grandezza di Pizzul stava invece nella misura, proprio lui che era fuori misura nel nome e nel corpo. E la sua misura aveva trovato il perfetto complemento proprio nella smisuratezza del suo amico-collega Beppe Viola. Che una leggenda dice fosse stata la causa di un maldestro ritardo alla sua prima telecronaca. 8 aprile 1970, spareggio di Coppa Italia tra Juventus e Bologna, disputatosi al Sinigaglia di Como. «Dove vai a quest’ora», gli disse il Beppe. «È presto per andare a Como. Andiamo a mangiare u boccone prima». Bruno gli diede retta e in postazione, al Sinigaglia, ci arrivò che la partita era iniziata da un quarto d’ora. Meno male che la telecronaca andava in differita. Se la cavò con un richiamo della dirigenza, che, venuta a sapere del motivo del ritardo, gli consigliò di stare alla larga da certe frequentazioni. Bruno non ci fece caso. E con il Beppe passò forse i migliori anni della sua vita. Che passarono però troppo in fretta. Beppe Viola, che aveva un anno di meno di Pizzul, se ne andò a neanche 43 anni, il 18 ottobre 1982. 
In rete in queste ore gira una foto di loro giovanissimi, e bellissimi, e credo felici, seduti in tribuna stampa a guardare una partita. Ma lo erano stati anche tante volte con un tavolo di mezzo, sigarette, refosco e scopa d’assi. 
Chissà che come stato aspettare più di quarant’anni prima di rivedersi. Potrebbe essere andata più o meno così. 

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«Ciao Beppe, eccomi qui».
«Ciao Bruno, con calma, mi raccomando...».
«Guarda che sei tu te ne sei andato via prima, eh… Comunque ti ho portato questa boccia di tocai».
«Bravo, così si fa».
«Come si sta da 'ste parti?».
«Guarda, c'è di peggio. Qualche osteria passabile l'ho trovata. Di rosticcerie, però, non se ne parla».
«Ti ho portato apposta due etti di cotto...».
«... che quando è buono è meglio del crudo».
«E le carte?».
«Sèttes giò, che cominciamo».

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Bruno Pizzul
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