La sfida del teatro Franco Parenti

17 Settembre 2013

La Milano teatrale degli ultimi anni sta imparando a conoscere una nuova dimensione: il multisala. Due delle realtà più attive e incisive del territorio hanno trovato casa in sedi grandi e centrali: sono l’Elfo Puccini in corso Buenos Aires e il Franco Parenti in via Pier Lombardo. Proprio come al cinema, gli spettatori entrano nei modernissimi spazi condivisi della struttura, si fermano al bar per un bicchiere di vino o uno spuntino, e poi si accomodano nella sala dello spettacolo che hanno scelto. Ma forse non tutti si sono resi conto della piccola rivoluzione sotterranea messa in moto da questo nuovo assetto.

 

I due teatri hanno compiuto un percorso parallelo: nati entrambi nei primissimi anni Settanta, si sono progressivamente imposti come punti di riferimento per la città (ognuno con le proprie specificità) e hanno cambiato profondamente il panorama teatrale milanese. Ora l’approdo a un multisala permette di raggiungere una vasta fascia di pubblico, non troppo distante da quella del Piccolo Teatro: che cosa accade nelle programmazioni?

 

 

La sfida del Franco Parenti sembra quella di trovare inaspettate latitudini comuni tra pubblici apparentemente inconciliabili. Diamo uno sguardo alla nuova stagione, presentata mercoledì 11 settembre. L’abbonato più tradizionale trova pane per i suoi denti: ci sono nomi luccicanti (persino televisivi) come Leo Gullotta, Nicoletta Braschi, Alessandro Haber, Alessio Boni, Ennio Fantastichini. E non mancano certo i classici che attireranno le scuole: Shakespeare, Goldoni, Cechov, Platone.

 

Ma la vocazione del teatro di via Pier Lombardo – fin dal fortunato sodalizio di Franco Parenti, Giovanni Testori e Andrée Ruth Shammah – è sempre stata quella di valorizzare la drammaturgia d’autore; e anche oggi, sfogliando gli appuntamenti della stagione 2013/14, si ritrova questo fil rouge a legare anche proposte apparentemente eterogenee. Ci sono nomi di grande rilievo, che andrebbero considerati “neo-classici” ma che raramente approdano nelle stagioni dei teatri stabili: il romagnolo Raffaello Baldini, poeta celebrato ma drammaturgo troppo poco noto, qui con La fondazione, nell’interpretazione di Ivano Marescotti; il francese Eric-Emmanuel Schmitt, acclamato in tutta Europa e pressoché sconosciuto per lo spettatore italiano; Franco Scaldati, talento recentemente scomparso e ora interpretato da Enzo Vetrano e Stefano Randisi (Totò e Vicè).

 

 

La sorpresa è scoprire, accanto a questi autori affermati, molti talenti emergenti: a firmare alcuni dei testi in programmazione al Parenti sono, tra gli altri, Cinzia Spanò (diplomata all’Accademia dei Filodrammatici), Davide Carnevali (classe 1981, formatosi con Laura Curino e con lo spagnolo Carles Batlle), Fabio Banfo (attore diplomato alla scuola Paolo Grassi), Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi (che con il loro Due passi sono hanno conquistato il Premio Scenario per Ustica 2011). Sono nomi di cui forse non si è ancora sentito parlare a sufficienza, ma che potrebbero diventare i protagonisti del panorama teatrale di domani.

 

Il Franco Parenti compie così una scelta doppiamente coraggiosa: in molti casi si fa carico della produzione, mettendo a disposizione spazi e risorse per la creazione dello spettacolo; e allo stesso tempo garantisce al suo pubblico che si tratta di prodotti teatrali interessanti e di buona qualità. La sfida, naturalmente, è che qualcuno tra gli abbonati tradizionali si lasci incuriosire e che esplori la categoria “Novità”, dando vita a un cortocircuito che dovrebbe essere l’obiettivo di ogni teatro.

 

Perseguendo proprio questo obiettivo, il Parenti ha presentato nello scorso maggio il festival Tfaddal: una settimana di brevi studi su Amleto firmati delle più note compagnie emergenti italiane. In occasione della conferenza stampa Andrée Ruth Shammah si è rivolta ai giovani gruppi coinvolgendoli nella sfida: “Non ho mai visto molti di voi. E neanche il nostro pubblico vi conosce: vorrei che imparassero a farlo”.

 

 

Il passaggio da emergente a emerso, da giovane promettente a professionista riconosciuto è nella cultura e nel teatro italiani una missione quasi impossibile. Ecco perché quando accade – e dove accade – è bello darne conto. Vale la pena menzionare, tra i buoni riscontri della scorsa stagione, almeno L’origine del mondo di Lucia Calamaro: il testo, una drammaturgia contemporanea di straordinaria originalità ed efficacia, ha conquistato un pubblico vasto ed eterogeneo e quest’anno – a confermare che si rilancia sulle scommesse riuscite – torna per una settimana di repliche.

 

Rischiare e impegnarsi nella formazione di uno spettatore più curioso e consapevole: è proprio questa l’essenza di ogni progetto di direzione artistica che si rivolga alla città. Un delicato equilibrio tra il rispondere alle esigenze del pubblico e il non accondiscendervi troppo, tra il conoscere il fruitore e provare, lentamente, a cambiarlo.

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