Le profezie e le torture della badessa
Quante storie ci sono nella Storia? In una delle lettere dal carcere indirizzate al figlio Delio, Antonio Gramsci scriveva che la storia gli piaceva “perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile […]”. Storia, quindi, di mondi, uomini donne e corpi, inciampi, errori, catastrofi. Eleonora Rai è una storica, ricercatrice presso l’Università di Torino: si è occupata di Storia Moderna, culturale e di genere. Saprà bene – questo emerge dalla lettura del suo ultimo libro, Peccato criminale (Einaudi 2024, pp.424) – che il grande privilegio di chi fa ricerca è la possibilità di incontrare l’altro, l’altra, gli altri, fra le maglie del tempo; di ascoltare la loro voce, talvolta di provare a riportarla alla luce.
Quella ricostruita in Peccato criminale è una storia piccola nel misterioso mosaico della Storia grande. Arcangela Pallotta, poi Maria Agnese del Santo Bambino, badessa del monastero di Montecastrilli, occupa queste pagine col suo bagaglio di vita, fede, peccati e accuse. È la sua versione quella che Rai cerca fra le carte, esplorando archivi col rigore e il rispetto della studiosa e costruendo un libro con la passione e la stoffa della narratrice.
Arcangela Pallotta nasce a Terni nel 1772 in una famiglia di dodici figli e con due genitori artigiani. Già da fanciulla è “spesso malata o in preda a sofferenze di ogni tipo, premessa e sintomo di santità. È, soprattutto, calunniata, accusata di intrattenere relazioni sospette con un dubbio personaggio, all’ombra di un portone.” I genitori desidererebbero per lei un futuro da moglie e madre: non esattamente un destino segnato come quello della monaca di Monza di manzoniana memoria, insomma. Ma Agnese teme lo sposalizio terreno, e si rivolge all’Addolorata per chiederle consiglio. “La Madonna ha, però, un ulteriore desiderio: che si faccia monaca a Montecastrilli. Ed è proprio san Francesco, con le stigmate ben visibili, ad apparire ad Agnese e comandarle di diventare sua figlia: di entrare, cioè, nell’Ordo Sanctae Clarae, le clarisse”. Le notizie sulla vita di Agnese provengono dalla Vita scritta dal suo penultimo confessore, Giovanni di Capistrano. È facile quindi intuire quale sia la difficoltà principale annidata nella ricostruzione di questa vicenda: quale affidabilità immaginare per la penna del Capistrano? È possibile supporre, per iniziare, che il riferito timore per le nozze terrene sia un espediente citato per preparare il terreno narrativo per quanto verrà scritto dopo: quello di Agnese con Cristo sarà descritto nei termini di un vero e proprio matrimonio celeste. “Agnese entra nel monastero delle cappuccine possidenti di Montecastrilli (diocesi di Todi) l’8 ottobre 1791. L’anno seguente veste l’abito religioso e professa i voti solenni nel 1793. E conferma di aver scelto Cristo come sposo, nella sua rappresentazione piú mascolina e regale”. Le nozze mistiche vengono celebrate nel giorno di Pentecoste del 1805: Agnese raggiunge uno stato estatico, perde i sensi, viene ammessa alla presenza della Madonna che l’ha scelta come nuora, si unisce in matrimonio a Gesù come molte prima di lei – fra queste, Caterina d’Alessandria tra il III e IV secolo. Esattamente come nel caso di Caterina, Agnese riceve in pegno da Cristo un anello nuziale, “pegno d’amore e simbolo di potere”: lo indossa per tre giorni e poi scompare. Si tratta del primo dettaglio di questa storia su cui Rai si sofferma con insistenza, e in effetti è un elemento che incuriosisce: “Il dono dell’anello nuziale significa l’unione piú intima con Cristo che una donna che ambisca a diventarne sposa possa desiderare. Indica concretamente e ufficialmente l’inizio di un sodalizio d’amore e di congiunzione mistica attraverso l’utilizzo di una categoria umana, quella del patto nuziale. […] Non solamente Agnese può ammaestrare le monache di Montecastrilli con i racconti delle proprie estasi e con le profezie di cui si fa portatrice, ma può presentarsi utilizzando una categoria del tutto terrena – quella di sposa – reinterpretata alla luce della mistica.”
Soffermarsi sull’anello nuziale significa illuminare un elemento che si rivelerà fondamentale, già ben evidente all’alba di questa lunga storia: il potere che Agnese esercita sulle altre monache. La storia di Maria Agnese del Santo Bambino, badessa di Montecastrilli, diventerà storia di abusi, violenze reiterate, omicidio, persino. “Il 27 settembre 1825 la badessa di Montecastrilli, Maria Agnese del Santo Bambino e Ambrogio Mignanti della Tolfa, suo intimo confessore, vengono arrestati dal vicario del Santo Uffizio di Acquasparta […] le accuse sono infamanti: affettata santità (ovvero manifestazione di presunti doni soprannaturali), peccati contro il sesto comandamento (Non commettere atti impuri), sollecitazione in confessionale (ossia l’uso del sacramento della penitenza da parte di un confessore per instaurare relazioni sessuali con la penitente) e omicidio.”
Mi sembra evidente che l’intento di Rai non sia solo quello di passare in rassegna gli atti processuali in cui è disseminata questa storia. Uno dei nodi fondamentali resta cercare la voce della protagonista: chi era Arcangela Pallotta? Qual è la sua versione? Dov’è la verità in una vicenda scritta e ricostruita da altri – a cominciare dal Capistrano, autore dell’unica biografia di cui disponiamo? “Mi chiedo cosa sia accaduto nell’animo di quella donna tanto indecifrabile”, scrive Rai, rivelando la sua genuina curiosità di studiosa.
Ecco dunque che a ben guardare emergono, fra i fatti rinarrati come naturali e accettati dagli Inquisitori, gli abusi subiti da Agnese in prima persona all’alba della sua storia. Il profilo che ne vien fuori è quello di una donna ‘agita’ da altri uomini, scritta, in primo luogo, da altri; e poi manipolata, violentata, abusata, anche all’interno dello spazio del confessionale. Il racconto delle autopenitenze che le vengono inflitte dai confessori-demoni raggiunge picchi disturbanti: Agnese è costretta a lacerarsi le carni in modo cruento fuori da ogni norma. “L’episodio mi lascia con la sensazione che, a Montecastrilli, il confessionale sia un luogo di produzione di violenza e che Agnese abbia di nuovo più o meno consciamente optato per trasporre su un livello altro quanto forse non riesce ad affrontare emotivamente.” Montecastrilli dunque è luogo di dolore, demoni, sangue, confessori violenti. “Federico da Novi, per esempio, costringe la donna a pratiche espiatorie ai limiti del sadismo, nelle quali la sfera religiosa si fonde con quella sessuale […] e non è il solo a utilizzare lo spazio della confessione per imporle una relazione non voluta, che anzi accende in Agnese ansie e dubbi, che si trasformano in tentativi di sottrarsi alla morsa fatale dei confessori.”
Molti sono gli uomini dai quali Agnese avrebbe dovuto essere protetta, ma da quella morsa non riuscì a liberarsi mai: forse confondeva l’abuso con una forma di attacco demoniaco dal quale difendersi, trasponendo così l’atto violento su un piano ulteriore? “Mi chiedo anche quanto profondo sia stato il processo di autoconvincimento messo in atto da Agnese, quanto consapevole, quanto doloroso. […] Soprattutto, sto maturando l’idea che la donna, prima di trasformarsi in carnefice, sia stata una vittima.”
Le accuse che le vengono mosse, però, restano gravissime. Il primo reato contestato è la simulazione di santità, poi atti impuri, in ultimo l’omicidio. I tre capi di imputazione nascondono una storia molto più ampia, larga, e il palcoscenico si affolla di teatranti potenzialmente colpevoli. Pare quasi che tutti i confessori passati per Montecastrilli si siano macchiati di crimini, coinvolti in rapporti proibiti con Agnese e le altre monache. Nelle pagine dedicate all’esplorazione di questo capo di imputazione, Rai cede spesso la voce ad Agnese e a ciascuno di loro filtrando le carte del processo, “perché i lettori e le lettrici possano far proprie le parole dei protagonisti di questa intricata vicenda. Proprio come ho fatto io”. Emerge così sulla pagina un carosello di inciampi diabolici, non detti, sotterfugi, dimenticanze. In alcuni casi anche ammissioni di colpe: Federico da Novi, confessore a Montecastrilli dall’inizio del 1808, ammette di aver baciato Agnese, e lei durante le deposizioni del suo processo di essersi denudata “lei stessa alla di lui presenza”.
Nel lungo elenco di uomini corrotti tornano i nomi di Giovanni da Capistrano e Ambrogio Mignanti, ultimi confessori di Agnese, complici della badessa che in questo spicchio della sua storia diventa protagonista: “la vittima fa propri i meccanismi dei suoi carnefici, la libertà sessuale trionfa dove il sesso è proibito.” Rai evidenzia come le cose siano diverse nel rapporto con entrambi: “Giovanni venera Agnese, non ne abusa. Ambrogio accoglie a braccia aperte la via che la donna gli propone.” Complici innamorati, dunque? Giovanni da Capistrano viene inquisito per aver fomentato la finta santità della badessa di Montecastrilli; Mignanti viene accusato di aver avuto rapporti sessuali con Agnese, e lei è sospettata di aver nascosto una gravidanza.
Ma le disgrazie a Montecastrilli sembrano non finire. Maria Deodata, un’anziana monaca conversa, ha un rapporto turbolento con Agnese: “non mostrava partito per la badessa, la quale se n’era accorta”. E così la badessa un giorno confessa a una monaca, Chiara Teresa, ascoltata poi durante il processo, la sua volontà di “avvelenarla e finirla”. Deodata è la prima donna a morire a Montecastrilli in circostanze sinistre: “Oppio. Bisogna usare dell’oppio per raggiungere l’intento, suggerisce Scolastica. La badessa prende la chiave della spezieria, prende l’oppio, lo consegna a Scolastica che nel frattempo ha coinvolto un’altra religiosa, Margherita. Agnese tira le fila. La mistura letale di oppio è pronta in men che non si dica. Viene sciolta in una tazza di cioccolata (o forse caffè: Chiara Teresa non lo ricorda), che viene subito propinata all’inferma.” A completare il piano della badessa, un finto episodio di profezia: “La badessa profetizza tra le mura del monastero che Deodata sarebbe morta a seguito della caduta. E la vede chiaramente dannata, all’inferno, dopo il trapasso. La badessa aggiunge ulteriori tasselli alla costruzione agiografica della propria immagine […]”. Ecco dunque che il ritratto è completo: Agnese manipola le consorelle facendo leva sulla sua immagine di santa intoccabile, riconoscendo e approfittandosi del loro stato di assoluta sudditanza. Una storia di subalternità e abusi replicati. Agnese “non si limita al misticismo. Agisce nel mondo. Uccide. E utilizza la visione finale dell’anima della vittima come prova che, in fondo, si tratta della morte di una immeritevole.”
La vicenda è complessa, intricata, e sembra aggrovigliarsi su se stessa pagina dopo pagina. Anche per questo la cassetta degli attrezzi di Eleonora Rai è ben fornita: le chiavi di lettura della storia non sono mai banali, e prendono in prestito lessico e analisi fornite da altre discipline. Spiccano fra tutte le intuizioni di Lacan rispetto alla femminilità e i testi di Foucault sull’espressione della sessualità nel suo legame con il potere e il controllo.
Peccato criminale è un libro densissimo, un affresco che ritrae uno spaccato di Storia in maniera impeccabile, coinvolgente, che non perde mai il ritmo tipico della narrazione romanzesca nonostante la complessità. Tutto resta vero, però, nulla è inventato. Quasi commuove la dedizione della studiosa che instancabile lavora sulle carte impolverate e ogni tanto alza lo sguardo, fa capolino fra le parole, fa cenno ai lettori nascosta dietro le pagine – resta sempre accanto ai suoi personaggi (che poi sono persone): mai un passo avanti, mai uno indietro; mostra il rigore che ogni ricercatore dovrebbe conservare (e la genuina passione di chi svolge, evidentemente, un mestiere che ama).