Speciale

Gian Domenico Tiepolo / L’angelo dell’apocalisse

17 Marzo 2020

C’è un magnifico quadro di Gian Domenico Tiepolo a San Polo in cui ritrae Vincent Ferrer, un predicatore domenicano morto 300 anni prima noto ai suoi tempi come l’angelo dell’apocalisse. Tutte le religioni sono da sempre piene di questi annunciatori: se hai con Dio un dialogo tanto intimo da poter ascoltare dalla sua voce il rischio della fine imminente dell’umanità, è difficile che di questo annuncio tu possa far altro che una predica. Un discorso alle folle in cui per definizione non si ascolta o partecipa, ma si arringano gli altri, che magari si distraggono e parlano tra loro.

 

Il quadro di Tiepolo però è dominato in realtà da un’altra figura in primo piano: si copre il viso con il bavero della giacca, non si capisce bene se sia un uomo o una donna. Forse il giovane non sopravvivrà alle sciagure annunciate dal predicatore, ma non vi partecipa. C’è qualcosa di estraneo, curioso e distaccato che è anche la chiave di un suo segreto. Forse malizioso. Chissà cosa pensa, se cerca di dissimulare il suo dissenso, come era stato abituale per chiunque pensasse a cose stravaganti come l’eliocentrismo negli anni della controriforma. Come deve essere stato apparire liberali nella Germania nazista o nell’Italia di Mussolini, negli anni del comunismo di Stalin o di Mao. Apparire qualunque cosa, perché le ossessioni identitarie creano sempre un altro di qualche tipo, religioso, sessuale, etnico, ideologico.

 

O forse e comunque sempre: le opinioni, per altro incerte, esporrebbero quel giovane come chiunque di noi a qualche pericolo. Del resto, sarebbe mai possibile non avere opinioni? Possiamo fare altro che nasconderle? O forse ha qualche altra ragione per guardarci in modo tanto misterioso? Dai Pulcinella di cui ha scritto Giorgio Agamben a Il nuovo mondo, altro splendido ed enigmatico ritratto del futuro (che in realtà non vediamo, a noi sono visibili solo le spalle di quelli che lo guardano), in Tiepolo l’enigma di cosa sia abitare il proprio tempo ci avvicina a una curiosa latenza. Sopravvivremo al coronavirus? Alle tante e diverse catastrofi che si addensano sui nostri orizzonti? Quelli privati e quelli pubblici? Al nostro contraddittorio cercare e fuggire la morte? Chi lo sa, anzi certamente alla fine non si sopravvive, il pericolo che il giovane avverte è che comunque, qualunque cosa dicessimo, verrebbe travisata e consegnerebbe ai persecutori di una o dell’altra parte. 

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