Il bacio

29 Luglio 2011

Un bacio è un bacio. È il simbolo stesso dell’amore e della giovinezza. Un motivo iconografico antichissimo e sempre efficace. Tutti ricordano il bacio dato per strada, a Parigi, in mezzo ai passanti, immortalato da Robert Doisneau nel 1950, e riprodotto in cartoline e calendari. Era un’immagine costruita dal fotografo, il quale aveva ingaggiato due ragazzi, che poi, a distanza di decenni avevano accampato con una causa i diritti sullo scatto. Per fortuna sua Doisneau aveva conservato la ricevuta del compenso pattuito.

 

Un’altra foto di Alfred Eisenstaedt, precedente di cinque anni, con il marinaio che bacia con un passo di tango la ragazza per le vie di New York, alla notizia del termine della guerra mondiale, è anch’essa finta. Probabilmente una posa indotta dal fotografo stesso. La potenza di questo motivo è talmente forte che oggi non è più necessario costruirla invitando due ragazzi a baciarsi davanti all’obiettivo, basterà vedere in una foto una parvenza di quel gesto, per immetterla nel circuito della visione mondiale.

Qualche settimana fa a Vancouver, durante i disordini scaturiti dopo una partita di hockey, una ragazza cade per terra, o forse si sente male; si mette distesa sull’asfalto. Un ragazzo, il fidanzato, corre verso di lei e si piega per vedere come sta. Si stende anche lui. Un fotoreporter presente fissa la scena in una serie di scatti. In uno di questi, pubblicato dai giornali e diffuso sul web, sembra che il ragazzo la baci. Sono per terra incuranti di quanto succede intorno, mentre in primo piano, sfuocato, il profilo di un poliziotto in divisa antisommossa.

L’effetto-Doisneau scatta senza bisogno della messa in scena: il bacio suggerito dall’immagine diventa il bacio-icona nell’epoca delle rivolte delle società liquide. Da quando le macchine digitali hanno scalzato quelle analogiche sembra che sia venuto meno il rapporto stesso con la realtà; la manipolazione dell’immagine è diventata una pratica corrente, come ci ricorda Quentin Bajac in Dopo la fotografia (Contrasto), così che il fotografo si concentra più sull’estetica della composizione che sulla sua veridicità. Ma come mostra lo scatto di Vancouver, vecchio e nuovo si sovrappongono e s’ibridano. La capacità di manipolazione non risiede più solo nell’occhio del fotografo, bensì in quello dello spettatore, e, qui sta la novità, chi scatta immagini – non foto, poiché la fotografia è probabilmente morta – è lui stesso prima di tutto uno spettatore. Il cerchio è chiuso.

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