Il genio di Julian Schnabel
Julian Schnabel è davvero misterioso. Ad alcuni dà fastidio che non si capisca chiaramente quello che fa, soprattutto perché ha avuto un successo planetario, che continua da trent’anni. Tra i primi dell’ondata “New Image” o postmoderna, è riuscito a imporre grazie al suo grande talento un eclettismo sprezzato da molti. I suoi detrattori lo scherniscono perché ritengono che si dia arie da genio in tempi troppo sospetti per una cosa del genere, ma, qualsiasi cosa significhi genio, di sicuro lui ci prova. Così butta tutto quello che vuole sulle tele, oggetti di ogni tipo, oppure si limita a dipingere in maniera abbastanza tradizionale degli enormi volti; fa delle sculture con materiali trovati che non hanno niente di originale, ma si impone per la forza del convincimento. Riesce, insomma, a far pensare che sta facendo qualcosa di importante, anche se non si riesce a definirlo, e quanto a lui dice: “Quando dipingo nessuno deve sapere quello che sto pensando”.
Ha fatto dei film diventati famosi, non ci si può meravigliare che fotografi anche, come abbiamo visto alla recente mostra alla Fondazione Forma, a Milano. Cosa e come fotografa? Innanzitutto con la Polaroid, grande formato, con macchina vecchia, enorme, pesante e ingombrante. Fotografa i suoi atelier, i luoghi dove vive o ha trascorso del tempo, gli amici, i componenti della sua famiglia, le sue mostre, le sue opere. Non altro, non eventi, non luoghi esotici, non scene di contenuto sociale. È un narcisista, questo è sicuro. Fotografa spesso se stesso, e la chiave sta forse qui, perché i suoi autoritratti sono davvero singolari. Sembrano, esattamente come lui stesso ha detto, fotografie “fatte da altri”.
Credo che il “mistero” stia proprio qui: Schnabel usa la fotografia per guardare la propria vita, il proprio mondo, se stesso, da fuori, come appare, e cosa accade quando diventa immagine, come è trasfigurato dalla luce, dal taglio, dagli accidenti, dalle macchie, dalla materia. La Polaroid è la più viva delle fotografie, sembra avere una sua vita, una sua libertà di reazione.
A volte sembra che Schnabel abbia letteralmente rifotografato una fotografia. Spesso – soprattutto in certi ritratti scoloriti, o grazie alle sovraesposizioni, agli effetti di luce – l’immagine si fa così evanescente da non avere sostanza. A volte interviene dipingendo delle macchie o dei segni sulla fotografia, come fa sulle immagini nei suoi quadri.
Penso che sia così che Schnabel sia riuscito a imporsi come “genio”, rovesciando la prospettiva creativa, spiando se stesso al lavoro, vivendo la propria finzione. E riuscendo a restituirla come un nodo inestricabile. Il risultato è un’immagine davvero singolare.