Inconscio ottico

29 Settembre 2011

Fissando e diluendo, dettagliando o ingigantendo, mentre mi fa vedere qualcosa che a occhio nudo o a visione normale non vedrei o non noterei, la fotografia rivela forse anche qualcosa del profondo, fa venire a galla qualcosa dal fondo.

Che cos’è infatti questa nostra smania di vedere di più, meglio, più da vicino, più tutto, che non ci sfugga niente? Smania enciclopedica o di controllo? In parte è sicuramente anche l’altra faccia di un qualche esibizionismo, ma certo non di mostrare tutto, ma di mostrare tout court, di ostendere, di esporsi come immagine.

Il fatto è che per vedere di più bisogna appunto passare per l’immagine, la “riproduzione”, e questo vuol dire non solo dover guardare non la cosa stessa ma la sua immagine, ma anche far diventare tutto immagine, rendere necessario questo passaggio. Non vogliamo andare noi stessi più vicino a ciò che desideriamo vedere meglio, ma che ci venga portato più vicino attraverso un ingrandimento fotografico.

Insomma, pensavo qualcosa del genere ieri, di fronte a delle grandi fotografie esposte sui pilastri di una chiesa, proprio quelli della navata centrale, non su pareti laterali o in qualche spazio allestito apposta. Ero sorpreso e non mi capacitavo che fosse di una qualche utilità per il visitatore (per il fedele?), così mi lasciavo andare a qualche pensiero mio. Ebbene, non c’è niente da sorprendersi: se tutto diventa immagine, si può esporre ovunque.

Ma, ancora un passaggio: c’entra qualcosa la religione con questo “inconscio ottico”? Comunque avevano ragione gli iconoclasti, che la chiesa era ed è un grande spazio espositivo?

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