La devozione di Marine Le Pen
Qualche settimana fa, dopo il primo turno delle elezioni presidenziali in Francia in cui aveva ottenuto un brillante quanto inaspettato risultato, Marine Le Pen si è presentata ai suoi sostenitori desiderosi di festeggiarla. Una fotografia la ritrae su un palco mentre sorridendo socchiude gli occhi e incrocia le mani sul petto. Anche se le braccia si sovrappongono una sull’altra, il gesto non ha evidentemente nulla a che fare con quello delle braccia conserte, in generale un segno di contrapposizione o di distacco.
Nella storia delle immagini l’atteggiamento assunto da Marine Le Pen ha una discreta tracciabilità dal Medioevo in poi. Lo vediamo nelle Vergini annunciate (in Beato Angelico anche nell’atto dell’angelo), in figure che si apprestano a ricevere il Battesimo (ad esempio nel Battesimo di san Girolamo di Domenichino), oppure in santi in preghiera (ad esempio nel San Giuseppe di Guido Cagnacci a Forlì); ma gli esempi potrebbero continuare a lungo e attraverso generi diversi, come una cartolina postale tedesca con figura di angelo, della fine del XIX secolo. Non si può escludere che un elemento di mediazione tra queste forme d’ascendenza schiettamente sacra e la singolare riapparizione del gesto nella vita politica attuale sia il modo con cui certi attori di teatro si ripresentano sul palcoscenico per ricevere gli applausi del pubblico.
Nel caso di Marine Le Pen, si tratta di un atteggiamento improvvisato o ben calcolato? Viene da chiedersi, in altre parole, se un gesto così intriso di tradizione sia stato adottato da un’esponente dell’estrema destra francese solo per caso.
Mettiamoci adesso nei panni dei seguaci che hanno visto Marine Le Pen sul palco incrociare le mani in quel modo. Come hanno interpretato quel gesto? Sapevano gli spettatori che si tratta di una forma ben attestata nell’iconografia cristiana? Avevano in mente esempi precisi? Molto probabilmente no, ma il senso generale dell’atteggiamento deve esser stato colto ugualmente: un gesto di accettazione dell’apprezzamento e delle lodi provenienti dai sostenitori, un gesto di rispetto, più ancora, di devozione verso il pubblico stesso.
L’episodio ci interroga su altri punti: fino a che punto riusciamo a intravedere, per così dire, l’etimologia dei gesti? Come mai siamo in grado di comprenderli anche senza conoscerla esattamente? E ancora: un atteggiamento porta con sé un significato preciso o, piuttosto, un’atmosfera (in questo caso religiosa)? È come se accanto al versante del tutto fisico del corpo che agisce ci fosse una scia di senso del tutto immateriale: è per questo che usiamo tante volte la parola “aria” (“darsi delle arie”, “avere un’aria da…”), per afferrare l’aspetto così sfuggente della gestualità?