La polis in danza di Virgilio Sieni
La città e il corpo. Virgilio Sieni disegna con la sua prima Biennale Danza una polis utopica, dove si ritrovi spazio per l’ascolto, per la relazione, per i tempi lunghi della conoscenza, per la bellezza che nasce dall’incontro e dallo scontro, dalla solitudine e dal rapporto con gli altri, in un’idea nuova di cittadinanza opposta alla fretta furiosa del consumo. “Abitare il mondo” l’ha chiamata, mescolando coreografi di fama internazionale e allievi danzatori, bambine delle scuole di ballo, mamme e figli di diverse età, interpreti giovani e affermati, persone anziane e abitanti di luoghi speciali del Paese marchiati da qualche superfetazione del reale, come le donne del rione che vive e muore sotto l’Ilva, protagoniste del bellissimo Visitazione Taranto. La danza per Sieni è maestria, scavo, perfino virtuosismo, ma anche ricerca di bellezza nei gesti quotidiani, liberazione delle potenzialità espressive della gente comune. È cammino, attraverso il movimento, verso una coscienza individuale e sociale più sensibile.
Madri e figlie
“College” si chiamava questa Biennale, vista dal 28 al 30 giugno, perché non si esauriva in una vetrina di spettacoli, ma nasceva da lunghi laboratori, a Venezia o in altri luoghi d’Italia. Ha investito il primo giorno le zone dell’Arsenale, negli altri due San Marco tra Ca’ Giustinian, la Fenice e i campi di Sant’Angelo, Santo Stefano, San Maurizio, in un’alternanza di spazi chiusi e luoghi aperti, di spettacoli concentrati e espansi, di “provocazioni” e di aperture di notevole fascino popolare. Ha provato a portare la danza, ossia un’altra coscienza del corpo e dell’essere sociale, in mezzo alla gente, riuscendo nell’intento.
Visitazione Venezia
Si partiva la mattina con incontri e riflessioni teoriche (il libretto-programma poteva contare su uno scritto di Jean-Luc Nancy e su una breve prefazione di Giorgio Agamben). Il primo spettacolo della giornata era della sezione “Agorà”, titolo significativo per indicare un’esposizione pubblica, un luogo di riflessione comunitaria per una città ideale, degli incontri, degli sguardi, della società quale dovrebbe essere. Si trattava di Agorà madri e figli, coppie formate da bambini piccolissimi, adolescenti, giovani o adulti con madri a loro volta anziane, adulte, giovani. Danzavano semplicemente, a coppia, esplorando i corpi, le possibilità di stare nello spazio, di giocare, di sentirsi, di sorreggersi, di riposarsi, di insegnare, abbracciarsi, correre, guardarsi, con movimenti con la dolcezza del cullare, dell’affetto, del ritrovarsi.
Vita Nova Toscana
Il pomeriggio iniziava con “Prima danza”, sei brevi coreografie di nuove autrici, che non hanno riservato, al di là delle intenzioni, sorprese particolari, tra la ricerca di immobilità e movimento negli spazi di Sara Dal Corso, la grammatica ironica del quotidiano di Caterina Basso, l’ironia febbrile sulla devastazione e l’ibridazione umana della velocità turistica di Tiziana Passoni. Il reale, in questo ultimo caso, sfrangiava la rappresentazione (risolvendosi, però, troppo facilmente in parossismo spettacolare). E il reale è tornato in scena varie volte, come nella danza delle merlettaie, in Visitazione Venezia, cinque donne che dal cucire al tombolo estraggono, astraggono movimenti per una coreografia ricamata che ha nell’antico, inattuale lavoro la sua base materiale. Fare i merletti veneziani secondo le antiche regole artigiane oggi è un lavoro fuori mercato: ci vogliono tre mesi per produrre un manufatto di venti, trenta centimetri. Sono rimasti in 13 a praticare questo mestiere, e le donne che danzavano era pensionate di altri lavori che stanno recuperando l’antica arte. Le coordinava Ambra Senatore.
Cristina Rizzo
Sempre alla Fenice si sono viste le due sezioni di “Vita Nova”: bambine di scuole di ballo che abbandonano gli stereotipi ballettistici per misurarsi con leggerezza e ironia algidamente infantile con il movimento della danza contemporanea. C’erano i due gruppi toscani e uno pugliese di Sieni e un gruppo veneziano coordinato dall’olandese Itamar Serussi.
Nora Chipaumire
“College” erano anche laboratori per giovani danzatori, guidati da Michele Di Stefano (Mk), Alessandro Sciarroni e Arkadi Zaides. Sono arrivati all’esito finale mescolandosi con le compagnie dei maestri, in contrappunti tra giovani e più esperti danzatori che avevano il fascino ibrido dell’affermazione e della chiosa, dell’esplosione e del commento.
Agorà Tutti
Poi la Biennale dilagava nei campi cittadini. Prima “Atleta donna”, una “provocazione” quasi dadaista, a rimarcare la distanza dell’arte dalla vita quotidiana, ma a immergerla nel flusso del tempo lungo delle cose e degli avvenimenti. Cinque danzatrici, Simona Bertozzi, Cristina Rizzo, Eleanor Bauer, Nora Chipaumire, Iris Erez, sono state rinchiuse ognuna per tre ore in cubi bianchi con pareti di plexiglas in vari campi, a danzare in pubblico in un tempo dilatato, con spettatori che cambiavano, spesso “catturati” solo perché passavano di lì. Cristina Rizzo ha accolto nel suo tempo i cartelli di protesta e gli scudi di salvagenti infantili contro le grandi navi di un gruppo ambientalista, e ha dovuto dialogare con una passante alticcia; andava spesso contro la musica, rallentando, portando a una dimensione minimale o deflagrante il gesto.
Simona Bertozzi, ph. Massimo Marino
Simona Bertozzi ha scandito il tempo in varie fasi di forte presenza con figurazioni basate su diverse posture o su esplorazione di differenti parti del corpo, per lanciarsi nel finale in un vero e proprio assolo; Nora Chipaumire ha ripetuto in loop gesti di rara forza, molto giocati a trattenere e a mostrare la morbida potenza controllata. Il rapporto con l’esterno appariva sempre scontroso, con poche concessioni, cercando di portare lo spettatore o il passante verso la verità del corpo in danza in situazione estrema.
Agorà Tutti
Le “Agorà” hanno avuto differenti intensità. Un po’ scolastica quella cooreografata con allievi di un laboratorio da Thomas Lebrun sul turismo, i vivi e i morti, e Venezia come l’Euridice di Monteverdi persa nel regno delle ombre; molto geometrica quella (altrettanto laboratoriale) di Frank Micheletti, una vera e propria scansione e misurazione dello spazio di campo Pisani. Si apriva al ritratto dal vero e all’utopia la meravigliosa Agorà tutti di Virgilio Sieni, incedere di folla che si frammenta in ritratti individuali o di piccoli gruppi, in pause, sentimenti, momenti di ascolto, e si ricompone in cortei che marciano contro il pubblico come in una manifestazione, in ondeggiamenti della folla, in movimento centrifugo impazzito o in gravitazione che cerca un centro di consistenza. Accompagnata dal contrabasso elettrificato di Daniele Roccato era immagine della massa che diventa persone, sogno di una città ideale dell’osservazione, dell’ascolto, della comunicazione.
Visitazione Taranto
Il festival ha raggiunto il momento più alto, secondo chi scrive, in Visitazione Taranto, sempre con la firma di Virgilio Sieni. Preparato sotto le ciminiere dell’Ilva, metteva in scena, con il coordinamento di Giulio De Leo e l’ausilio del gruppo teatrale Crest, quattro donne intorno ai sessant’anni del rione Tamburi della città avvelenata dalla fabbrica. Era una marcia lenta, dolce, dondolante, come nella processione dell’Addolorata e in quella dei Misteri di giovedì e venerdì santo, con quel passo, nazzacata, che somiglia a un cullare.
Visitazione Taranto
Era, in uno stanzone del conservatorio di musica affacciato sull’aria del mare, un procedere smarrito in cerca di fantasmi, una visitazione funebre con fazzoletti-sudari, un sorreggersi, distendersi, intrecciarsi, annullarsi, perdersi e ritrovarsi che sapeva del compianto, del dolore di una città segnata dai lutti, della serena voglia di resistere, di esistere. I corpi normali delle quattro signore, appesantiti dai chili e dall’età, volavano leggeri, quasi senza consistenza, come spettri, come animali indirizzati al macello, accompagnati dal violoncello, battuto, percosso, pizzicato, e dalla voce di Naomi Berill, in un movimento di commovente, tragica suggestione.
Virgilio Sieni, è stato insignito del titolo Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres, onorificenza del Ministero della Cultura e della Comunicazione francese, attribuita dal Ministro Aurélie Filippetti.