Marionette, che rivoluzione!
Hanno sempre abitato nelle fiere, i burattini, mossi dal basso, e le marionette, azionate mediante fili dall’alto. Ma hanno pure rappresentato a corte, le marionette, in raffinati teatrini dove portavano in scena anche opere liriche come quelle scritte da Haydn presso gli Esterházy. Goethe si appassionò alle storie di Faust vedendole in qualche puppenspiel di piazza. Nei casotti furoreggiavano le parodie, le commedie e i drammi, nonché le storie crudeli di Pulcinella e della masnada dei suoi parenti diffusi in tutta Europa, dal tedesco Casper e dal boemo Kasperl all’inglese Punch al russo Petruška, furbi e cinici vincitori di tutti i nemici, perfino della morte.
Ma marionette e burattini, con termine unico “figure”, rinascono, fuori dalle corti e dalle piazze, con le avanguardie novecentesche. Diventano allora gli alfieri di un teatro lontano dalle patetiche trame intricate dei drammoni ottocenteschi e dalle opere psicologiche ambientate nei salotti borghesi: sono l’alter ego dello spirito veloce, meccanico, sintetico invocato dai futuristi nel teatro di varietà. Con qualcosa in più: con quella “grazia” di cui parlava Heinrich von Kleist nel suo Saggio sulla marionetta, una capacità di essere totalmente presenti fisicamente senza i rovelli, le indecisioni, i dubbi portati dal pensiero. In loro lo scrittore romantico ritrovava leggerezza e armonia, come quelle dell’uomo e della donna prima del peccato originale.
In realtà le figure sono per loro natura materia inerte: hanno bisogno di un manovratore, di un demiurgo, che dia loro vita. Sono simili a quei manichini di cui parlava Bruno Schultz nelle Botteghe color cannella: “Le nostre creature non saranno eroi di romanzi in più volumi. La loro parte sarà breve, lapidaria, i loro caratteri a una sola dimensione. […] Il demiurgo si innamorò di materiali sperimentati, perfezionati e complessi; noi daremo la preferenza alla paccottiglia. […] In una parola noi vogliamo creare una seconda volta l’uomo, a immagine e somiglianza di un manichino”. Dietro il fulgido Trattato dei manichini dello scrittore polacco stanno la tradizione ebraica, il Golem e il teatro delle marionette e dei burattini.
Le avanguardie tipizzano, caricaturizzano nelle figure l’uomo alienato; ma pure provano a creare un uomo nuovo, meccanico, veloce, futuribile, fantastico, progettandolo con materiali e in forme che spesso potenziano e moltiplicano la natura umana. E nel loro versante di sinistra usano burattini e pupazzi in azioni agit-prop, per istruire e agitare il popolo. Inoltre i mondi dello spettacolo “minore”, dei clown, dei saltimbanchi, del circo, dei pagliacci, dei puppenspiel, servono ad abbassare le pretese della cultura alta, fino a evocare per accumulo di attrazioni circensi, come nel Baraccone dei saltimbanchi di Aleksandr Blok, atmosfere simbolistiche. Lì, in una malinconia a una sola dimensione, macerante e ghignante allo stesso tempo, rifulge paradossalmente ambigua la complessità dell’essere umano.
Riaprono la discussione e l’interesse per il mondo del teatro di figura tre avvenimenti. Innanzitutto, una bella mostra organizzata dalla Fondazione Palazzo Magnani a Reggio Emilia, curata da James M. Bradburne e intitolata Marionette e Avanguardia. Picasso-Depero-Klee-Sarzi, un viaggio con bei materiali fotografici, con originali, riproduzioni e ricostruzioni su come la figura è stata utilizzata dalle avanguardie, fino a quel burattinaio impegnato e sperimentatore sui materiali che è stato Otello Sarzi, a lungo operante nella città emiliana.
L’altro avvenimento è un originale lavoro con attori e marionette, arrivato finalista come miglior spettacolo ai premi Ubu: Natale in casa Cupiello per attore solo cum figuris, l’arcinoto testo di Eduardo De Filippo affidato a un solo attore dal magico trasformismo vocale e a marionette snodabili che interpretano i vari personaggi, un progetto di Interno 5 Teatri Associati di Napoli con il sostegno della Fondazione De Filippo, per i 90 anni della famosa commedia, variamente riproposta soprattutto in televisione durante le feste di Natale (ha vinto il premi Ubu per i migliori costumi, attribuito a Federica Del Gaudio).
Ultimo indizio che mostra il rinnovato interesse per questo mondo il riconoscimento di un premio Ubu speciale a Is Mascareddas, compagnia sarda che dal 1980 pratica e diffonde il teatro di animazione in una regione dove precedentemente era conosciuto poco o per nulla.
Marionette e Avanguardia a Reggio Emilia
La mostra di Reggio Emilia si apre con i costumi di Parade di Erik Satie, disegnati da Picasso: qui si vedono in realtà non fantocci ma elementi del teatro di strada, di piazza, protesi fantastiche per il corpo umano per far agire, anche su trampoli, imbonitori, pagliacci, eccentrici cinesi. In un angolo una grande figura di Punch ci guarda, ripiegata su sé stessa con aria cinica e sorniona. Ci si arrampica per una scala a chiocciola e si entra nel magico mondo dei futuristi, con le marionette di legno squadrate di Fortunato Depero, simili alla grafica dei cartelloni pubblicitari di ispirazione futurista: il gatto nero simbolo della mostra, la gallina, il serpente e altri personaggi per Le chant du Rossignol di Stravinskij o per il Teatro Sintetico e per i Balli plastici. Accanto a loro troviamo i fantocci plastico-caricaturali di Enrico Prampolini, che esasperano i tratti di personaggi come Giolitti, D’Annunzio, Vittorio Emanuele III, Mussolini, e che rappresentano sinteticamente anche il Fascismo, il Mondo, il Diavolo, tutte in un unico gruppo ligneo sbozzato e minaccioso.
Non manca un riferimento a Gordon Craig, uno degli inventori della regia, che voleva l’attore disciplinato e diretto come una super-marionetta, elemento alla pari con gli altri della composizione scenica del nuovo autore dello spettacolo, il regista appunto. E vengono ricordati autori come Jarry, Maeterlinck, Rostand, Schnitzler, Brecht, che scrissero spettacoli per marionette.
Scorrono le contorte, macilente, espressioniste figure a bastone di Richard Teschner, ispirate alle ombre giavanesi e antenate dei Muppets, testimonianti un’altra tendenza dei primi decenni del secolo scorso, l’abbeverarsi a fonti esotiche per rinnovare i modi consunti della scena europea. Incontriamo poi le figure deformate e pure leggere di Paul Klee, create per il figlio Felix, quindi altre progettate nel Bauhaus con una cifra da “Meccano”, quelle clownesche, fatte di intersezioni di figure geometriche solide, dei Balletti triadici di Oscar Schlemmer, quelle “psicanalitiche” dell’artista dadaista Sophie Täuber-Arp, che parodizzano, con figure meccaniche o composizioni di cilindri, sfere, gambe, becchi, le teorie di Freud. Il padre della psicanalisi nel Re Cervo di Carlo Gozzi reinterpretato dall’artista svizzera appariva come mago Freudanalyticus mentre a uno squadrato pappagallo era affidato il compito di simboleggiare l’eccitazione sessuale. Le guardie erano realizzate come un insieme di tubi su un pistone e altri personaggi erano Oedipus Complex e Urlibido.
In Boemia Karel Capek in un testo teatrale del 1920, R.U.R. (Rossum’s Universal Robots), inventa la parola robot, figurando automi lavoratori che, come nel film Metropolis, potranno sostituire gli umani.
In Russia ombre e figure interpretano da una parte atmosfere favolistiche, ma tra le mani di artisti costruttivisti diventano macchine astratte di agitazione politica, come L’Annunciatore di El Lissitzky, una grande tromba di megafono e alcuni meccanismi, come altri personaggi quali il ruotato e alato Globetrotter o i geometrici Sportivi o i Becchini, costituiti di bare bianche e nere e croci, esternazione del loro lavoro. Progettate per l’opera futurista Vittoria sul sole, con costumi e scene di Kazimir Malevich, l’autore le immaginava muoversi in un teatro su una piazza della città, aperto e accessibile da tutti i lati.
I fili poi si intrecciano: la Rivoluzione bolscevica allestisce carri di Tespi con marionette e burattini per istruire, con umorismo e divertimento diretto, la popolazione sulle conquiste della Rivoluzione e anche su norme igieniche e di comportamento in tempi di ristrettezza e guerra. Per finire con le marionette e i burattini ‘politici’ di Otello Sarzi, pupazzi spesso sproporzionati, altamente espressivisti, realizzati anche con materiali di riciclo, di Otello Sarzi. Sono usati per spettacoli didattici per bambini o per opere politiche come L’accordo, dramma didattico di Bertolt Brecht.
La mostra rimarrà visitabile fino al 17 marzo 2024. Al suo interno, a orari precisi, si svolgono dimostrazioni sull’uso delle marionette e brevi spettacoli di marionette, a cura della storica Compagnia Carlo Colla & Figli, e di burattini, a cura di vari ensemble. Informazioni su questo link.
Is Mascareddas
In poco spazio è difficile raccontare quarant’anni di lavoro costante di Is Mascareddas. Qui basta ricordare che hanno sviluppato un’opera costante di diffusione in tutta la Sardegna del teatro d’animazione. A loro si deve la fondazione nel 1999 della biblioteca Yorick, con circa 4.000 documenti tra libri e riviste provenienti da tutto il mondo e l’apertura di un nuovo teatro a Monserrato (ora non più attivo: la compagnia è in attesa di nuovo spazio). Frequente è stata la partecipazione della compagnia a festival nazionali e internazionali.
De Filippo cum figuris
Più semplice, ma non troppo, è dare un’idea di Natale in casa Cupiello per attore solo cum figuris, in tournée trionfale dagli inizi del 2022 (io l’ho visto al Teatro Kismet di Bari), da un’idea di Vincenzo Ambrosino e Luca Saccoia, con lo stesso Saccoia e la regia di Lello Serao (locandina completa qui). Il popolare testo di De Filippo, incarnazione di un filone importante e germinale della tradizione teatrale novecentesca, viene reso nuovo affidando tutti i personaggi a fantocci manovrati con fili, “doppiati” dall’unico interprete. Con un asciutto virtuosismo Saccoia, molto somigliante nel volto scavato a Eduardo, se non fosse per la barba e i capelli lunghi, dà voce a tutti i personaggi e così crea gli intrecci delle azioni, affidate ai fantocci, manovrati da vari “pupari”. All’inizio lui è nel letto di Lucariello Cupiello e le altre figure appaiono da un telone di fondo, riquadrato come in certe stampe popolari, con i personaggi che emergono dalle singole sezioni, debordando nella scena. Nel secondo atto tutto si svolge intorno alla tavola del pranzo di Natale, con diversi piani scenici. Alla fine Lucariello, in preda alla febbre e circondato dal coro dei parenti e dei vicini, nella sua illusione di un mondo arcadico a misura di presepe, senza le incrinature della realtà, giace nel letto di malattia con un angelo della morte che incombe, come in un quadro di Caravaggio o come nel Natale in casa Cupiello con la regia di Antonio Latella visto qualche anno fa.
Il naufragare delle illusioni di armonia del protagonista viene rafforzato dalla girandola di personaggi meccanici, ai quali la voce dell’unico attore cerca di dare, riuscendoci, sfumature di umanità. Il contrasto diventa una forma di raffinato straniamento che presto suscita l’immedesimazione totale dello spettatore, facendogli dimenticare di trovarsi di fronte a esseri mossi da fili. Allora il rifiuto del figlio di Lucariello ad amare il presepe e il pranzo di Natale che porta alla luce i malesseri dei rapporti familiari enfatizzano un meccanismo inesorabile. La commedia fa pensare al destino, a casi umani i cui intrecci portano inesorabilmente verso la rovina o la rivelazione, a qualcosa che ha a che fare, nel sorriso stemperato della farsa, con l’automaton e con l’ananke della tragedia. Quei doppi dell’essere umano che sono le marionette, con la loro rigidità, in cortocircuito con le modulazioni affettive della voce, ne rivelano i sentimenti e le paure, apparentemente senza partecipazione e sommovimenti interiori: perciò in modo più forte, come nelle favole, come nei paesaggi più estremi e vividi della memoria. Il testo di tradizione viene rivoluzionato, come volevasi dimostrare, da quei “rigidi” attori, scaglie di altri mondi più immobili e più misteriosi precipitati nel nostro.
Le due precedenti fotografie di Natale in casa Cupiello per attore solo cum figuris e la successiva sono di Anna Camerlingo.