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Navigazione locale di cabotaggio a vista con nebbia intensa / A scuola a distanza, in contatto

3 Aprile 2020

Tenuto conto delle vacanze di Carnevale, che in Piemonte iniziavano il 21 febbraio, è passato oltre un mese da quando la scuola è stata chiusa per l'emergenza Covid-19 (e io ho iniziato a scrivere queste righe). Prima ancora delle successive chiusure di parti del sistema economico produttivo e delle relative riorganizzazione dell'attività il sistema scuola ha dovuto reagire a un'emergenza inedita, sostanzialmente in base all'autonomia e in base alle indicazioni di orientamento del Miur (questa la nota del 17 marzo).

 

Non c'è al momento notizia ufficiale, ma è altamente plausibile che non si rientri a scuola prima di maggio; oppure che si prevedano le sole attività di conclusione dell’anno scolastico, cioè scrutini ed esami di Stato; questi ultimi potrebbero avere commissioni composte da membri interni e un presidente esterno, in grado di gestire una situazione congelata e ripresa in modalità d'emergenza; potrebbero prevedere solo una prova orale, semplificando di fatto le procedure delle prove scritte di massa (questo al 26 marzo, momento in cui la ministra Azzolina ha relazionato in Senato). Non si può escludere che gli esami siano sostituiti dallo scrutinio finale del Consiglio di Classe (così come avvenne tra il 1943 e il 1951). Tra i precedenti per la gestione della scuola in tempo di crisi si annoverano infatti situazioni d'emergenza, la seconda guerra mondiale o le catastrofi naturali che hanno interessato hanno alcune areee del paese.

 

Il dato comune a tutti i temi che si annodano nella scuola, di ordine politico, didattico, cognitivo, sociale, relazionale, è l'inasprimento, la divaricazione e il polarizzarsi delle condizioni che caratterizzavano la situazione precedente. In altre parole, questa crisi ha spinto – nella scuola come altrove – verso gli estremi processi già in corso, li ha redicalizzati e accelerati e ne ha reso più visibili gli effetti. Sono molti a sostenere che potrebbe configurare scenari di cambiamento tali da farsi strutturali o periodici, anche dopo la fase acuta dell'emergenza sanitaria.

In termini di rottura con il passato, fin da subito è parso chiaro che nella emergenza della Didattica a distanza, DAD in conformità con la lunga tradizione di proliferazione di acronimi, il digitale ha e avrà un ruolo decisivo: il che ha riattivato la discussione e la messa in atto di pratiche o posizioni già presenti.

D'altronde nella sospensione della normalità usurata si aprono spazi inediti di libertà e possibilità di sperimentazione, si rendono praticabili situazioni in altri momenti considerate diseconomiche, utopistiche e rischiose. È nel vacillare del suolo sotto i piedi che si attivano risposte e strategie personali, nel senso del meglio o del peggio di sé.

 

Credo che il modo di relazionarsi alla scuola a distanza da parte dei docenti si delinei in un continuum tra due punti estremi. Da un lato c'è il mantenimento dello status quo, in termini di programmazione, carichi di lavoro, valutazioni, stili di comunicazione e relazione; la ripetizione è anche una preghiera, la ricerca della normalità e della ritualità, il rifiugio dell'abito consolidato e della consuetudine sono rassicuranti. Dall'altro lato c'è cambiare tutto, ridimensionare i tempi di ingombro della scuola rispetto a quelli della vita, fornire strumenti di comprensione e competenze socio-cognitive minimaliste: capire come si opera un lavoro su sé, semplificare contenuti e messaggi fuori dalle messe in scena della prestazione, in una relazione docente-studente pensata come aiuto per affrontare l'emergenza del reale.

 

La scuola non deve pensarsi come spazio separato e simulato di rapporto con il mondo mediato da saperi canonizzati e dislocati nel tempo; per farsi nel suo insieme scuola della Costituzione pienamente realizzata, avamposto sociale e presidio democratico per tutti e tutte, deve diventare condizione di relazione esistenziale e contestuale, disposizione critica per mordere sul presente, momento di respiro e socialità orizzontale in una condizione domestica claustrale e ristretta che gli adolescenti sentono più di altri. Molti saperi scolastici hanno una straordinaria attualità in questo momento di emergenza, dal punto di vista della storia delle epidemie e dei suoi effetti economici e sociali o delle scienze della vita coinvolte nella eziopatogenesi, cura e contagio del virus. Nella letteratura della peste si trovano l'esigenza di scrivere per ritrovare un ordine nell'assurda e nella storia il modo in cui l'umanità si riorganizza di fronte alle crisi, le matematiche ci suggeriscono le curve e la logica dell'esponenzialità da cui dipende la nostra attuale libertà di movimento, dalla biologia e dalla filosofia la visione di insieme che aiuta a rifuggire l'antropocentrismo ingenuo e i biases di personificazione e attribuzione intenzionale di senso agli eventi.

 

Non tutti i docenti avranno forza e voglia di affrontare una cosa così grossa, non tutti gli studenti potranno coglierne il valore. Esistono le reazioni di difesa tra cui il diniego, i percorsi di consapevolezza sono lunghi, diversificati e non standard, e per moltissimi – docenti come studenti – questi giorni saranno caratterizzati da insegnamenti che non vengono dalla scuola. Continuo infatti a pensare come la condizione demografica che caratterizza l'Italia abbia contribuito alla sottovalutazione del danno collaterale inferto dal lockdown, nella difficile gestione dell'emergenza, ai più piccoli e ai più giovani, che hanno anche risorse psicologiche immature e che sono tendenzialmente più fragili di altri soggetti.

 

Quali che siano i tempi della risoluzione della crisi o della sua dilazione in normalità nel dopo, sono molti gli ambiti di esperienza critica che riguardano la scuola. La comunicazione, l'organizzazione interna di chi lavora nell'istruzione e l'interdisciplinarietà sono rese più difficili e rarefatte dalla distanza: anche laddove i sistemi di circolazione dell'informazione sono già ben rodati, la loro effettiva ricezione è tutta da vedere e un sistema basato da tempo su precise ritualità organizzative (riunioni e consigli in presenza) è stato sostituito da una diversa economia della comunicazione e dell'attenzione, a cui molti docenti un po' per generazione, un po' per esperienze professionali, non erano abituati. Segreterie e personale ATA, all'inizio non coinvolti dalla sospensione delle attività didattiche e al lavoro fino alla chiusura delle scuole, sono ora in home working e devono affrontare protocolli e procedure inconsuete; la già problematica infrastrutturazione scolastica generale non necessariamente può coincidere con l'effettiva possibilità del telelavoro, in relazione a connettività, privacy, dati sensibili e una serie di cose che non riesco neanche a pensare.

 

La Didattica a distanza è stata attivata con maggior o minore interventismo e energia a partire dalle Dirigenze scolastiche e dallo staff, per arrivare a ogni Consiglio di classe e Dipartimento disciplinare – sono mancati anche i tempi per le consuete procedure decisionali – e all'interno di esso in modo diversificato a seconda della personalità dei docenti o delle tendenze generazionali. Tutti si sono trovati divisi tra esigenze pragmatiche di comunicazione e bisogno di documentalità, legittimazione e ufficialità del lavoro in corso, attraverso il registro elettronico (che è diventato ancora più centrale per comunicare con le famiglie), usando come contatti le e-mail di classe e servendosi delle geometrie della democrazia scolastica, con i rappresentanti di classe come snodo per arrivare a tutti. In queste situazioni anche un sistema come WhatsApp può essere utile, anche se è un caso paradigmatico di ridondanza disfunzionale nell'informazione: basato sul telefono e di solito usato tra gli studenti per socialità e informazioni brevi, può risultare fonte di ulteriore buzz per la difficoltà di strutturare la gerarchia delle informazioni, di reperire lo storico e di stoccare l'informazione.

 

La modalità di Didattica a distanza più diffusa fin dall'inizio è stata l'assegnazione di pagine da studiare, testi da leggere, elaborati da svolgere: una scelta che non può in ogni caso rimanere fine a se stessa e deve prevedere momenti di confronto e feedback. Nella già citata nota del 17 marzo si intravede la preoccupazione dovuta a inerzie di lungo periodo e digital divide: «il solo invio di materiali o la mera assegnazione di compiti, che non siano preceduti da una spiegazione relativa ai contenuti in argomento o che non prevedano un intervento successivo di chiarimento o restituzione da parte del docente, dovranno essere abbandonati, perché privi di elementi che possano sollecitare l’apprendimento»; «la didattica a distanza prevede infatti uno o più momenti di relazione tra docente e discenti, attraverso i quali l’insegnante possa restituire agli alunni il senso di quanto da essi operato in autonomia, utile anche per accertare, in un processo di costante verifica e miglioramento, l’efficacia degli strumenti adottati».

 

Grande centralità è stata assunta dalle piattaforme per video-lezioni o conference-call in streaming con diversi strumenti possibili, piattaforme proprietarie di vario tipo o open source, rispetto alle quali andrebbe fatto ancora un ulteriore discorso. Qui emerge un rischio di natura opposta, in particolare nella secondaria, nel ruolo che il docente intende assumere rispetto alla classe: non credo che la performance del professore che spiega tutto esattamente come prima in scala 1:1 del tempo scuola, in situazione frontale a videocamere silenziate, renda un buon servizio al compito educativo. L'elemento centrale è invece garantire relazione, esercizio della parola, scambio di idee e partecipazione, mantenendo l'unità del gruppo classe, scegliendo il lavoro in piccoli gruppi, diversificando le attività e i canali comunicativi. Il primo obiettivo per quanto mi riguarda è di sostenere l'autonomia dello studente, incompleto soggetto in crescita e in formazione con specifici bisogni e nuovi problemi da risolvere. Si tratta quindi anche di evitare di stare troppe ore davanti a uno schermo o un device di piccole dimensioni. Senza dimenticare che lo stress tecnico sulla connessione aumenta mentre il contatto visivo e l'efficacia comunicativa diminuiscono proporzionalmente al numero di persone connesse.

 

 

I modi di gestire la DAD sono molti e dipendono dal rapporto pratico e ideologico con la tecnologia, a sua volta connesso con la propria disponibilità al cambiamento. Tra i tanti contatti sul territorio e in scuole di ordine e grado ho sentito di colleghe e colleghi che spiegano più di prima, altri che hanno risposto alle mail dopo una settimana, altri che passano le notti su WhatsApp per risolvere problemi di famiglia degli allievi o per spiegare loro propri che non dovrebbero stare svegli in chat, altri che sostengono che la didattica a distanza non sia “un obbligo” sancito dal contratto. Alcuni non ce la fanno a districarsi tra le password e alle odiate astrusità tecnologiche, alcuni stanno imparando cose nuove e straordinarie, alcuni hanno deciso che continueranno anche dopo a perseguire un mutato modo di insegnare.

Dall'altro capo della relazione alcuni studenti o studentesse spariscono, letteralmente, dai radar o dagli schermi e dalla videocamere, altri spiccano per sciatteria e indolenza, altri sembrano fiorire e “ci voleva una catastrofe mondiale per farti studiare” – “professore, finalmente riesco a concentrarmi e non mi distraggo”, alcuni si bloccano confusi dalla mancanza del feedback di rassicurazione, alcuni mantengono i loro profili consuetudinari e sembrano più svegli, informati e lucidi di molta gente adulta che c'è in giro. Nell'insieme il sistema scuola risponde e reagisce, con un rinnovato bisogno di confronto con le famiglie, messe a dura prova dalla crisi e dalle nuove richieste che la scuola propone loro. Sarebbe importante rendersi conto del fatto che, in ogni suo aspetto, la scuola deve essere parte della soluzione e non un problema ulteriore.

 

Nella didattica on line “in presenza” l'esperienza è straniante: da un lato c'è la fatica di una relazione dilazionata e differita, la mancanza del corpo, la diversa fisicità della voce e dello sguardo, l'impossibile visione ambientale e di insieme, i tempi non più nettamente scanditi e ridefiniti. C'è l'ingresso nello spazio privato, con le diversità abitative, l'esposizione del proprio spazio, le sovrapposizioni con le attività lavorative di partner e quelle scolastiche dei figli. C'è da trovare la sensibilità, la forza e la lucidità necessaria per mandare segnali di stabilità senza negare la fragilità: non possiamo ignorare lutti, paure e difficoltà – in primis le nostre – esigenze di cura, propria e altrui, che ognuno può incontrare in questo periodo.

 

D'altro canto la videolezione è più viva del rapporto con il testo e della corrispondenza e-mail ed è bello vedersi. Vedere “comparire” qualcuno sembra quando le persone in Harry Potter si materializzano; una generazione cresciuta con Youtube sa trasformare il collegamento in una messinscena teatrale consapevole, dichiarata e ironica, con la porzione di casa adibita a studio ritenuta più adatta o la camera che espone manifesti e strumenti musicali, l'abito adatto e il trucco nonostante tutto, la lezione con il dress code; i canali di comunicazione si sovrappongono, le chat ospitano battute e comunicazioni private, i volti ogni tanto si congelano, gli sfondi si fanno surreali, i gatti saltano sulle scrivanie attraversando lo schermo, adulti inconsapevoli compaiono improvvisamente sullo sfondo, c'è il sugo da spegnere o il profumo di una torta in cucina. 

 

Ogni materia ha specifici bisogni e strumenti. Per insegnare storia e filosofia a studentesse e studenti di 16-19 anni ho adottato un sistema integrato: mail e registro elettronico per la comunicazione istituzionale e documentale, la piattaforma We school come social medium per la comunicazione orizzontale e per la condivisione, in gruppo chiuso che coincide con la classe. Rinvio a un Padlet per ogni materia come luogo di sede dei materiali – video, testi, articoli, programmi che usavo già prima come luogo di pubblicazione in cui reperire materiale di quello svolto in classe; Zoom meeting per lezioni di raccordo su quello che studenti e studentesse hanno già avuto modo di leggere, ascoltare, vedere e per colloqui. L'orario di lezione è rispettato in forma ridotta e concisa (non riproducendo totalmente le ore curriculare in video lezione). Fondamentale è il coordinamento del Consiglio di classe, con l'attenzione al carico didattico e a un ridimensionamento adeguato della programmazione: stavamo combattendo contro le dipendenze digitali dei nostri studenti e ora c'è il rischio di obbligarli a stare davanti a uno schermo per diverse ore al giorno. Per tacere della lotta che sto ingaggiando con me stesso per definire la soglia di connessione utile e accettabile e per tracciare il confine tra lavoro, ricerca e vita privata.

 

Su un campionamento (statisticamente non significativo) di tre classi ho avuto ottime risposte: solo due o tre casi di sfarfallamento o interruzione audio che dipendono dalla banda di wifi e dalle condizioni di ricezione dalle persone connesse. Rarissimi e non comprovabili gli atteggiamenti di sfruttamento a proprio vantaggio delle tante occasioni per sottrarsi al lavoro richiesto. Al contrario ho riscontrato un bisogno diffuso di attivazione e di partecipazione, connesso al sentimento di mancanza del tempo condiviso di prima e al piacere nel ritrovarsi in quanto classe. Sono consapevole di lavorare principalmente con maggiorenni con un esame di stato in vista, studenti di liceo con tendenziale provenienza socio-culturale da famiglie a reddito medio-alto, normalmente partecipativi e consapevoli. Man mano che diminuisce l'età si possono constatare problemi di disponibilità, connettività, efficacia e inasprimento delle linee di faglia cognitiva. Posso supporre che i soggetti più motivati, riusciti e orientati ne usciranno rafforzati, mentre altri soggetti non potranno che uscirne indeboliti a seconda del grado di criticità ambientale, motivazione, consapevolezza.

 

Come ha già evidenziato in una prima disamina della questione all'inizio dell'emergenza non sarà facile valutare la qualità degli apprendimenti e la tendenziale massificazione della DAD ma si può prevedere che i problemi dovuti al divario di capitale sociale e culturale, le differenze di classe, risultino aggravati dall'insieme di scarsa connettività (connessione, numero e potenza dei dispositivi, limiti dello smartphone), concentrazione familiare negli spazi domestici, possibilità da parte dei genitori di assistere i figli più piccoli nella digitalizzazione forzata.

 

È sempre stato difficile fare discorsi di ordine generale sulla scuola: quanto ho scritto infatti ha necessariamente validità limitata e so dire troppo poco di altre situazioni e ordini di scuola. Sarebbe utile se un simile atteggiamento fosse adottato nel discorso pubblico, senza l'ideologica pretesa di configurare scenari universalmente validi e i toni dei vati dell'apocalittica di settore che, in assenza di dati chiari o sulla base di pregiudizi forti, hanno dominato questi anni il dibattito sui giornali.

Pur non amando le retorica del cyberottimismo, si tratta di riconoscere l'utilità emergenziale delle TIC e della presenza differita, cioè la possibilità stessa di una didattica a distanza (che prima non si era mai data). Questo è il momento in cui insegnare cosa è il digitale utile e come sia fatta e sia riconoscibile l'informazione fondata è un obiettivo desiderabile per qualsiasi età scolare; il momento per diffondere strumenti di lucidità, di decodifica dei messaggi e di resistenza al bisogno di certezze assolute e sicurezze dogmatiche. Quando ci sarà modo di raccogliere più dati possibili, l'e-learning svelerà i suoi limiti e le contraddizioni intrinseche che porta con sé. Per ora riconosciamolo come utile surrogato in emergenza, per gli effetti psicologici generali e per il mantenimento della continuità con il pregresso, ovvero per la continuazione di una relazione all'interno delle comunità educanti. Non riesco a immaginarlo come la dimensione costitutiva dell'insegnamento, con classi di persone nuove che si conoscono fin dall'inizio tramite quel mezzo.

 

Il tema spinoso che si sta già ponendo riguarderà poi la valutazione e sarà tanto più arduo se il ritocco degli obiettivi e dei contenuti non risulterà adeguatamente coordinato e sincronizzato. Nei colloqui di verifica on line che ho organizzato, sui quali gli studenti si sono autovalutati con un'apposita scheda di osservazione, si è respirata un'aria molto libera e priva di tensione. Dietro la forma apparente dell'interrogazione differita si è materializzata una natura dialogica più accentuata, la voglia di mantenere la pratica dell'esposizione organizzata, di garantire la continuità di impegno e il consolidamento di una routine di lavoro per gestire tempo e paure. L'impegno di dare, ognuno agli altri, un segnale di resilienza comunitaria e di responsabilità civica, sociale, politica. Diversamente, l'ossessione amministrativa di dare comunque il voto “in condizione di oggettività”, colpevolizzando lo studente a prescindere, e di continuare a pesare i cuori senza conoscere contesti non può che portare ulteriore angoscia a molti e aumentare distanza personale e ragioni di conflitto tra studenti e docenti. Perdersi nel formalismo e trincerarsi dietro la giurisprudenza dello scrutinio è un atteggiamento miope (oltre che potenzialmente divisivo e irritante), che dimostra la difficoltà di comprendere quale cambiamento epocale si stia profilando e quale sia il ruolo dell'insegnante all'interno di esso. Per questo la questione della valutazione in emergenza andrebbe posta il prima possibile in termini più chiari dai decisori, in modo che il nuovo patto educativo sia noto e non sia la condizione di una rotta scomposta a geografia variabile: finora le indicazioni, benché largamente condivisibili nei principi e rispettose dell'autonomia, sembrano insufficienti per un'interpretazione univoca e per l'applicazione uniforme, delegando a insegnanti, collegi e consigli decisioni e responsabilità tecnicamente difficili da assumere nelle condizioni attuali.

 

La visione di insieme – della classe, del mondo e di quello che ci sta capitando – è la cosa più difficile da avere perché è la più sfuggente. Non può che essere così: la sua ricerca è il sintomo del bisogno di controllo. Tra le cose che impareremo dall'interruzione di quello che avevamo pianificato meticolosamente finora c'è l'accettazione del fatto che ci sono cose fuori di noi che nessuno potrà controllare completamente.

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