Speciale
Occhio rotondo 18. Calvino
Nel novembre del 1969 a Parigi apre al Musée des arts décoratifs un’esposizione intitolata Olivetti formes et recherches. Ugo Mulas è invitato a fotografare i partecipanti nelle stanze della mostra. Tra i designer e gli architetti ritratti dal fotografo milanese, molti dei quali collaboratori dell’azienda di Ivrea, c’è anche lo scrittore Italo Calvino. Mulas lo coglie con la testa rivolta in alto mentre sta guardando i segni grafici che galleggiano nell’aria appesi al soffitto. Nessuna immagine esprime meglio di questa il rapporto che lega Calvino alle lettere. Sono segni di alfabeti diversi e probabilmente appartengono a lingue che lo scrittore di Sanremo non conosce e non parla. Forse per questo attirano il suo sguardo.
C’è un altro aspetto: Calvino ha scritto gran parte dei suoi racconti e libri a mano. Lo racconta in una intervista a William Weaver nel 1982: “Scrivo a mano e faccio moltissime correzioni. Direi che cancello più di quanto scrivo”. Scrive, sovrascrive, annulla, ritorna sulle medesime frasi e ne aggiunge altre nuove a fianco. A volte, spiega, deve prendere una lente di ingrandimento per capire cosa ha effettivamente scritto. Sovente ricopia a mano il manoscritto, poi lo ribatte a macchina: “Spesso la pagina diventa talmente incomprensibile che la devo ribattere”, dice al suo traduttore americano. Lo scrittore ligure ha esordito come disegnatore prima che come scrittore. La madre l’aveva iscritto a un corso di disegno a 11 anni, e proprio sulla rivista edita dalla scuola pubblica il suo primo disegno. Poi sono venuti i ritratti dei professori e dei compagni a scuola, e infine quattro vignette sulla popolarissima rivista umoristica “Bertoldo”, scelte da Giovanni Guareschi, a diciassette anni.
Tra scrittura e disegno esiste nell’opera di Calvino uno stretto legame. Nella mostra aperta a Roma alle Scuderie del Quirinale (Favoloso Calvino, a cura di Mario Barenghi), oltre ad alcuni suoi disegni umoristici, ci sono tre pagine della Speculazione edilizia, uno dei suoi manoscritti più intricati: un sovrapporsi di rami e di foglie, un bosco calligrafico d’ardua decifrazione. Le lettere che Calvino contempla con la testa rivolta verso il soffitto non compongono nessuna parola o frase; sono piuttosto un pulviscolo con cui è arduo produrre anche solo una frase o una parola.
Mulas ha scattato varie immagini durante la visita alla mostra e ha scelto questa fotografia identificandola sulle stampe a contatto dei negativi con un segno. Ce ne sono due nella medesima postura, ma il fotografo ha preferito questa decisamente più bella. Il fotografo milanese ha un occhio magico, riesce sempre a cogliere l’attimo prezioso in cui il suo soggetto compare dentro l’obiettivo della macchina mentre compie qualcosa di significativo – espressioni, posture, gesti. Lo fa con grande perizia, ma anche con leggerezza, alla medesima maniera delle figure che fluttuano nel museo parigino. Poi è preciso. È la sua magia. Ogni fotografia, come si sa, è un atto quasi magico, ma il modo con cui Ugo Mulas ritrae i suoi soggetti appartiene senza dubbio a un sortilegio potente. Di Calvino vediamo solo una piccola porzione del suo corpo: un tratto della spalla, il collo, la testa.
La fronte e il naso sono i punti prospicienti dell’intera figura, che si trova quasi esattamente al centro della fotografia spuntando improvvisa dal basso. Le lettere svolazzano e sembrano disposte in modo circolare, flettendosi e incurvandosi a destra come a sinistra. Sono immagini di segni e anche segni d’immagini, se è vero che gli alfabeti derivano sempre da forme disegnate. Sono ritratti della realtà in forma stilizzata: albero, bue, casa, uomo, mano, piede, eccetera. Tutta l’opera di Calvino oscilla tra i due poli espressi dal disegno e dalla scrittura: sono immagini visive e immagini mentali. Le prime derivano dalle seconde, ma anche il contrario. Mulas ha fotografato Calvino mentre sta pensando alle lettere. Non ha la bocca spalancata per la sorpresa; è quasi chiusa, segno che è concentrato. Cosa sta pensando? Impossibile dirlo.
La bellezza di questa foto consiste nell’accostamento tra lo scrittore delle Cosmicomiche e i segni fissati al soffitto dai grafici dell’Olivetti. L’azienda di Ivrea è quella che ha prodotto anche la macchina per scrivere che lo scrittore usa per trascrivere i suoi manoscritti oggi conservata alla Biblioteca Nazionale di Roma. Si sta forse chiedendo a quale tastiera appartengono le lettere che si liberano nello spazio sopra il suo capo? Oppure è ammirato dalla leggerezza dei segni alfabetici sospesi? Nessuno può dirlo. La foto lo ritrae nell’azione di guardare, che, come ha scritto in una lettera a François Wahl, è il suo modo specifico di stare nel mondo. Il suo è senza dubbio un mondo di cifre, lettere e segni, come quelli che il vecchio Qfwfq, suo alter ego letterario, ha visto galleggiare nello spazio stellare. Sta forse pensando di rimandare Qfwfq delle Cosmicomiche a lasciare una traccia di sé in quel luogo tra stelle, comete e buchi neri rubando qualche lettera dal soffitto? Difficile dirlo. Possiamo solo immaginarlo.
Italo Calvino nel box della scrittura, 1969 © Ugo Mulas
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