Speciale

Occhio rotondo 21. Nemico

17 Dicembre 2023

Nel corso della battaglia combattuta intorno alla città di Hué in Vietnam nel 1968, durata dalla fine di gennaio del 1968 al marzo dell’anno seguente, Don McCullin si trovò nel bel mezzo dello scontro tra le truppe americane e sudvietnamite, da un lato, e vietcong e nordvietnamiti, dall’altro. Lo racconta diffusamente nel suo libro autobiografico Un comportamento irragionevole (Contrasto 2009). Se è vero, come ha scritto Francesca Zanette, che “il tratto forse più caratteristico dei reportage di McCullin sta nella capacità di mostrare l’equivalenza di ogni conflitto e allo stesso tempo di produrre immagini folgoranti in cui è condensata l’atmosfera, la tonalità di una specifica guerra”, tuttavia in questa occasione è scattato qualcosa di diverso nel fotografo inglese.

Nella didascalia, che accompagna nel volume la foto di un giovane soldato nord-vietnamita morto e riverso a terra, il tono è secco e la descrizione rapida: “Il cadavere di un soldato nord-vietnamita circondato dai suoi effetti personali sparpagliati per terra, battaglia di Hue, offensiva del Tet, Vietnam del sud, 1968”. Nella mostra aperta a Roma al Palazzo delle Esposizioni (fino al gennaio 2024) questa immagine è invece accompagnata da un testo diverso: “Ho manipolato la verità solo una volta nella mia vita – in quella occasione ho spostato degli oggetti allo scopo di comporre un’immagine. Vidi due militari americani che andavano a caccia di souvenir sul corpo del soldato nordvietamita. Poteva avere diciotto o diciannove anni, non di più. Gli si avvicinavano strisciando con molta cautela, temendo che quel corpo fosse una trappola esplosiva. Quando ebbero portato a termine quello che ritenevo un atto di sciacallaggio e deturpato i suoi pochi averi, provai una sensazione di schifo.

Lo chiamarono stecchito muso giallo. Ora, questa è una cosa tremenda. Quest’uomo aveva sacrificato la propria vita. Era un giovane innocente che combatteva per la riunificazione nazionale. Li odiavo ma facevo parte di loro. Condividevo con loro il cibo, l’uniforme e la vita di ogni giorno. Calpestarono le sue cose, le foto di sua madre, della sorella, le piccole istantanee coi bambini messi in posa… Quest’uomo meritava di avere una voce. Non poteva più parlare, così l’avrei fatto io al posto suo. Ho radunato insieme le sue cose e le ho fotografate. Quella è l’unica foto artefatta che ho fatto in guerra. Non c’è bisogno di creare immagini di guerra. Le cose succedono molto in fretta, la gente ti muore davanti agli occhi, urla, si attacca a te in cerca di aiuto. Sul campo di battaglia non c’è bisogno di andare in giro a organizzare nature morte. Ma quella è l’unica volta che l’ho fatto”. Il risultato è sì uno still life, come sembra riconoscere McCullin, ma c’è anche qualcosa d’altro.

Al centro dell’immagine ciò che ci “punge” non è solo il corpo riverso del ragazzo, ma quel portafoto aperto dove l’immagine della sorella sembra guardarci dritto negli occhi in modo implacabile, come a domandarci qualcosa che non riusciamo a sentire e a cui, nel caso la udissimo, non sapremmo rispondere – ammesso che la sua fosse una domanda e non un urlo. Il nemico ha un nome, una famiglia, e una serie di ricordi ora per terra accanto alla sacca dei proiettili, il tutto ora in forma sparsa. Sopra c’è l’uomo riverso, sotto le sue cose. Lui, il nemico, è ora una “cosa”, mentre quelle immagini sembrano quasi animarsi, parlare. Sono foto anonime, potrebbero appartenere a chiunque, e al tempo stesso sono proprio le fotografie del morto, la sua stessa memoria in forma di riquadro: un album.

Nel libro in cui ha pubblicato questa immagine McCullin commenta questi oggetti, parla di collage, omettendo di dire, almeno qui, che ne era stato lui l’autore – “una inquadratura composta, addirittura inventata, ma aveva qualcosa da dire sui costi umani di quella guerra”. Qualcosa da dire. Tornato anni dopo a Hue, Don era andato a camminare sul campo di battaglia in cui si era trovato così vicino alla morte. Tutto gli era apparso assurdo, inutile: “Senza un guadagno, senza orizzonti, senza gioia”. E s’era ricordato che a Da Nang egli aveva visto il nome di una via. “Strada senza gioia”: “Avrebbero potuto chiamarci l’intero paese con questo nome”.   

Don McCullin, Il cadavere di un soldato nord-vietnamita circondato dai suoi effetti personali sparpagliati a terra, battaglia di Hue, offensiva del Tet, Vietnam del sud, 1968, © Don McCullin

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Vietnam, 1968

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