Speciale

Occhio rotondo 41. Sguardo

27 Ottobre 2024

All’apertura della sua mostra ad Alessandria Vittore Fossati si è fermato davanti a questa immagine che ritrae la parte terminale di uno dei piloni del ponte a Borgo Fornari in valle Scrivia. Avvicinandosi maggiormente alla fotografia ha indicato ciò che gli interessava in questo suo scatto: un picchetto scuro piantato a fianco del pilastro sulla destra e poi un altro “picchetto” – in realtà una fessura – quasi al centro della colonna di grandi massi. Solo se si osserva con molta attenzione si percepisce la similitudine tra i due “oggetti”. Ma il secondo picchetto è qualcosa che non c’è.

Come direbbero gli studiosi della psicologia della Gestalt, noi lo vediamo come se fosse un vero oggetto: è una percezione. Fossati, come ha scritto una volta Roberta Valtorta, usa spesso l’ironia, gli piace farlo e ci gioca sovente. Eppure esplicitando il suo interesse per il picchetto che-c’è e per quello che-non-c’è, Fossati ci ha messo sulla strada per comprendere cos’è la sua fotografia. In breve: una somma di sguardi. Che la fotografia sia sguardo non c’è alcun dubbio. L’hanno detto e scritto in molti e nel Novecento, dopo che le riprese fisse si sono staccate dall’imperativo realistico con i surrealisti e le altre avanguardie, la fotografia è diventa prima di tutto una faccenda di sguardi. Se io ora osservo questa immagine senza l’indicazione di Vittore Fossati, non colgo immediatamente il dettaglio che ha evidenziato. Cosa vedo? Un muro tondeggiante composto di grandi massi squadrati.

Mi fa venire in mente una costruzione romana o medievale: un muraglione, una torre di difesa d’una città. Se poi guardo meglio colgo anche il greto del torrente: la costruzione è circondata da un frantumo di pietre e sassi del medesimo colore; si tratta di un manufatto massiccio e ingombrante, che fatico ad abbracciare con lo sguardo, occupa quasi tutto il campo visivo. Perché allora Fossati vede i due piccoli picchetti? Quello che ho appena descritto è il mio sguardo che guarda quello che ha guardato Vittore Fossati. La fotografia del torrione di pietra può piacermi oppure no – in effetti mi piace –, ma in definitiva quello che vedo è lo sguardo di Fossati, quello che lui ha visto. Se fossi andato con lui sulle rive dello Scrivia probabilmente non avrei visto quello che ha visto lui: i due picchetti. Se avessi scattato una fotografia non avrei certo cercato di mettere in rilievo quella bizzarra analogia visiva. Lui invece sì. Cosa sono le fotografie di Vittore Fossati? Degli sguardi, come ho detto. Ma di che tipo di sguardi si tratta?

Ha scritto Vittore: “Tante mie fotine sono un combattimento con un nonnulla. Ci sono rametti e foglioline che ho corteggiato per più giorni. E sempre passando dai punti di vista di ripresa delle foto, guardo se è rimasto ancora qualcosa del disegno che un tempo mi era apparso con tanta sorpresa e che invece si è dissolto per sempre in qualcosa d’altro”. Detto altrimenti: le sue fotografie sono sguardi gettati su apparizioni. Cose che vede solo lui? Probabilmente sì. O meglio le vede perché gli saltano agli occhi. Un altro esempio esposto a Alessandria (Vittore Fossati. Effetti personali. Fotografie 1981-2018, Sale d’Arte fino al 12 gennaio, a cura di Giovanna Calvenzi, Franco Ferrari e Laura Polastri) riguarda sempre il corso del torrente Scrivia. Si vede un pilone meno massiccio inglobato dentro un rinforzo di cemento da cui spunta un tondino dell’armatura in un angolo, forse eroso dall’acqua delle piene. Altri esempi si vedono in quelli che sono i due capolavori di Fossati (Il Tanaro a Masio, 2012, e Il Tanaro a Masio. Secondo quaderno, 2018, con testi di Matteo Terzaghi, Quaderni CCRZ) in cui ha fotografato piante, rami, foglie, tronchi e il Tanaro. Sono le “foglioline” e i “rametti” che lui corteggia per più giorni fino a che decide di ritrarli seguendo – sono le sue parole – parte di quel disegno che “un tempo gli era apparso con tanta sorpresa”.

Così ha fatto verosimilmente con i piloni e i ponti dello Scrivia. Vittore Fossati è un fotografo degli istanti colti dai suoi sguardi. Ma non è così tutta la fotografia? Non tutta, credo. Lui non cerca l’istante perfetto o quello giusto. Non è proprio un fotografo, bensì un pittore, e anche forse un pittore tradizionale come si vede da certe sue immagini di alberi e paesaggi che ricordano Corot. In realtà non è proprio tradizionale, perché essendo uno che ha letto molto – ha fatto il bibliotecario nella sua vita lavorativa – sa che esiste la meta-letteratura e anche la meta-fotografia. Ha letto Calvino, Perec e Handke, e prima Proust e chissà quant’altri autori. Sa di essere vissuto in un’epoca del già-visto e del già-scritto, per questo gioca con le sue immagini, per questo è ironico (mai sarcastico!). Quindi ha deciso che vuole fotografare il proprio sguardo, e per renderlo unico e irripetibile – questo vuole fare ogni artista – ha deciso di lavorare sulle percezioni, su quelle “cose” che gli saltano all’occhio e che vede solo lui. Una volta tutto questo sarebbe stato chiamato il “meraviglioso”: sorpresa e inaspettata manifestazione davanti all’inatteso.

La bellezza di un sasso o di un muro o groviglio di rami secchi accatastati dalla piena sul bordo del torrente, una curva del fiume. Sono apparizioni, come i due picchetti, momenti in cui si percepisce come una frattura nella densità visiva del mondo così pieno di cose, oggetti, opere e persone. Una frattura minima, non qualcosa di grande o di enorme. Un dettaglio, ma totale, come solo i bambini sanno afferrare. Luigi Ghirri aveva certamente indovinato la natura infantile di Vittore e per questo aveva voluto aprire il catalogo di Viaggio in Italia con tre sue immagini. La seconda, meno nota, mostra una strada a Valenza Po. Si vede la linea continua di mezzaria di una semicurva a destra e un campo a sinistra nel quasi buio; appena dietro la linea dell’orizzonte s’intravede il tetto rosso d’una casa e in alto, dietro il pulviscolo rossiccio dell’aria illuminato dal sole, l’azzurro del cielo. Un’apparizione, non sensazionale, solo inattesa, e solo se si hanno occhi per vederla. Ci vogliono gli occhi di Vittore Fossati per questo, e naturalmente il suo sguardo fotografico. Ogni giorno incontriamo la fogliolina o il ramo appeso, la crosta di cemento non finita, e perlopiù tiriamo innanzi. Lui, il fotografo, corteggia proprio questo e poi scatta. 

Vittore Fossati, Borgo Fornari, 1996, © Vittore Fossati

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