Oceani. Pacifico
Non c’è alcun dubbio che con i suoi 179.680.000 chilometri quadrati il Pacifico sia il più vasto Oceano della Terra. Con le sue acque copre un terzo della superficie terrestre e comprende innumerevoli mari secondari: Mare di Bering, Mare di Okhotsk, Mare del Giappone, Mare Giallo, Mare Cinese Orientale e Mare Cinese Meridionale, Mare dei Coralli, che si trovano nella sua parte occidentale, mentre a oriente ci sono soprattutto grandi golfi, come quello di California, che non hanno la definizione geografica di mari. Da Sumatra alla costa dell’Ecuador all’Equatore, poi, corrono circa 18.000 chilometri. Più di ogni altro oceano il Pacifico è interminabile. Il suo nome proprio è Grande Oceano o Mare del Sud o Oceano Meridionale. A battezzarlo Pacifico, con un evidente equivoco, fu Ferdinando Magellano, il navigatore portoghese morto in un combattimento con gli indigeni nell’isola di Maetan nel 1521.
Magellano fu colpito dai venti e dalle correnti favorevoli che aveva incontrato dopo l’iniziale difficile navigazione. Il Pacifico, come sottolinea lo storico David Abulafia, è stato sia la prima area lontana dalla terra ferma ad essere colonizzata da esseri umani decine di migliaia di anni fa, e insieme anche l’ultima. L’assenza di coste estese, la mancanza di porti e accessi lungo i fiumi, che permettessero l’arrivo di prodotti dell’entroterra dei grandi continenti, costrinse gli abitanti dell’Oceano a sviluppare una straordinaria cultura marinara. Se si osserva una cartina del Pacifico, ci si accorge che è un mondo composto di atolli, barriere coralline e isole vulcaniche, il quale era interconnesso da minuscole barche e flotte capaci di percorrere anche grandi distanze.
Lo circonda una corona di vulcani ed è scosso di frequente da terremoti, dal Giappone all’Alaska, dalla California al Cile, dalla Kamcatka alla Nuova Zelanda. Gli esseri umani arrivarono in Australia con facilità dal momento che tra i 140.000 e i 18.000 anni fa le distanze erano minori di quelle attuali, poiché i livelli dei mari erano meno alti di oggi: una grande quantità d’acqua marina era immobilizzata nelle zone ghiacciate del Nord. Si ritiene che la differenza fosse di circa cento metri, e in quel lungo lasso di tempo il livello delle acque scese e salì più volte. Nell’era chiamata Pleistocene il continente australiano includeva la Nuova Guinea e la Tasmania e si trovava separato dall’Asia continentale, inclusa Giava, da tratti di mare aperto punteggiati da isole.
La deriva dei continenti, circa 40 milioni di anni fa, fece sì che l’Asia sudorientale fosse collegata all’Australia e alla Nuova Guinea da un ponte di isole. Gli archeologi hanno trovato all’inizio degli anni Duemila resti di esseri umani che abitarono queste terre fino alle Filippine. Bassi, alti poco più di un metro, non avevano capacità cerebrali superiori a quelli degli attuali scimpanzé: una delle varie forme umane di cui stiamo via via scoprendo l’esistenza. L’Homo sapiens sapiens è attestato più di 60.000 anni fa in reperti ritrovati in Nuova Guinea, Australia e Tasmania. Gli aborigeni delle origini, probabili antenati di quelli moderni, arrivarono in Australia oltre 60.000 anni fa attraversando il mare aperto per 150 chilometri e percorrendo tratti di mare dove la costa non era visibile.
La storia del Pacifico, prima che Magellano lo battezzasse così, prima che le navi europee l’attraversassero in lungo e in largo, è la storia di queste popolazioni che lo colonizzarono, come ricorda Abulafia. Le correnti del Pacifico, le sue vie, sono costituite da quattro principali flussi: una corrente meridionale lontana da tutte le isole; la corrente equatoriale meridionale che si dirige verso ovest; e due correnti contrarie che separano le Hawaii da tutte le altre isole del mondo polinesiano. Dallo studio di queste correnti gli antropologi e gli archeologi hanno concluso che i polinesiani conoscevano l’arte di navigare controvento: sfidavano i venti e le correnti virando di continuo, e quindi avanzavano con lentezza.
Nei suoi diari il capitano Cook si stupisce che Tupaia, un navigatore autoctono di quei mari che l’accompagna, sappia sempre dove si trovano senza ricorrere a strumenti o mappe. La chiave di questa conoscenza è il sapere delle stelle, una vera e propria scienza insegnata attraverso un lungo addestramento e comunicata oralmente nell’ambito dei gruppi famigliari; una scienza segreta che comportava l’iniziazione sin dalla giovane età e lunghi viaggi d’istruzione su barche che ancora oggi stupiscono per la loro semplicità costruttiva. Tra i vari tipi di vele che i polinesiani alzavano per raggiungere l’atollo successivo, c’è quella detta “ad artiglio”. La scheletrica imbarcazione era dotata d’un bilanciere che la rendeva stabile in un mare immenso e tuttavia meno rissoso dell’Atlantico.
Dopo i viaggi compiuti dai popoli polinesiani, le cui mappe composte di intrecci di legni e piccole conchiglie si conservano oggi al Museo Etnografico di Berlino, fu la volta delle grandi navi europee. Nella sua monumentale trilogia, Storia del Pacifico, Oscar Spate ha titolato il primo volume Il lago spagnolo (XVI-XVII secolo), cui segue l’epoca dei Mercanti e bucanieri (XVII-XVIII secolo) e infine quella del Paradiso trovato e perduto (XVIII-XIX secolo). Spagnoli, portoghesi e olandesi si sono alternati su quelle rotte, fino alla scoperta dell’Oceania, l’ultimo continente, il più somigliante all’agognato Paradiso Terrestre, raggiunto da James Cook, il navigatore inglese che ha posto le basi per l’espansione coloniale inglese, come raccontano enciclopedie e manuali scolastici.
Nel 1770 scopre la Nuova Zelanda, poi esplora l’Australia e raggiunge le isole che presero il suo nome e le Hawaii (1778), fin che non viene anche lui ucciso dalle popolazioni indigene nel corso del suo terzo viaggio. Cook ci ha portato il tatuaggio da Tahiti, il segno del Pacifico, che s’è impresso come uno stigma sulla pelle dei colonizzatori fino a contagiarli. Il Pacifico è il mare delle catastrofi, l’oceano dello tsunami, parola giapponese che significa “onde nel porto”, prodotto dal movimento verticale di colonne d’acqua, effetto diretto di eruzioni, smottamenti, esplosioni o della caduta di meteoriti.
Il mare di Magellano è più antico di tutti gli oceani. Si ipotizza che si sia formato nel periodo precedente il Fanerozoico attorno a 400-500 milioni di anni fa. Sul suo destino geologico gli studiosi non si sbilanciano. La sua dimensione appare così grande che una eventuale chiusura sarebbe un fenomeno di proporzioni talmente grandi da determinare la forma stessa del Pianeta Terra. Niente dura per sempre, neppure l’ineguagliabile Pacifico.
Cosa leggere per saperne di più
Il Pacifico è il meno studiato dei tre grandi oceani. Si veda D. Abufalia, Storia marittima del mondo (Mondadori) indispensabile con le sue 1038 pagine; la formidabile trilogia di O. Spate, un tempo pubblicata da Einaudi ora ristampata da Res Gestae; i Giornali di bordo di J. Cook si leggono in due volumi editi da Tea; importante E. J. Rohling, Oceani. Una storia profonda (Edizioni Ambiente).
In copertina, Tempeste ©Petros Koublis.
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